Dedicato a R.U.
"Aveva scavato solchi nel deserto
aggrappato alla coda del pezzato, era precipitato nel baratro tenebroso, era
morto ed era rinato, senza mai piangere. Ed ecco che quella notte singhiozzava
senza riuscire a frenarsi, come se a piangere non fosse lui, ma un’altra
persona che gli dormiva accanto, dormiva in lui, e sulla quale egli non aveva
alcuna autorità; un’altra persona che osservava i suoi gesti e ne spiava le
mosse, senza farsi vedere. Che significava tutto questo? Era mai successo prima
a un altro essere umano nel deserto?
Si alzò senza fare rumore e uscì dalla capanna. Fuori,
il rosso dell’alba fendeva le tenebre nell’oasi, ma i galli non avevano fretta
di annunciarne la nascita, o forse volevano custodirne il segreto. Solo la
schiera di grilli continuava solitaria a intonare i canti della veglia. Anche
il pezzato aveva trascorso la notte insonne. Lo trovò ritto sulle lunghe zampe
e il muso rivolto verso est, afflitto, che assisteva muto al levarsi del nuovo
giorno, mentre il cammello aratore, dall’altra parte della capanna, accanto a
una palma dai fitti rami, ruminava con un’espressione stupida, indifferente a
tutto. Ukhayyad si rese conto di come la tristezza del pezzato, in quella
posizione e a quell’ora precoce del mattino, avesse un che di sacro. Come
appariva orribile l’altro cammello in confronto, con quell’aria stupida e
imperturbabile e l’animo libero da affanni. Com’è orribile l’aspetto di una
creatura il cui cuore non sia oppresso dall’angoscia! Solo la tristezza è in
grado di accendere la scintilla divina nei cuori. Lo stesso valeva anche per
gli esseri umani? Lo sheikh Musa diceva sempre che Dio tra le sue creature
predilige i sofferenti e gli afflitti e che anzi mette alla prova quelli che
più ama."
Ibrahim al-Koni, Polvere d'oro, traduzione dall'arabo di Maria Avino, Ilisso, Nuoro 2005, p. 93.
"Qui nel deserto, invece, i diavoli sono condannati a morire di sete."
Ibrahim al-Koni, cit., p. 99.
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