L'abbronzatura dei provocatori del nulla è particolarmente
fosforescente. Dà sul verdino, con sfumature giallo ocra che lasciano
intravedere dei pois che sfumano verso il viola. Ma terso. Ter-so. Un
capolavoro di ingegneria termo nucleare apotropaica senza capo né coda. I
provocatori abbronzati sono una sagoma sagomata verso il tendine che
balla come un fiore delicato sopra un treno in corsa verso il
vattelapesca, ma appena attenuato dalla noia che scaturisce senza se e
senza ma, incontrollabile come un. U.n., ripeto, ma anche n.u., perché
sono attirati dai palindromi, oltre che dalle creme solari. Grazie,
buonasera.
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13 ottobre 2016
22 settembre 2016
Zanna Bianca
Nun ce sta nient a fa', dicono a Napoli: anche dietro la faccia(ta) della persone perbene può nascondersi il o la delinquente. Così, stamattina, mi torna in mente la scritta sulle mura aureliane, lato San Lorenzo, a Roma, ai tempi di quand'ero ragazza: "Sguinzajamo l'istinto!". Era firmata, tutt'attaccato, "forzaromaforzalupi". Giusto che la abbiano cancellata, e restituite le mura al loro antico splendore, ma l'avremmo dovuta tenere marchiata nella mente e nel cuore.
14 settembre 2016
Generazioni, steccati, stecche
Di tanto in tanto, per tenere su un discorso, qualsiasi discorso, ritorna la proposizione del crinale tra generazioni. Eppure oggi lo steccato non mette in luce granché. Nemmeno nel lato presunto più illuminato in cui si auto colloca di volta in volta ora l'una ora l'altra supremazia generazionale. Paradossalmente, infatti, lo steccato sottolinea che proprio in quel punto ci si sia fatta sfuggire una bella fetta di mondo o anche, al peggio, che ci si stia assolvendo da qualsiasi responsabilità per come gira il presente.
Il famoso presente.
Di solito, non a caso, lo spartiacque è proposto per esaltare la generazione precedente, che – toh! – coincide sempre con la propria. Fa nulla se magari combacia con quella che si è fatta mangiare la pastasciutta in testa o, potendo, molto ha preso per sé, ignorando quello che accadeva intorno.
Il famoso presente.
Di solito, non a caso, lo spartiacque è proposto per esaltare la generazione precedente, che – toh! – coincide sempre con la propria. Fa nulla se magari combacia con quella che si è fatta mangiare la pastasciutta in testa o, potendo, molto ha preso per sé, ignorando quello che accadeva intorno.
Le stecche, ossia le note stridule suonate nel concerto "Ah, la mia generazione!".
Il plurale non è soltanto pro forma. Nella sostanza, in quella serie di "io sto qua; tu stai là" non c'è traccia di chi, con un brivido, si affaccia alla vita ora (prima stecca). Così come, in quello stesso piccolo orizzonte, scompare anche chi oggi ha vent'anni, venticinque, trenta, e magari parla e scrive benissimo quattro lingue, ha studiato in Europa, fa parte di quella che lo stesso presidente della BCE ha definito come "la generazione più istruita di sempre" (seconda stecca). Ma al banchetto è arrivata quando non c'era più da prendere nemmeno una mela marcia. Peccato (terza stecca, la più grave).
"Ah!"
Il non sense degli steccati continua comme si rien était arrivé. Permane l'omissione di quell'unico che oggi dovrebbe davvero contare, naturalmente perché ci si adoperi ad abbatterlo: non tanto lo spartiacque tra chi sta "sopra" e chi sta "sotto" – ché l'"ascensione sociale" è parolaccia davvero d'altri tempi –, quanto tra chi sta "fuori" e chi sta dentro", sottomesso quanto estromesso. «Non è emarginazione e neanche più sfruttamento – ha scritto di recente Barbara Spinelli, nel suo blog –, ma è brutale espulsione. Siamo di fronte alle vecchie classi impoverite, a una classe media declassata e in preda allo spavento, a nuove classi che addirittura vengono private di un nome, e tutte ci dicono, come il Commendatore nel Don Giovanni: "Ah, tempo più non v’è".»
A posto così. A ciò mi sento solo di aggiungere, appunto, che non è più nemmeno il tempo di "Ah, la mia...!", eccetera.
"Ah!"
