Il tedio si aggrumava come afa, non un alito di vento. Da qualche giorno era nell'aria già satura del nulla un'altra guerra piccina quanto chiassosa, ed era tornata la paurina. Per me, che avevo fifa da sempre e lo sapevo, l'estate non esisteva, e ogni stress finiva nel pozzo dove l'assenza di cobalti si era trasformata in cristallo. Elena, invece, che non aveva mai avuto paura, si ostinava a vivere l'estate come la stagione più bella e più attesa, ignorando il tedio, respirando nell'afa, intanto che tutti o quasi tutti erano accaldati nella fittizia battaglia.
L'avevo incontrata un'ultima volta nel grande vivaio sulla strada che da Hanging Rock porta a Calagì, notando subito la sua presenza nella zona degli alberelli, già animata dai visitatori del sabato mattina. Aveva parcheggiato la macchina a lato di un'enorme pila di vasi vuoti. Osservando intorno con circospezione, era entrata nel recinto degli agrumi e scorreva con sguardo lento le piante, passandole in rassegna a una a una. Poi tornava indietro e ricominciava a esaminarle, come a ripetere una danza.
Uscì dall'agrumeto, finalmente, ed entrò in un altro recinto.
La studiavo dalla mia automobile, parcheggiata a lato dell'area degli ortaggi. Il suo sguardo si arrestò per un attimo nella mia direzione, e vedendomi fece cenno con la mano destra come a dire "finisco e ti raggiungo". Riprese la sua danza. Guardò oltre il gabbiotto del guardiano e più in alto, sulla montagna, risalendo per il bosco ceduo sino al cielo e... non una nuvola, pensai, ma cosa guarda?
Ritornò dentro il recinto del vivaio e indicò al ragazzo nove alberelli: un arancio, un limone, un mandarino, una noce, due abeti, un cachi, un ulivo, un ginepro.
Tornata a casa, mi disse poi, li avrebbe sistemati tutti intorno al suo letto. Voleva dormire in una stanza piena di alberi, almeno per un notte.
Lei, non io.
Io voglio solo cambiare status.
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