14 settembre 2016

Generazioni, steccati, stecche

Di tanto in tanto, per tenere su un discorso, qualsiasi discorso, ritorna la proposizione del crinale tra generazioni. Eppure oggi lo steccato non mette in luce granché. Nemmeno nel lato presunto più illuminato in cui si auto colloca di volta in volta ora l'una ora l'altra supremazia generazionale. Paradossalmente, infatti, lo steccato sottolinea che proprio in quel punto ci si sia fatta sfuggire una bella fetta di mondo o anche, al peggio, che ci si stia assolvendo da qualsiasi responsabilità per come gira il presente. 
Il famoso presente.
Di solito, non a caso, lo spartiacque è proposto per esaltare la generazione precedente, che – toh! – coincide sempre con la propria. Fa nulla se magari combacia con quella che si è fatta mangiare la pastasciutta in testa o, potendo, molto ha preso per sé, ignorando quello che accadeva intorno.
Le stecche, ossia le note stridule suonate nel concerto "Ah, la mia generazione!".
Il plurale non è soltanto pro forma. Nella sostanza, in quella serie di "io sto qua; tu stai là" non c'è traccia di chi, con un brivido, si affaccia alla vita ora (prima stecca). Così come, in quello stesso piccolo orizzonte, scompare anche chi oggi ha vent'anni, venticinque, trenta, e magari parla e scrive benissimo quattro lingue, ha studiato in Europa, fa parte di quella che lo stesso presidente della BCE ha definito come "la generazione più istruita di sempre" (seconda stecca). Ma al banchetto è arrivata quando non c'era più da prendere nemmeno una mela marcia. Peccato (terza stecca, la più grave).
"Ah!"
Il non sense degli steccati continua comme si rien était arrivé. Permane l'omissione di quell'unico che oggi dovrebbe davvero contare, naturalmente perché ci si adoperi ad abbatterlo: non tanto lo spartiacque tra chi sta "sopra" e chi sta "sotto" – ché l'"ascensione sociale" è parolaccia davvero d'altri tempi –, quanto tra chi sta "fuori" e chi sta dentro", sottomesso quanto estromesso. «Non è emarginazione e neanche più sfruttamento – ha scritto di recente Barbara Spinelli, nel suo blog –, ma è brutale espulsione. Siamo di fronte alle vecchie classi impoverite, a una classe media declassata e in preda allo spavento, a nuove classi che addirittura vengono private di un nome, e tutte ci dicono, come il Commendatore nel Don Giovanni: "Ah, tempo più non v’è" 
A posto così. A ciò mi sento solo di aggiungere, appunto, che non è più nemmeno il tempo di "Ah, la mia...!", eccetera.
Foto di Vittorio Greco

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