28 febbraio 2011

Vuoi dire che

"Oh, adesso viene il bello!" pensò Alice. "Sono contenta che comincino gli indovinelli, ci si può arrivare!" soggiunse a voce alta.
"Vuoi dire che pensi di poter trovare la risposta?" disse la Lepre Marzolina.
"Proprio così!" disse Alice.
"Allora dovresti dire quello che pensi" continuò la lepre Marzolina.
"Lo faccio sempre" rispose Alice d'un fiato. "Almeno… almeno penso quello che dico… che è la stessa cosa, no?".
"Non è la stessa cosa per niente" disse il Cappellaio, "sarebbe come dire che 'vedo ciò che mangio' è la stessa cosa di 'mangio ciò che vedo'!".
"Sarebbe come dire" aggiunse la Lepre Marzolina, "che 'mi piace ciò che prendo' è la stessa cosa di 'prendo ciò che mi piace'!".
"Sarebbe come dire" soggiunse il Ghiro, che sembrava parlare nel sonno, "che 'respiro quando dormo' è la stessa cosa di 'dormo quando respiro'!".
"Ma è la stessa cosa per te!" disse il Cappellaio, e qui la conversazione languì, e i convitati rimasero in silenzio per qualche minuto, mentre Alice passava in rassegna tutto quello che sapeva su corvi e tavolini, cioè non molto.
Fu il Cappellaio a rompere il silenzio: "Quanto ne abbiamo oggi?" disse rivolto ad Alice: aveva tirato fuori l'orologio di tasca e lo guardava perplesso, scuotendolo di continuo e portandolo all'orecchio.
Lewis Carrol, Alice nel paese delle meraviglie, traduzione di Aldo Busi, testo originale a fronte, Feltrinelli, Milano 1993, p. 101.
Illustrazione di Chiara Carrer

27 febbraio 2011

Accade

Accade che nella sua delusione un uomo conservi una specie di attaccamento per il mondo serio; è così che Sartre descrive Baudelaire nello studio che gli ha dedicato. Baudelaire sente un cocente rancore nei confronti dei valori della sua infanzia, ma il rancore implica ancora del rispetto; soltanto il disprezzo libera. Egli ha bisogno che l'universo da lui rifiutato si perpetui, per detestarlo e beffeggiarlo; è l'atteggiamento demoniaco, come l'ha descritto anche Jouhandeau: si mantengono con ostinazione i valori dell'infanzia, quelli di una società o di una Chiesa, per poterli calpestare. Il demoniaco è ancora molto vicino alla serietà, vuole credervi, la conferma per la sua stessa rivolta: si esperisce come negazione e libertà, ma non realizza questa libertà come liberazione positiva.
Simone de Beauvoir, Per una morale dell'ambiguità, Garzanti, Milano 1975, p. 41.


25 febbraio 2011

Da un'altra polvere

Una cosa, a lato, rattrista: il dittatore non solo ha infangato il "suo" paese determinando un destino terribile per le genti, ma ne ha anche tagliato lingue, culture, voci. A ben altro, infatti, si è sempre riferito il nome Libia, ancora oggi, nonostante l'urlo di ribellione umanissima, tragica, che si leva dalle sue contrade: nella proiezione esterna Libia è solo gas e petrolio… Be', questo post è simbolicamente dedicato al "resto".
Alle voci neglette

