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10 ottobre 2016

Autunno a Bidderosa

Non ricordo più da chi ho sentito questa storia quando ero bambina; forse dalla catechista, o forse alla radio, magari a Cararai. Non so. Fatto sta che di tanto in tanto, pur essendomi sottratta ormai da tempo immemore da ogni catechesi e pure da tutti i Cararai, mi torna in mente come un invito alla rassegnazione o a una resa sfinita alle cose non volute e involute, ma troppo più grandi della mia capacità di contrastarle.
– Signore, hai detto che non mi avresti mai abbandonata, ma mi sono voltata e ho visto solo le mie orme sulla spiaggia.
– Sono le mie che ti tengo in braccio.

7 ottobre 2016

H

Non ero più entrata al San Francesco da quando è morta mamma, poco più di un anno fa, e dunque ancora non avevo visto l'esito dei lavori che al suo ingresso sono durati un tempo infinito e, spesso, disagiato. Così, oggi, come sono entrata nell'immenso androne realizzato, ho avuto la suggestione di accedere al Teatro La Fenice, ma disadorno. C'era solo un omino al centro di una specie di recinto, che mi fa: "signora, il numeretto deve prenderlo di là, oltre il proscenio". A lato una donna, piccolissima anche lei e circondata di piante, piantine, orchidee come alberi, più alte di lei. Ho preso il numeretto, prenotate le analisi e sono tornata nell'androne, attraversandolo in diagonale, che sono più di cento passi, sino ai fiori. Mi sentivo triste e io non la sopporto la tristezza, mi sembra una mancanza di rispetto di sé, e quando posso reagisco. Ho comprato un ciclamino, per il buon augurio, per la tiroide ballerina, che fa vedere teatri negli androni degli ospedali.

25 settembre 2016

Un ricordo dell'Avvocato Gallo

Conoscevo abbastanza bene l'anziano editore di Juvence, Alessandro Gallo, avendo collaborato con lui in diverse occasioni: per la fiera "Oltre mare" di Napoli, per la sempre grande Torino (vedremo cosa accadrà, adesso...), per le "Conversazioni del Mediterraneo" nelle città della Val di Noto, in Sicilia, per "Più libri, più liberi" a Roma, per presentazioni e rassegne in Sardegna. Ci siamo confrontati nel tempo su tanti aspetti culturali ed editoriali: aveva un grande esperienza e lavorava dando fiducia e strumenti. Fu uno dei miei punti di riferimento gli anni in cui io mi sono intensamente occupata della realizzazione e della cura di una bellissima collana di narrativa che ha ospitato anche autori e autrici del composito mondo arabo. Era un uomo d'"altri tempi", un vero uomo di cultura, e ci davamo del lei. Fui felice il giorno che lui, non certo facile ai complimenti, mi disse: "Lei è molto abile". "Abile" non me lo aveva mai detto nessuno e, dunque, lì per lì non riuscii ad afferrare bene la valenza che dava Gallo alla parola, ma archiviai con tranquillità e gratitudine sentendo di avere la sua non scontata stima, la sua fiducia.
L'Avvocato Gallo, così lo chiamavo, oltre a essere un editore puro (in Juvence, che ha un catalogo di alto livello scientifico, ha veramente investito un patrimonio) è morto qualche tempo fa. Oltre al dispiacere personale, per averlo conosciuto da vicino, anche ospite della sua bella casa romana, ho temuto per il suo progetto editoriale, perduta la guida, consapevole di come non sia facile, soprattutto in Italia, resistere sul fronte delle letterature arabe contemporanee. La "mia" collana, intanto, praticamente non esiste più: è ferma, inattiva, essendo stata, per così dire, buttata alle ortiche, ossia progettata in una situazione in cui erano e sono carenti gli strumenti che possono derivare soltanto dall'autentica consapevolezza del valore del progetto. Il valore che, appunto, ha sempre dato Gallo al suo e che anche io davo al "mio": il nostro grande punto in comune, e forse, chissà, la mia "abilità". Veniamo al dunque.
Oggi apprendo con gioia, invece, che, morto l'Avvocato Gallo, i miei timori su Juvence erano infondati: la piccola casa editrice ha resistito, ce l'ha fatta. Pertanto, ricordando l'amico editore, volentieri faccio pubblicità a quest'ultima sua pubblicazione. Lunga vita a Juvence.