Il non sense degli steccati continua comme si rien était arrivé. Permane l'omissione di quell'unico che oggi dovrebbe davvero contare, naturalmente perché ci si adoperi ad abbatterlo: non tanto lo spartiacque tra chi sta "sopra" e chi sta "sotto" – ché l'"ascensione sociale" è parolaccia davvero d'altri tempi –, quanto tra chi sta "fuori" e chi sta dentro", sottomesso quanto estromesso. «Non è emarginazione e neanche più sfruttamento – ha scritto di recente Barbara Spinelli, nel suo blog –, ma è brutale espulsione. Siamo di fronte alle vecchie classi impoverite, a una classe media declassata e in preda allo spavento, a nuove classi che addirittura vengono private di un nome, e tutte ci dicono, come il Commendatore nel Don Giovanni: "Ah, tempo più non v’è".»
A posto così. A ciò mi sento solo di aggiungere, appunto, che non è più nemmeno il tempo di "Ah, la mia...!", eccetera.
26 maggio 2016
Nihil humani a me alienum puto
Nell'analisi del calo del
fatturato non sempre si può trascurare con leggerezza quella del mancato
calo dell'avidità e dell'ingordigia di chi lo capitalizza.
1 febbraio 2016
Aforismi inconsolabili
"Non si porta consolazione agli afflitti con le afflizioni di chi vive nella comodità".
Incredibile, ve'? Lo ha detto la povera Lady D, mica Antonio Gramsci, il quale, invece, in una delle Lettere dal carcere scriveva:
"Spesso chi vuole consolare, essere affettuoso ecc. è in realtà il più feroce dei tormentatori. Anche nell'affetto bisogna essere soprattutto intelligenti".
Insomma, Diana Spencer (pace all'anima sua) non era stupida nemmeno un po'. È Antonio Gramsci che ve lo dice.
Incredibile, ve'? Lo ha detto la povera Lady D, mica Antonio Gramsci, il quale, invece, in una delle Lettere dal carcere scriveva:
"Spesso chi vuole consolare, essere affettuoso ecc. è in realtà il più feroce dei tormentatori. Anche nell'affetto bisogna essere soprattutto intelligenti".
Insomma, Diana Spencer (pace all'anima sua) non era stupida nemmeno un po'. È Antonio Gramsci che ve lo dice.
21 dicembre 2015
Poc
25 novembre 2015
Biscotti
È un po' il destino dei segni quello di rimandare ad altri segni,
all'infinito, sino a vederne annacquato il significato originario
(messicano, in questo caso, legato all'installazione di Elina Chauvet
sulla strage delle donne e delle bambine di Ciudad Juarez); com'è anche
un po' il loro destino quello di vedere proiettato arbitrariamente il
loro senso originario in segni similari, alimentando grandi confusioni
(ricordo, ad esempio, una ridicola petizione contro una pubblicità
di scarpe rosse di un noto marchio del made in Italy, addittata per
avere "espropriato" il simbolo della lotta contro il femminicidio nel
fatto di propagandare delle calzature femminili di quel colore). I
simboli aiutano a capire, a riconoscere subito di cosa si sta parlando
(ma a volte anche no).
Comunque questi biscotti a forma di cuore finemente decorati con la glassa rossa sono molto carini. Ohibò.
Comunque questi biscotti a forma di cuore finemente decorati con la glassa rossa sono molto carini. Ohibò.
31 ottobre 2015
Il senso di smile per i puntini
"[In] quest'epoca che rimbomba dell'orribile sinfonia dei fatti che producono notizia e delle notizie che sono colpevoli dei fatti [...]. Nei regni della povertà della fantasia, dove l'uomo muore di carestia spirituale senza accorgersi della sua fame spirituale, dove le penne sono intinte nel sangue e le spade nell'inchiostro [...]. Chi ha qualcosa da dire si facciavantietaccia"
30 maggio 2015
L'intellettuale di se stesso
"Ancor prima di essere una figura sociale, ispirata a una declinazione
specifica del soggetto neo-liberale (imprenditore di se stesso, l’Io
S.P.A.) l’intellettuale di se stesso è una forma di intuizione. È un
atto rivolto verso il conoscente e non è orientato verso l’altro, un
oggetto, il mondo. Nel suo caso il conoscere si incarna in una forma di
intuizione spirituale il cui obiettivo è l’auto-riconoscimento in quanto
soggetto agente dell’intuizione. Intuendo se stesso [...] fonda un’ontologia dell’essere presso di sé. Tale ontologia si
forma nei dintorni di quel luogo oscuro, ma cogente e pienamente
operante, del Soggetto. Un Soggetto che continua a essere il mistero
del discorso pubblico e culturale, pur essendo stato pienamente
decostruito dalla filosofia critica o dalla genealogia di Michel
Foucault, dalla differenza di Jacques Derrida, dall’immanenza nel
pensiero di Gilles Deleuze."