"Aveva scavato solchi nel deserto aggrappato alla coda del pezzato, era precipitato nel baratro tenebroso, era morto ed era rinato, senza mai piangere. Ed ecco che quella notte singhiozzava senza riuscire a frenarsi, come se a piangere non fosse lui, ma un’altra persona che gli dormiva accanto, dormiva in lui, e sulla quale egli non aveva alcuna autorità; un’altra persona che osservava i suoi gesti e ne spiava le mosse, senza farsi vedere. Che significava tutto questo? Era mai successo prima a un altro essere umano nel deserto?
Si alzò senza fare rumore e uscì dalla capanna. Fuori, il rosso dell’alba fendeva le tenebre nell’oasi, ma i galli non avevano fretta di annunciarne la nascita, o forse volevano custodirne il segreto. Solo la schiera di grilli continuava solitaria a intonare i canti della veglia. Anche il pezzato aveva trascorso la notte insonne. Lo trovò ritto sulle lunghe zampe e il muso rivolto verso est, afflitto, che assisteva muto al levarsi del nuovo giorno, mentre il cammello aratore, dall’altra parte della capanna, accanto a una palma dai fitti rami, ruminava con un’espressione stupida, indifferente a tutto. Ukhayyad si rese conto di come la tristezza del pezzato, in quella posizione e a quell’ora precoce del mattino, avesse un che di sacro. Come appariva orribile l’altro cammello in confronto, con quell’aria stupida e imperturbabile e l’animo libero da affanni. Com’è orribile l’aspetto di una creatura il cui cuore non sia oppresso dall’angoscia! Solo la tristezza è in grado di accendere la scintilla divina nei cuori. Lo stesso valeva anche per gli esseri umani? Lo sheikh Musa diceva sempre che Dio tra le sue creature predilige i sofferenti e gli afflitti e che anzi mette alla prova quelli che più ama."
Ibrahim al-Koni, Polvere d'oro, traduzione dall'arabo di Maria Avino, Ilisso, Nuoro 2005, p. 93.


Nato nel 1948 a Ghadames e cresciuto nel deserto del Fezzan secondo le tradizioni dei Tuareg, Ibrahim al-Koni apprese l'arabo classico solo a dodici anni, quando cominciarono i suoi studi, che concluse a Mosca con una tesi su Dostoevskij. Un dato biografico che già dice di come Al-Koni si sia nutrito di diverse suggestioni intellettuali che assieme hanno concorso fare della sua narrativa un esempio luminoso di meticciato e ibridazione culturale. Nei suoi romanzi le evocazioni della Bibbia sono accanto a quelle del Corano e dei culti preislamici – solo per citare un esempio –, insieme ai riferimenti alle genealogie tribali del Sahara e delle mitologie Tuareg, a una certa atmosfera tragica presente nei grandi classici della letteratura russa. Le sue narrazioni sono così quasi senza tempo (in Polvere d'oro, ad esempio, lo sfondo storico è dato da un unico accenno all'occupazione colonialista italiana, tragica e stracciona) della Libia –, leggendaria, fa di Ibrahim al-Koni l'ultimo interprete di un'immensa tradizione orale che con lui si fa scrittura altissima. 
Con Al-Sadiq al-Nayhum, al-Koni è tra i rari scrittori libici contemporanei tradotti in Italia.

24 febbraio 2011

Un anno all'Asinara

Sull'isola erano sbarcati pensando di rimanerci giusto il tempo di un week end, invece sono ancora lì, autoreclusi nelle celle dell'ex carcere dell'Asinara per difendere i loro posti di lavoro nella chimica. A 365 giorni di occupazione pacifica, per i cassintegrati della Vinyls il futuro è ancora un buco nero. Leggi qui. 
 

23 febbraio 2011

Primavera non bussa

Ma per questo è necessario restare calmi, solo la calma non ci può tradire. E Amalfitano chiese: tutto il resto ci tradisce? E la voce: sì, in effetti sì, è duro doverlo ammettere davanti a te, ma è la pura e semplice verità. L'etica ci tradisce? L'onestà ci tradisce? La curiosità ci tradisce? L'amore ci tradisce? Il coraggio ci tradisce? L'arte ci tradisce? Be', sì, disse la voce, tutto, tutto ci tradisce, o tradisce te, che è un'altra cosa ma in questo caso è lo stesso, tranne la calma, solo la calma non ci tradisce, e nemmeno questo, te lo riconosco, è una garanzia. No, disse Amalfitano, il coraggio non ci tradisce mai. E nemmeno l'amore per i figli.  Ah no?, chiese la voce. No, disse Amalfitano, sentendosi di colpo calmo.
Roberto Bolaño, 2666, traduzione di Ilide Carmignani, Adelphi, Milano 2007, p. 263. 



STONCK!

Zzzzzzzzzzzzzzzzzzzz... 

