La verità è che la scienza giuridica è una scienza morale,
non soltanto nel senso della più o meno arbitraria classificazione scolastica,
ma perché essa più che qualunque altra scienza richiede un impegno morale in
chi la professa. Disgraziatamente il contradditorio ordinamento italiano, che
si inspira all’augusto modello dell’università medioevale, e nello stesso
tempo, statizzando la scuola, riduce i giuristi a impiegati, senza neppure gli
umili doveri che sostanziano il rapporto di impiego, rende difficile non che
osservare, sentire quell’impegno. Eppure è così. A differenza di ogni altro
uomo di studi, che può ben isolarsi nei suoi libri ed eccellere, acquistando
una fama che a noi è in generale negata, il giurista deve vivere
intensissimamente la vita che si srotola e rotola sotto i suoi occhi, osservare
i fenomeni sociali o pseudosociali che agitano il mondo, penetrare le istanze
che ad ogni momento gli esseri umani propongono in nome della politica,
dell’arte, della religione, della libertà e via dicendo, deve insomma leggere
il giornale. E il suo modo di vivere la vita è il più singolare che si possa
immaginare: perché egli non deve agire (non potrebbe anche se volesse), ma deve
partecipare all’azione col giudizio, cioè con qualcosa che appare come la
negazione dell’azione ed è comunque in perenne contrasto con essa. Per questo
il giurista è dipinto spesso come un reazionario (non si è detto che le leggi
sono sempre in ritardo rispetto alla vita?), e in effetti lo è: perché egli
custodisce nel suo animo valori eterni che la vita non sopporta o mal sopporta,
perché alla vita interessa semplicemente vivere. Per questo le posizioni
concettuali del giurista non hanno solo un valore tecnico, come suole
impropriamente dirsi, non sono costruzioni o teorizzazioni più o meno
fungibili, ma sono la vita stessa colta nella concretezza del suo essere, e
hanno quindi una forza di penetrazione e di formazione spirituale che nessuna
ideologia può avere.
Giurista
è colui che dice sempre di no. Questo è il suo impegno morale, grave impegno
perché nulla è più difficile che dire di no. Per sostenerlo non basta studiare
e conoscere le leggi (con questo si diventa al massimo professori, e sia pure
buoni professori), occorre stabilire una comunicazione, attraverso gli studi che
un tempo si chiamavano umani, coi grandi spiriti che ci hanno preceduto,
occorre vivere l’esperienza del passato, ma sopra tutto acquistare nella
meditazione, e quasi in una perpetua confessione, esperienza di sé.
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