"Dopo quanti altri intervalli di trent’anni torneranno quelli che non hanno mai fatto ritorno? Che senso ha il mio ritorno oppure quello di un altro? Il loro ritorno, il ritorno dei milioni che non sono mai più tornati, solo quello ha senso. I nostri morti sono ancora in cimiteri stranieri. Quelli, tra i nostri, che sono ancora vivi assediano le frontiere degli altri. Sul ponte, quella strana frontiera che non ha simili in nessuno dei cinque continenti, sei sopraffatto dal ricordo delle attese presso le frontiere degli altri.
Cosa c’è di nuovo?
Sono sempre gli altri i padroni del posto. Ti concedono un permesso. Ti controllano i documenti. Ti inseriscono in un dossier. Ti fanno aspettare.
Ho voglia di una frontiera che sia tutta mia?
Odio le frontiere, i confini. I confini del corpo, della scrittura, dei comportamenti, degli Stati. Voglio davvero un confine per la Palestina? Sarebbe necessariamente un confine migliore di altri? Al confine non è soltanto lo straniero quello che soffre. Anche chi possiede la cittadinanza di un qualsiasi paese può vivere brutte esperienze alla propria frontiera. Non ci sono confini per le domande. Non ci sono confini per la patria. Ora voglio un confine anche se, in seguito, lo odierò."
Murid al-Barghuthi, Ho visto Ramallah, traduzione dall’arabo di Monica Ruocco, introduzione di Edward W. Said, Ilisso, Nuoro 2005, pp. 44-45.
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