Nel corso di questa breve ma intensa passeggiata per la letteratura sarda, scandita in quattro appuntamenti, abbiamo decostruito la fissità mitografica dell’isola fortezza per fare emergere una terra che è stata crocevia di popoli e culture, dal cui incontro/scontro è sorta la nostra attuale multicultura, geograficamente centrata, ma aperta a orizzonti vasti. Abbiamo visto, però, che per indagare il cambiamento necessitano occhi limpidi, non condizionati dal pregiudizio, e forse anche un cuore puro, e questo talvolta è mancato. Lo abbiamo constatato esaminando diversi dei numerosi resoconti dei viaggiatori a cavallo tra Sette, Otto e Novecento, che sembrano segnalare sulla mappa del mondo un'isola dove chiunque, arrivandovi, poteva decidere di esserne il re. Ma è capitato anche, nel secolo appena passato – e non ancora archiviabile –, che siano giunti in queste sponde giornalisti che hanno portato alto il nome della loro professione. Sono diversi, sardi e non sardi. Nel corso di quest'ultimo pomeriggio letterario invernale parleremo soprattutto di uno di essi, non nativo, che ci ha lasciato delle inchieste formidabili: seppure datate agli anni Sessanta del Novecento, infatti, riescono ancora a restituirci un metodo, innanzitutto, oltre che un’isola indagata nel periodo dei grandi stravolgimenti che hanno segnato il suo non indolore passaggio alla modernità. Quel giornalista si chiamava Franco Nasi, e lo conosciamo grazie al libro L'Isola senza mare (Iniziative Culturali, Sassari 1997), purtroppo ormai introvabile, che raccoglie i suoi reportage sardi. Libro-pretesto, se vogliamo, per fare un excursus tra il 1957 e il 1966, nella "Sardegna dopo il solleone"...
Saranno con me dei graditissimi ospiti: Angelo Altea (giornalista storico de L’Unione Sarda), Maria Giovanna Fossati (Ansa) e lo scrittore Omar Onnis.
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