«Non lasciare mai che qualcuno ti racconti le sue storie d’esilio», mi ripeteva sempre Antton il Basco quando ero piccolo, come se avesse paura che io dimenticassi i suoi consigli. «Jamàs». E insisteva sulla parola accentuando rabbiosamente il suono duro della jota spagnola. «Inoiz!». Subito dopo ripeteva la parola in basco e quell’inoiz risuonava nelle mie orecchie come un colpo di gong. Antton lo lanciava nell’aria con un gesto violento della mano destra. Se ricordo bene, quella parola aveva allora per me la potenza devastante di una granata. Inoiz! «Non permettere mai che qualcuno te la conti sull’esilio, Leonardo. La gente è capace di dire qualsiasi cosa, tutti cercano sempre di ridurre al minimo ciò che disturba la loro tranquillità quotidiana. Credimi, certe parole fanno paura. Esilio! Ecco l’esempio tipico di una parola che viene banalizzata per svuotarla meglio del suo contenuto doloroso. So cosa dico, Leonardo. Con la sua sola presenza, l’esiliato provoca uno strano disagio, un penoso senso di vuoto. L’esiliato è la nota falsa di una partitura che si vorrebbe armoniosa, ma niente è più sgradevole di una nota falsa: offende la sensibilità, aggredisce il cervello, stride all’orecchio, la nota falsa. Si vorrebbe, in qualsiasi parte del mondo, che l’esule coprisse con un velo il suo sguardo angosciato. Una maniera come un’altra per far sì che tutto rientri di nuovo nell’ordine costituito. Un concerto di violini ben accordati, un crescendo melodioso. Quante volte ho sentito questa musica, Leonardo, quante volte ho sentito dire sì, è vero, è un esule, ma si è integrato così bene!
«Non lasciare mai che qualcuno ti racconti le sue storie d’esilio». Nessuno, mai, mi capisci? Mai, inoiz, INOIZ!
Eduardo Manet, Ti battezzo Rosso Disperazione, Ilisso, traduzione di Liliana Bottero, Nuoro 2008, p. 7.
Eduardo Manet nasce a Cuba negli anni ’30 (non si sa in che data precisa). Inizia a scrivere da adolescente, al liceo, interessandosi anche di teatro, cinema e politica. S’impegna da subito nella Rivoluzione cubana (1953-59) con missioni importanti all’Avana e negli Stati Uniti. A New York mette in scena spettacoli militanti dei quali è autore, attore e regista. Libertario, ha alcuni contrasti con il regime. Nel ’68 è a Parigi, segue corsi di lingua e di musica. Da allora vi si stabilisce e scrive in francese. Romanziere, drammaturgo, sceneggiatore, saggista, ottiene il Prix Goncourt nel 1992 e il Prix Interallié nel 1996.
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