20 aprile 2015
I SENZA CUORE
Ci sono persone il cui cuore se lo sono mangiati i
cani: lo noti dall'amarezza, ma tracce del muscolo che fu appaiono in
certi gesti o nei silenzi. Altre, semplicemente, atrocemente, sembrano
nate senza: al suo posto, da sempre, un registratore di cassa.
16 maggio 2013
Alla ricerca di una nuova immagine del mondo
La cosa migliore dei vernissage è addocchiare un* complice, riempirsi le tasche di tramezzini e scappare. (Prima di finire mangiucchiata anche tu).
22 novembre 2011
E ti amo Maarioooh, oh, oh, oh, oh
"Tutta una generazione di allievi poté considerare Wittengestein un positivista, perché egli aveva qualcosa di enorme importanza in comune con i positivisti: aveva tracciato la linea di separazione fra ciò di cui si può parlare e ciò di cui si deve tacere. Il positivismo sostiene – è questa è la sua essenza – che ciò di cui possiamo parlare è tutto ciò che conta nella vita. Invece Wittgenstein crede appassionatamente che tutto ciò che conta nella vita umana è proprio ciò di cui, secondo il suo modo di vedere, dobbiamo tacere. Quando ciò nonostante egli si prende immensa cura di delimitare ciò che non è importante, non è la costa di quell’isola che egli vuole esaminare con tanta meticolosa acuratezza, bensì i limiti dell’oceano."
Lettere di Ludwig Wittgentein con ricordi di Paul Engelmann, traduzione di Isabella Roncaglia Cherubini, Firenze, La Nuova Italia, 1970, p. 71.
Nel giro di 24 ore ho letto nei socialini la settima e ultima proposizione del Tractatus – a cui accenna quassù Engelmann – per ben tre volte, al solito in luogo del meno elegante "se non sai le cose, stai zitto". Ora, che uno dei più grandi filosofi del Novecento abbia consegnato alla storia un pensiero dell'altezza di "taci che non capisci una mazza", dovrebbe sembrare un po' sospetto, no?
No. L'Internazionale Citazionista non ha dubbi. E dunque, Ludwig, riposa in pace pure tu.
No. L'Internazionale Citazionista non ha dubbi. E dunque, Ludwig, riposa in pace pure tu.
6 maggio 2011
Habemus
La generosità si manifesta tanto nel saper dare quanto nel saper prendere. Dunque continua da qui, se vuoi.
"Io credo che quello che impedisce a molte persone di vedere cosa dice il film è quello stesso velo di incoscienza che in altre forme m’è occorso di descrivere a lungo: una sorta di forma mentis scettica, uno scetticismo pratico che si risolve – prima di diventare vero e proprio cinismo - nell’incapacità di prendere sul serio alcunché – ma in particolare l’esperienza morale, l’esperienza del bene e del male, e più in generale l’esperienza di ogni tipo di valori e disvalori, o meglio di quella loro massiccia obiettività che ancora nel secolo scorso faceva apparire un ghiacciaio come qualcosa di maestoso o sublime, e un gestaccio, tanto più se esibito da un uomo con qualche ruolo istituzionale, tipo un ministro, come una gaffe atroce e imperdonabile. Ecco: questo velo di incoscienza o indifferenza che avvolge la mente e il cuore della maggior parte delle persone – forse dovremmo dire: di tutti noi? – conferisce un aspetto piuttosto banale alla maggior parte delle cose."
Grazie a Dust della segnalazione.
27 aprile 2011
Sui populismi
Negli anni '20-'30, la Germania pre-nazista esaltò il Blut und Boden, il sangue e la terra, come fonte di legittimazione politica ben più forte della democrazia. Oggi lo slogan è imbellito – si parla di radicamento territoriale, davanti a una sinistra intimidita e plaudente – ma la sostanza non cambia. La brama di radici, ancora una volta, impedisce il camminare dell'uomo e lo sguardo oltre la propria persona, il proprio recinto. Consanguineità e territorio divengono fonti di legittimazione più forti della Resistenza.