20 febbraio 2011

La sceneggiatura dei sentimenti e le tangenti

"Truffaut non ama ritagliare, buttare via, scartare. Anche nei suoi film si avverte questa tensione nostalgica nei confronti di tutto quanto la finzione è costretta, inevitabilmente a eliminare. Raccontare significa anche ritagliare via, rifiutare tangenti e ipotesi, sacrificare altre finzioni: egli sembra provare perfino un po' di nostalgia verso quelle valigie, quelle persone, quelle lettere, coinvolte in un film e disertate dall'occhio del cinema, che nessuno aprirà o degnerà più di uno sguardo.
Forse conosce anche lui quell'inquietante testimonianza di Marshall McLuhan che, avendo sottoposto alcuni film a degli africani non alfabetizzati, scoperse con stupore e interesse che questi badavano soprattutto ai personaggi che scomparivano dallo schermo, erano soprattutto sensibili alla loro progressiva esclusione: dove sono finiti, che storia hanno avuto?
   Così – racconta McLuhan – eravamo costretti a ripensare le storie in modo diverso, mettendoci dentro  un sacco di cose che per noi non erano necessarie. Dovevamo seguire il personaggio lungo la strada, fin quando non avesse voltato l'angolo. Egli non poteva semplicemente uscire dallo schermo.
Un aneddoto che certo sarebbe piaciuto a Truffaut. Anche lui, nelle sue lettere, non cancella mai. Si pone una domanda, la verifica, e si risponde da solo, magari in un post-scriptum. Ammette un errore, ma non lo occulta del tutto, vi sovrappone una correzione, ci lascia una traccia.
Così è più che esplicito con Helen Scott:
   Mi dispiace aver iniziato la mia risposta aggressivamente, senza aver trovato poi il coraggio di sbatterla via e ricominciare da capo.
Non è vera ignavia, la sua: ama troppo i sentimenti, per potersene liberare disinvoltamente. Preferisce stratificare: anche i sentimenti, come le sceneggiature, sono delle tappe, e si possono perfezionare."

Da: "Sisifo felice o L'uomo che amava le lettere", saggio introduttivo di Marco Vallone a Autoritratto. Lettere 1945-1984 di François Truffaut, a cura di Sergio Tuffetti, Einaudi, Torino 1989, pp. LIV-LV.

19 febbraio 2011

Metti una sera a cena

LE E-MAIL DEL GIORNO DOPO

Sono felice che sei stata con noi, ma anche mi dispiace che ti sia sforzata così tanto, reduce com'eri da una brutta influenza. Cara. Spero che tu oggi stia meglio. Goditi questa bella giornata di sole, grazie ancora. Un abbraccio.
P.S.:  Non era mai capitato di stare insieme così a lungo e ieri ho potuto constatare quanto tu sia bella, veramente.
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Carissima, stavo veramente male, più di quanto non dessi a vedere, ma avevo davvero voglia di stare con voi, non mi importava di partecipare, mi piaceva sentirvi. Spero, nonostante le mie zanne e il pelo ispido, di vederti più spesso. Sto un po' meglio, grazie. Anch'io ho pensato di te che sei proprio bella, lo sai? Hai dei capelli e occhi bellissimi, grandi. Con 2 o 3 infiltrazioni di botulino saresti un sogno. Naturalmente, dovresti ricordarti di non corrugare.
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:D :D :D :D
Raquel c'entra poco, però mi piace. 

11 febbraio 2011

LA MUMMIA SI È DIMESSA

IN ALTO I CUORI!




Hanno vinto i ragazzi di Tahrir!
Hosni Mubarak si è dimesso, nel Venerdì dell’Addio, nel 18mo giorno della rivoluzione del 25 gennaio. Hanno vinto i ragazzi che erano nati, cresciuti, vissuti sotto l’era Mubarak e che gli hanno imposto di lasciare: la sedia, il potere, il Cairo. Hanno vinto i ragazzi egiziani perché hanno portato per mano fratelli maggiori, padri, madri, nonni, sino a piazza Tahrir. Con tenacia, intelligenza, pazienza, nonviolenza. Alla faccia di chi li ha descritti come naive.
I ragazzi, i blogger, la generazione Facebook, i disoccupati, i poveri, gli universitari hanno vinto, sfidando un regime e un sistema. Sfidando le strategie regionali, l’Occidente, la paura (vera? presunta? instillata?) dell’islam politico, la Realpolitik a tavolino, l’uso di categorie anziane… Hanno vinto, con tenacia e coraggio.
Poi, tra un’ora o due, penseremo e rifletteremo sul passaggio dei poteri alle forze armate (e dunque non a Omar Suleiman). Ma ora onore ai ragazzi, a una generazione che ha trascinato il popolo in piazza. Agli invisibili di cui finalmente ci siamo accorti. A me, a quasi cinquant’anni, questi ragazzi hanno dato una lezione di vita. E non posso non dire loro “grazie”, shukran ya shabab, dal più profondo del mio cuore.
Paola Caridi, vedi Invisibile Arabs

10 febbraio 2011

Pintàndhe

E CANDHO SI NON COMO?

