9 febbraio 2021

Remo e Tonino

Cara B., dedicato ad annonnu tuo, eccoti un brano scritto da Giuseppe Fanciulli dopo un soggiorno a Orani nel 1922

«Erano con noi due grilli grandi, Tonino Siotto e Remo Branca; amici fraterni, entusiasti di ogni cosa bella (sebbene tutt'e due studino giurisprudenza a Sassari) in vario modo: che Remo esplode in meravigliose girandole, e Tonino sembra lasciare all'amico la cura dell'esprimersi, mentre con brevi parole, più ancora con cenni risoluti e col fuoco degli occhi, sottolinea, approva, e conferma. E l'uno camminerà nella incantata via dell'arte; l'altro, che pure conosce il mondo e ha una cultura così fine, resterà a curare le sue terre intorno al paesello di Orani, per amore e per esempio; non sembrano, questi due ragazzi, simboli della loro forte razza, rami di un ceppo solo? Così li ho veduti, e così li ricordo: in fiore.
Siamo rientrati in paese verso il tramonto, nell'ora più cara. Orani è adagiato in una stretta piega dei poggi, giallognolo e bigio; ma solcato dai venti che passano di corsa per la valle. A vederlo di fuori, pare che l'abbiano scaricato dal bordo della alta strada maestra; e allora, si capisce, le viuzze, le case, le piazzette, si sono fatte posto come hanno potuto, conservando un certo aspetto di labirinto arruffato, che piace al forestiero sempre desideroso di perdersi un poco. Molte di quelle case, a un solo piano, sembrano fatte con le carte; ma hanno quasi tutte cortili fioriti, e pergole ombrose. Le finestre, come in molti paesi sardi, hanno un'inquadratura di bianca calce, e così sembrano guardarci con gli occhiali. La gente è fitta. Passando dinanzi a quelli che sulla soglia si godono il refrigerio della sera, Remo dice: "Su friscu", che è il miglior saluto; e voci gravi, voci chiare rispondono con lenta mansuetudine. E bambini, anche qui, quanti! Tutti belli, Dio li benedica, come granati maturi. Ci venivano dietro a frotte, appena scalpicciando scalzi, come foglie nell'ala del vento.
E di casa in casa abbiamo fatto varie visite, ammirando. A Orani si possono ancora vedere di quelle vecchie cassapanche scolpite, che oggi non si fanno più, e sono una meraviglia: la decorazione ha fregi originali, e mutevoli, ricchi di quel gusto che la tradizione matura. In una stanza terrena ho veduto, insieme con le cassapanche un vecchio telaio sardo. La tessitura a mano è ancora molto in uso, in Sardegna; le donne dei paesi filano con rocche dalla conocchia finemente intagliata, quasi a ricordare le bifore e le cuspidi dei campanili pisani; fanno i "rocchetti" con strumenti primitivi dalle ricche decorazioni; e poi tessono l'orbace in telai assai più piccoli di quelli che un volta si usavano in Toscana (la mia nonna tesseva), telai che sembrano meglio dominati dalla tessitrice, e per questo ancor più domestici.
Qualcuno raccoglie le antiche tradizioni di bellezza, e risale ad esprimerle per tutti, in forme nuove.
Orani ha i suoi artisti. Mario Delitala, già noto in continente, è uno dei giovani pittori sardi meglio dotati; la sua casa, che ci fu tanto cortese, ha intere stanze da lui decorate, e mirabili opere. Ma ho dovuto stupire incontrando un artista che fa il calzolaio. Sicuro; Paolo Cosseddu, calzolaio, dedica tutto il suo tempo libero al devoto esercizio dell'arte. Non ha mai studiato disegno, non possiede strumenti, non ha avuto incoraggiamenti; e intaglia zucche — le belle zucche che son borraccia al pastore e al viandante — bastoni, còfani con un gusto meraviglioso; ha costruito un grande tabernacolo, di perfetta architettura, e un carro sardo graziosissimo. Rimpiange, tuttavia, di non aver mai studiato; e guarda il suo bambino per scoprire se affiora una vena d'artista... e se appena c'è, questa vena, oh lui studierà, non dubitate!
Di porta in porta, abbiamo fatto sosta anche nella casa che, tanti anni addietro, aveva ospitato Vamba; vi immaginate la nostra commozione nel parlare di Lui con chi ancora lo ricordava, fra le mura che lo avevano veduto? E il prof. Chironi, l'ispettore scolastico che ha uno spirito così poco scolastico e così arguto, ci riportava vicini quei giorni, ristabilendo inaspettatamente una nuova continuità col pensiero di Lui.
A sera, avessimo salito il monte, o fatto sosta alla vigna tutta verde e viola nella cornice argentea degli olivi, o fossimo rimasti in altre case a veder cose belle e antiche, a udire parole sagge e cortesi, tornavamo alla "casa nostra" con indicibile soddisfazione. Ci aspettava l'ospite: il cavaliere Pietro Paolo Siotto, un signore che porta i suoi settant'anni con eleganza (non potrei trovare un'altra parola), dritto e agile nel suo bel costume nero e bianca, parlatore colorito e acuto, cuor d'oro che scintilla nella fiera purezza dello sguardo. La sua casa, custodita da due donne silenziose, sorridenti e attente, è davvero "la casa". Si sentiva che fra quelle pareti massicce confluivano, come per naturale tributo, i doni della terra e delle anime. Tutte le cose buone della terra: frutta e erbe, pane e latte, vini ardenti e carni opime; tutti i buoni mòti delle anime: la fedeltà dei servi, la cordialità degli amici, il ricordo dei trapassati, e acceso su tutto, l'affetto del vecchio signore e del giovane nipote, che mi faceva pensare alla propensione della vite nodosa per il suo fresco tralcio.
In cima alla casa, alta come una torre, si apre una terrazza: vi abbiamo indugiato a mirare i grappoli di stelle. Orani, che non ha illuminazione, biancheggiava appena, lì sotto, nel buio: e dalla bocca di un forno si diffondeva una vampa rossa.»

(Grazie con con tutto il cuore al mio amico Angelino Mereu.)

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