Barbara Spinelli, qui.
1 ottobre 2010
Nuove povertà
Lavorare a un carteggio inedito tra una delle più grandi menti italiane dell'Ottocento e tre negletti e misconosciuti signori del pensiero e della politica, mi ha fatto languire. Che spessore analitico! Che umanità! Che autenticità! E il loro modo di salutarsi, poi, così segnato dal reciproco riconoscimento, da stima e affetto, pur non essendosi mai incontrati di persona.
A sicut erat. E anche a prescindere, come direbbe Totò.
A sicut erat. E anche a prescindere, come direbbe Totò.
Vero, la tristezza ha il suo peso, e teniamocela stretta: diventa sempre più difficile non farsela bruciare dalla maleducazione imperante (insublimabile, altro che la morte), dal disgusto che assale nel leggere la sfilza quotidiana di mezze frasi tanto grammaticalmente corrette quanto insensate, di volta in volta sputacchiate in "vista" di un accadimento o di un altro (fatto di parole, che raramente sono parole-cose), speculari a una delle peggiori declinazioni di una tristezza desolante, irrisolta, rancorosa, che poco sembra avere a che fare con la coscienza civile, essendo il disastroso scenario politico e sociale italiano soltanto lo sfondo di un narcisismo feroce.
3 giugno 2010
Ispìritu 'e patata
L'Italia è il Paese in cui regna sovrana la battuta di spirito. Ma una battuta di spirito molto diversa dal "mot d'esprit" alla Voltaire o da quello, sovversivo, esercitato da Karl Kraus, o ancora dal Witz freudiano, rivelatore dell'inconscio. Niente di tutto questo. È una battuta fondata sulla retorica, che consiste nella spiritosaggine o facezia, e che ha la funzione di svuotare il problema del suo contenuto per spostare l'attenzione sulla sua formulazione, a dimostrazione di un'intelligenza brillante che gira a vuoto. Si tratta di un funambulismo verbale che ricorda la "causerie" della corte di Luigi XIV, quella delle Preziose ridicole o delle Furberie di Scapin, per quanto attiene alla Francia, o che evoca, per l'Italia, la maschera di Arlecchino, così tipico della nostra cultura e della Commedia dell'Arte e che, non dimentichiamolo, è servitore di due padroni. Esistono naturalmente parecchi livelli stilistici di questa battuta di spirito, che vanno dalla volgarità travestita da snobismo raffinato all'esercizio freddo di un'intelligenza geometrica passando per la barzelletta goliardica. A ispirare tutto questo è comunque la stessa cosa, il cinismo /…/, una sorta di "fenomenologia dello spirito" di un popolo che, nel corso dei secoli, ha dovuto adattarsi ai padroni più diversi, dai Longobardi agli Angioini, dai Borboni agli Autro-Ungarici e a Napoleone, dai Savoia al fascismo e alla Dc. /…/
Per quanto riguarda l'ambito del salotto letterario, eventualmente progressista, /…/ tratta con il medesimo tono spumeggiante il problema dei "sans papiers" o degli albanesi, quanto quello dei pedofili o delle torture in Somalia, per poi evocare il trash, il punk, Gucci, gli stilisti italiani o ancora le corde vocali della Callas o dell'ultima cantatrice alla moda, foss'anche calva. Purtroppo per noi tale cronista è convinto di possedere un grande "esprit de finesse".
Antonio Tabucchi, La gastrite di Platone, Sellerio, Palermo 1998, pp. 45-47.
1 giugno 2010
Egocentrisme
8 ottobre 2009
Mexican standoff
"Si ammirano i Re Magi!", disse una volta la buonanima di mio nonno, poco tempo prima di lasciarci. E a me che non avevo mai incontrato un re in vita mia e nemmeno un piccolo principe, sembrò finalmente chiaro perché non sapessi cosa fosse l'ammirazione. Ancora oggi non lo so. E anche altre cose, non me le spiego. Ma bando alle ciance, che oggi son contenta: ho vinto a una corsa di cavalli puntando su Damasceno Monteiro.
Dejo esta cabeza a Aldo Raine por sus cien años.
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