Sas piazzas de dumìnica, tréichi vrevàrju, in Sardigna:
CASTEDDHU, à sa ùndighi e' manzànu, piazza Amendola
CARBONIA, à sas dechemmésa 'e manzànu, piazza Roma
IGLESIAS, à sas tres de vorta 'e die, piazza Sella
L'ALGUER, à sas chimbe 'e vorta 'e die, piazza Civica
NÙGORO, à sas tresemmésa 'e vorta 'e die, in piazza Vittorio Emanuele
OLBIA, à sas battor 'e vorta 'e die, piazza Mercato
ARISTÀNIS, à sas ùndighi 'e manzànu, piazza Eleonora
THÀTTARI, che Aristànis 'e tottu, in piazza Italia. 
A mimme mi paret chi cadiùna si depet ponner s'isciàrpa 'e su colore chi l'aggradat de prus, finzas nuddha. Eo, si b'at sole meda, mi pònzo sa pagliétta.
(Sa pitzìnna disegnande in s'arena 'e su mare l'at pintàda Luisanna Atzei.)

8 febbraio 2011

Ballade vois

Ballade ballade vois
chi sos ballos sun sos vostros,                                        
cando an' a bènner sos nostros
amus a ballare nois.


Scatolophon

Il laboratorio tra musica, matematica e scrittura mi sta proprio divertendo, e i ragazzi e le ragazze che vi partecipano sono splendidi, alla qualunquistica faccia di chi pensa che siano una massa informe. Speriamo di poterlo dire anche con un "prodotto finale", tra non molto, anche se a essere più importante è la strada per arrivarci.

Se non ora, quando?



E se Turandot ti ammorba, prova con l’Aida.

4 febbraio 2011

Madri, filosofi e rose

A memoria di rosa, non si è mai visto morire un giardiniere.

La citazione (che non è di Diderot, come spesso capita di sentire, ma di Fontenelle) aleggia per tutto il dialogo tra lo scrittore illuminista e mademoiselle de l'Espinasse, in La rêve de d'Alembert, scritto da Diderot nel 1769. 
Mi torna in mente questa mattina, dopo aver letto il messaggio di Ruth, che racconta di quel che le ha detto ieri sua madre mostrandole l’inaspettata fioritura nel suo balcone:
– Veni, 'izza mea, vàdia, es vrorìa una rosa 'e ghennàrgiu, est una bellesa a la vìere… Eh, sa vida vinchet sémpere, finas in sas avversidàdes e in sos affànnos.

La madre, la rosa, La rêve… 
Non è forse la stessa malinconica saggezza, la stessa consolazione infinita, dignitosa e tremante del materialismo?

Giovanni Giani, Il mattino delle rose. L'attesa (1906)