31 gennaio 2016

Time

... la vita è una serie di equivoci che ci conducono alla verità finale, l’unica verità.
 Roberto Bolaño, Notturno cileno
Georgia O'Keeffe photographed on the roof of her Ghost Ranch home in New Mexico, 1967 (by John Loengard—The LIFE Picture Collection/Getty Images. (Fonte immagine e didascalia: Time)

4 novembre 2015

A la cinco de la tarde

Mannaggia, ho già gli incubi; così il mio Hal 9000 la prima notte del ritorno al social, dopo tanti mesi d'assenza: "Disattivare account... Allerta: disattivare account...". Mumble. E se la gente riprendesse a scriversi lunghe e-mail e a incontrarsi per un tè a las cinco de la tarde? Ma anche no. E magari solo incontrarsi per caso e sedersi a perdere tempo al tavolo del primo caffè sotto tiro, o, più semplicemente, naturalmente, accettare viaggi senza ritorno: andarsene, scomparire. (Ciao core.)

30 novembre 2012

Lexicon 80

Erano i tempi dell’università, avevo 21 anni e durante l'inverno avevo come sempre cercato e trovato un lavoro che mi potesse consentire di viaggiare l'estate senza dover ancora pesare sui miei. Così in quella stagione, per tre pomeriggi alla settimana, mi recavo da Piazza Sempione al quartiere Prati, a casa di un anziano oculista di origini polacche – ebreo di Varsavia, di idee comuniste – per ascoltare e trascrivere, con la vecchia ma perfettamente funzionante Olivetti che mi aveva messo a disposizione, il lungo racconto della sua infanzia, del matrimonio fallito, dell'incasinatissima famiglia d'origine e del suo sterminio… Non so che fine abbia fatto il dottor D., che a giugno dello stesso anno partì in Svizzera dov’era solito passare l'estate. Io non volli seguirlo, soprattutto perché avevo capito che più del suo racconto era il bisogno di essere ascoltato che non avrebbe avuto mai fine. 
Lo ricordo con affetto e anche con gratitudine, per avermi aperto al suo presente fatto di piccole cose. Abbiamo fatto più volte “colazione” insieme (lui chiamava così, con vezzo antico, quel che per me era un normale pranzo). Certe sere mi chiedeva timidamente di fermarmi a cena, e una volta accettai. Fu grazie a lui che scoprii la bontà del pane azimo, dello yogurt greco, di certi biscotti che gli preparavano le amiche, suore del Vaticano. Era il medico degli occhi del Papa di allora.


17 febbraio 2012

Nursery Cryme

Play me my song
Here it comes again
Just a little bit
Just a little bit more time
Time left to live out my life

19 ottobre 2011

Quel candore e anche quel freddo


E qual cervo ferito di saetta
Col ferro avvelenato dentr'al fianco
Fugge, e più duolfi quanto più s'affretta.
Francesco Petrarca, Sonetto CLXXIII

13 settembre 2011

Rayuela 25

C'est une nuit conventionnelle,
Un chien aboie, une chouette hulule,
Les prisonniers dans les cellules
Rêvent de creuser un tunnel.
Thomas Fersen, Pièce montée des grands jours

13 settembre 1986 – 13 settembre 2011

9 settembre 2011

Tago

Ma il tempo non si trascura impunemente: il tempo è quel non-so-che che nessuno vede con gli occhi o tocca con le mani, di cui lo stesso orecchio non percepisce direttamente il fluire, che non ha né forma, né colore, né odore, che nessun pensiero concepisce, che non è né una dimensione, né una forma, né una categoria, che è dunque quasi-inesistente e che è, nonostante questo, la cosa più essenziale di tutte. Se non si prende in considerazione questo fattore invisibile e impalpabile oltre che ineffabile, ci si espone ai più gravi disinganni.
Vladimir Jankélévitch, La morte, traduzione di Valeria Zini, Einaudi, Torino 2009, p. 293.

