1 settembre 2010

Tutto da rifare

Mi rendo conto che l’immagine è diventata consueta: un pullman carico di ragazze. Una carovana di femmine da esposizione. È sempre la stessa la loro età: dai venti ai trent’anni, con qualche punta sui 35 portati bene, o sui diciotto portati male. È sempre identico il loro aspetto: alte, magre, truccate, i capelli lunghi, i corti abitini neri, le generose scollature. È identica la loro espressione: vuota, disponibile e scocciata. È omogenea la motivazione: ottenere senza far niente qualche soldo. Alle feste del Premier un migliaio di euro, alle lezioni del Dittatore libico soltanto ottanta (ma c’è l’esenzione dalle prestazioni sessuali, a meno che Maometto non ti scelga). È diventata parte del panorama quotidiano, quest’umanità femminile ridotta a pura decorazione. Negli incontri fra vecchi potenti e impotenti ci si scambiano mazzetti di fanciulle, come se fossero gladioli o garofani. Qualcuno le sistema nei vasi. Quindi i signori si dedicano ai loro affari, scambiano soldi e destini, io ti blocco il flusso di migranti tu mi paghi questo e questo, io ti do un tot tu mi garantisci un tot più due… I cavalli berberi, le ragazze italiane, le soldatesse libiche, le religioni monoteiste… tutto è scenografia, spettacolino, contorno. Per noi, cittadini di questo Paese, è triste, per noi donne è qualcosa di più: è offensivo. E pericoloso. È pericoloso abituarsi all’immagine delle carovane di ragazze umiliate e contente. Gli effetti collaterali si moltiplicano. Sempre più gravi, sempre meno prevedibili. Nessuno ci fa caso. Poi capita che due medici, in sala parto, si prendono a pugni invece di aiutare una giovane madre a partorire, e tutti gridano e tutti si stupiscono. Forse, in quel momento, sul lettino, non c’era una persona impegnata nell’impresa più nobile e difficile in cui può impegnarsi un essere umano, ma un capo di bestiame come un altro.
Lidia Ravera, Femmine come bestiame, L'Unità, 2 settembre 2010 


Campagna Fieg di promozione della lettura (sigh!)

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