2 febbraio 2011

Bastat gài


Oje, ind’unu social network, un'amica istimada att'iscrìttu: "Sono una donna e dico basta alle foto delle donne che dicono sono una donna e dico basta."
Ache' rider?
Amimme no, anzi m’es pàssia una cosa seria, e divattis l'appo rispostu chi finzas  eo nde soe iffadàda de custu abc chin sas figurinas, ma chi cumpredo peri chi issu est una risposta elementare provocada dae s'enormidade e dae sa prufundidade 'e s'isfàsciu culturale chi nos attòrniat. Una risposta, namus, chi nàschit dae su vattu chi non nde semus (si nde sunu!) abbizzaos e abbizzadas tropp'attàrdu chi su disastru es grave, e duncas, como comente es como, cada pratica es vona pro intervènnere. Zertu, custa de sas fotografias de eminas chi nan chi no, semper fotografias sunu, e postas in pubblicu sichin solu a cuffirmare chi semus semper in intro 'e su jocu de da soziedade 'e s'ispettàculu.
E issa, s'amica istimada, at derett’azzùntu "È vero e sono totalmente d'accordo: è l'insofferenza per questo genere di iniziative, la sensazione sgradevole che diluiscano l'indignazione e la capacità di mobilitarsi e reagire. (D'accordo, abbiamo avuto il futuro, adesso fateci essere anonimi per 15 minuti.)"
Comente podides cumprendere su social network est unu mezzu chi non cussentit de nde l'acher longa, però pesso chi s'argumentu meritet abberu unu rejonamentu prus profundu e bos naro chi m'itt’ aggradau de nde poder chistionare chin issa, ma nd’est innedda, e duncas nde arrejono innòche.
S'ispaziu miticu chi curat – Spazio Azzurro, si narat – nos ammustrat chin puntualidade medas esempios, chi como eo no isco si sunu reales ma, zertu, si sun’ imbentaos, a sa realidade assimìzzana meda: sun realistas. Su capu 'e su guvernu si es’ semper attaccau a s'indice ‘e gradimentu de sos italianos pro voccàre accàmpu cad'iscusa chi aret giustificau sas ischértas de guvernu e finzas de s'istìle 'e vida suo, e arr'azze istìle, bagassèri vezzu chi no est àtteru. Ma andhamus addìannantis: sa audience de su pubblicu suo at leggittimau s'àvula prus manna, mascaràndhela in veridade 'e regime, chi es solu varzidade chi négat s'evidénzia. Como ja es ciàru che una die 'e sole: tottus nde chistionan, finzas sos giornales chi sun semper istettios a s'ala sua. Su premier est unu cussumadore compulsivo de una sessualidade a pacamentu, offerta dae eminas chi sun pezzi a theràcchinzu suo. Eminas, finzas zovaneddhas, sun solu "badanti sexi" – comente iscriet Manuela Scroccu – de unu regime oramai vezzu predàle, chi in ciàmbu de sesso, at semper dàu posticcheddos de velina o postònes de parlamentare (aùve l’erìat-l’erìat, a sa mind’affutto): unu signale chi cada si siat de postu occuppàu dae una emina, semper theràcca est, iss'idea sua, e mescamente a signale de su dispréju mannu chi isse juchet de sas istituziones democraticas. Es' custu su vattu prus lampànte de una idea testata – comente iscrien’ in sos tubettos e in sas iscatuléddhas de sas cremas e de sos truccos  – ca isse ischìat chi su populu suo (televisivu) it prontissimu a l'osannare finzas in custos atteggiamentos. Sa orza de persuasione de sas televisiones berlusconianas (e non solu) at criau su homine novu e, vorzis, finzas sa emina nova: una emina chi dat cara a sos potentes (compiacente si narat in italiano) e asservìa, theràcca de una pantùma mercificada e offensiva de sa dignidade 'e sas eminas, in primis, ma de s’identidade 'e sa pessona gai tottu. Non ostante custu torronzu cuncretu de sa persuasione, comunque sas eminas de sa realidàde – chi no si vijonan de isculettare in mesu a palos de lap dance e a caddhos celestes,  mannos che a sos de veru, comente paret chi s’esseret arredada sa sala de cinema d’essai de su presidente [sic!] – non reséssit galu a accattàre un'espressione chi andet prus assupra de s’indignazione: lettholos biancos in sas ventanas, cassarolas e padeddhas a chimentare sa piazzas in zittàde,  iniziativas comente a "sono una donna e dico basta" de  repubblica.it (chi si non ses de umore vonu non b’achene mancu ridere, cussas fotografias!), a cuglire virmas in cada punta 'e locu, eccetera.  Insomma, est una protesta finzas bella, leggittima, ma s’atta arrimàre in cue si non resessit a diventare una voche chi pozzat realmente influire. Depimus torrare a facher unu caminu longu, homines e eminas, pitzinnos e pitzinnas, custa es sa veridade nuda e cruda, e no es gai semplice. Chi Sisifo nos azzudet! Chi Zobbe nos sichet a dare sa passenzia 'e sos pianetas chi giran in s'universu! Intantu eo dia chèrrer chi si cuìttet a torrare a votare, e imprésse puru, e ispèro chi sos rappresentates de sa politica italiana nos pònzen' in sas condiziones de poder esercitare su dirittu e su dovere nostru chin dignidade e cussènzia... Ma innòche torro a ponner su sale in sa erìda, ja l'isco.

Chissà cosa c'è scritto in questa locandina. Mi piace molto.