Tra le tante, almeno una sciagura ci è risparmiata: non conosciamo con certezza la data in cui ciao ciao. Per i tanti che credono nella sua esistenza, solo God sa, e per i Greci ha questo dono Prometeo, il titano che regalò agli umani la tecnica. Così sono la tecnica e l'ignoranza che ci consentono di affrontare ogni giorno l’esserci o il vivere in "una modalità del futuro illusoria" (Jankélévitch, op. cit., 142). Vorrei avere il coraggio di rifiutare veramente le tante forme di consolazione che cultura, filosofia, scienze hanno inventato per rendere sensata l’insensatezza del non essere più dopo essere stati. "ll tempo non esiste", dice. Ma non scherziamo. È talmente prezioso che, anche volendo (ma non voglio), non riesco più a perderne.

Terrazza sul Tago, Lisbona, novembre 2009

1 settembre 2011

El tótem de los cuentos clásicos

Un paradosso del nostro tempo è la revoca dell’orizzonte tempo, il differirlo in un eterno rinvio, altro che eterno ritorno. La sua trama si infrange per essere riallestita in modo opaco e caotico in una mappa dove chiari sono solo i segni del rapporto doloroso tra la nostra umanità negletta e la storia. Il tempo è dilazionato, concesso a ore, sfibrato e lacerato nelle sue strutture interne e nel suo fluire storico ed esistenziale. Dalla struttura negata si succede la concessione dei giorni, come il resto di un conto che lascia soltanto le briciole. A questa frustrante dimensione sembrano sfuggire soltanto gli artisti o coloro che hanno potenti capacità di sogno declinate in una solitudine liberatrice.  

Ill.: Javier Sáez Castán. 

5 agosto 2011

Staccando


Lo vede dall'alto, come lo aveva visto allora, e anche la porzione è quasi identica; vede l'aereo in linea di decollo all'inizio del campo e si chiede, come si era chiesto allora, se ciò che aveva pensato da diversi giorni si può fare, se non è un po' troppo scendere di quota con un otto largo all'orizzonte, presentarsi sul campo bassissimo e passargli veloce; vede il terreno che scorre rapido sotto e poi la fila d'alberi e poi l'aereo sulla sinistra, appena staccato da terra e subito di nuovo giù; vede il Giura che si avvicina, e per un attimo gli sembra di non farcela, finché non sente la cresta sotto di sé. Vede il giovane che lo aspetta, prima in mezzo al campo con le braccia conserte, e poi sulla piazzola; lo vede fare un passo avanti, alto com'è, con le sopracciglia lunghe, circonflesse, e immagina già cosa pensa. Vede Pietro Brahe in una bolla di plexiglass contro un cielo artico, vede un tedesco biondo in un'altra bolla che gli parla con l'alfabeto muto; vede un cinese che si ferma a Ginevra tra un aereo e l'altro per regolare una questione di centimetri, seccato che qualcuno gli faccia storie, e quando si accorge che il rumore di fondo è stato ricucito la cosa gli piace, gli piace che il giovane che ha davanti si sia permesso di imbrogliare uno come lui, gli sembra così ci sia una continuità, e che tutto possa andare avanti. Vede Gilda che accosta una porta con le mani dietro la schiena, vede Brahe che si sfiora un sopracciglo; li vede entrambi che dormono, lei col viso nell'ascella di lui, lui col naso vicino al suo orecchio; vede la donna che al buio, in un castello, dove ormai si orizzonta benissimo, si accorge che una finestra è stata aperta, e dice al figlio: «Ti avevo raccomandato di non farlo»; vede Brahe e Rüdiger e un uomo più anziano, vestito in un modo molto colorato, che risalgono in superficie da un acceleratore dopo una notte cruciale, stupiti di essere fuori, usciti definitivamente dalle azioni e dai gesti e dalle emozioni di fino a poco fa, e si guardano senza parlare, per non rompere l’intimità di ciò che li ha legati; vede un editore che sale in macchina per Zurigo, ma al primo motel lungo la strada dice all’autista «Fermiaci qui», e in camera si sfila la cravatta e si stende sul letto senza togliere la coperta e cerca di ricordare, ma proprio bene, ma proprio nei dettagli, il luogo e l’ora e la luce e com’era lui stesso quando un giovane spilungone con gli occhi grigi, figlio di un cartografo tedesco e di una madre inglese, gli ha portato il suo primo manoscritto, e pensa che adesso non ce ne saranno più, e si chiede come mai, e mentre se lo chiede piano già si addormenta. E vede Brahe che nel sole basso del mattino, lo stesso sole che c’è fuori della galleria, taglia il Quai Gustave Ador saltando gli stop i semafori i vigili, in una guida davvero insolita per Ginevra, e guarda l’orologio sul cruscotto, e imballa il motore col piede metà sul freno e metà sull’acceleratore per non perdere nemmeno una frazione di secondo, e imbocca il piazzale contromano, e lascia la macchina nella fila dei taxi, e corre, alto com’è, sulla gomma scannellata della stazione, leggendo al volo il tabellone delle partenze, pensando già a dov’è il binario, ma all’incrocio con la galleria gli resta nella coda dell’occhio l’immagine di un uomo con i capelli bianchi fermo davanti a una vetrina, che guarda con le braccia conserte un plastico di treni elettrici, che ha visto tutto questo e che in questo istante, nell’istante stesso in cui Brahe gli si para davanti col fiatone, smette di vederlo.
«Credevo che non sarei mai arrivato in tempo».
«C’è ancora qualche minuto».
«Ho sentito la radio».
«Anche per te ci sono novità».
«È una giornata di molte novità».
«Bene».
«E adesso?»
«Adesso dovrebbe cominciare una storia nuova».
«E questa?»
«Questa è finita».
«Finita finita».
«La scriverà qualcuno?»
«Non so. Penso di no. L’importante non era scriverla, l’importante era provarne un sentimento».


