«Dovessi individuare due
parole per descrivere questi anni io direi: “separazione” e “rimozione”. La separazione avviene per
mezzo della soddisfazione virtuale della socialità, i nervi sembrano appagati
nell’auto-intrattenimento del social network e la cognizione del dolore
è occultata. La rimozione è invece un processo di smaltimento di ciò che un
determinato sistema, neuronale o politico, considera come una minaccia o un
peso.
A essere rimossa, oggi, è
un’intera generazione, “un accumulo / di prole in disavanzo” per cui il
meccanismo storico non ha previsto
alcun presente. Il mito di Crono che mangia i suoi figli, e cioè l’epoca
in cui stiamo vivendo, rimuove a sua volta il proprio sistema culturale e
filosofico di riferimento. Come spiega il filosofo Mario Perniola ciò avviene come una forma di protezione da sensi di
colpa strutturali. L’organismo-società smarrisce la coscienza di sé esattamente
come l’omicida rimuove il proprio raptus o rovina nella nevrosi di fronte a una
contraddizione troppo grave.
Un poeta ha il “compito” di
scoprire nuove verità, cioè di trovare una differenza “sentimentale e perciò
filosofica” (Leopardi) in grado di stabilire un conflitto significativo con il
dato di fatto presente, con “l’immobilità delle cose che ci circondano” e che,
secondo Proust, “è imposta loro dalla nostra certezza che si tratta proprio di
quelle cose e non di altre, dall’immobilità del nostro pensiero nei loro
confronti”. Questa è la sua funzione, che è sempre una funzione di sabotaggio e
di eresia.
Ma dove sono, oggi, i
poeti? Come le falde acquifere scorrono e si incontrano nell’underground terrestre,
sotto la crosta secca della comunicazione ufficiale. I nuovi poemi “avvengono”
lì dove è necessario: in una fabbrica, in una scuola, in una stanza di qualche quartiere-dormitorio
di provincia, in un paese di montagna o in qualche interstizio della metropoli.
Ovunque ve ne sia necessità e dove tale esigenza trovi gli strumenti
necessari a esprimersi nelle forme del pensiero estetico. Forse non ce ne siamo
ancora accorti e il miracolo della sorgente poetica si è già verificato
all’interno di uno dei nostri campi nomadi o in un centro di identificazione e
espulsione. Forse non sarà più un nativo a comporre il poema della nuova
Europa. La storia non è finita, la ricerca è aperta e il fermento continua,
anche se non se ne parla. Ma perché non se ne parla?»
Davide Nota, Lettera a un giovane
poeta in Italia, L’Unità, 8 aprile 2013.
Alighero Boetti, Tutto, 1994. |
Nessun commento:
Posta un commento