Si tratta di una serie di tre grandi quadri, fatti lo stesso giorno, che offrono a Miró l'opportunità di lavorare in grandi aree. Il suo desiderio è di superare i limiti della spinta più avanti, alludendo alla ricerca dell'espressionismo astratto, studiato nel 1959 durante il suo secondo viaggio negli Stati Uniti. La lettura corretta necessiterebbe la visione integrale delle tre tele per catturare le varie sfumature di blu, cosa che si può solo tentare di intuire con delle foto reperite nel web e provare a ricordare. Vidi l'opera tempo fa alla Fondazione Miró di Barcellona, e mi colpì. Le grandi dimensioni, infatti, rendono protagonista indiscutibile il colore, percepito senza il limite imposto dal telaio. Le varie modalità in cui l'azzurro appare nei tre dipinti conferiscono a ciascuno un'esaltazione diversa. Il colore vibra nella tela e sembra mostrare nelle sue nuances la notte interiore, la purezza dello spirito, la dimensione del sogno, cose così. Solo alcuni segni, che aumentano anche la risonanza del colore, intervengono a dare il punto di riferimento che impedisce di perdere nell'infinito quel che Miró ha aperto oltre la tela. Sono piccoli fori, specchi neri, code di cometa che attraversano lo spazio, bande rosse che sono cadute esattamente dove sono e non potrebbero che essere lì. L'essenzialità è vicina a quella dei segni primordiali trovati sulle pareti delle grotte di Lascaux; il viaggio è attraverso l'universo.
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