Daniele Del Giudice, Atlante occidentale, Einaudi, Torino 1985, pp. 150-152.  

30 dicembre 2009

Anni nuovi

Laggiù sta la morte, ma niente paura. Afferra l'orologio con una mano, prendi con due dita la chiavetta, falla girare dolcemente. Adesso si apre un altro periodo, gli alberi dispiegano le loro foglie, le barche corrono le loro regate, il tempo come un ventaglio si va empiendo di se stesso, e da lui sbocciano l'aria, la brezza della terra, l'ombra di una donna, il profumo del pane. Che vuoi di più? Che vuoi di più? Legalo presto al tuo polso, lascialo battere libero, fa di tutto per imitarlo. La paura arrugginisce le àncore, ciascuna delle cose che si potevano raggiungere e che fu dimenticata sta corrodendo le vene dell'orologio, incancrenendo il freddo sangue dei suoi rubini. E laggiù sta la morte se non corriamo e arriviamo prima e non comprendiamo che non ha più nessuna importanza.
Julio Cortázar, Storie di cronopios e di fama, traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini, Einaudi 1981, p. 25.

One week (1920), Edward F. Cline, Buster Keaton

25 luglio 2009

GUIDE TURISTICHE – 1. Norvegia





"Io non ho omicidi da raccontare, ma gioie e sofferenze e amori. E l’amore è pericoloso e violento quanto un omicidio.
Tutti i boschi sono verdi ormai, ho pensato stamattina mentre mi vestivo. Guarda, la neve si scioglie sulle montagne, ovunque le bestie scalpitano per uscire dalle stalle, e le finestre delle case sono spalancate. Mi sbottono la camicia e lascio che il vento mi soffi contro, mi sento posseduto dalle stelle, da un’intima irrequietezza, è come tanti anni fa, quando ero giovane e più impetuoso di adesso. Ci sarà forse un bosco, penso, a est o a ovest di qui, dove un vecchio può sentirsi bene quanto un giovane. È lì che andrò."

(Knut Hamsun, Un vagabondo suona in sordina [Ev vandrer spiller med sordin], 1909; traduzione dal norvegese di Fulvio Ferrari, Iperborea, Milano 2005, pp. 11-12)