25 febbraio 2011

Da un'altra polvere

Una cosa, a lato, rattrista: il dittatore non solo ha infangato il "suo" paese determinando un destino terribile per le genti, ma ne ha anche tagliato lingue, culture, voci. A ben altro, infatti, si è sempre riferito il nome Libia, ancora oggi, nonostante l'urlo di ribellione umanissima, tragica, che si leva dalle sue contrade: nella proiezione esterna Libia è solo gas e petrolio… Be', questo post è simbolicamente dedicato al "resto".
Alle voci neglette

"Aveva scavato solchi nel deserto aggrappato alla coda del pezzato, era precipitato nel baratro tenebroso, era morto ed era rinato, senza mai piangere. Ed ecco che quella notte singhiozzava senza riuscire a frenarsi, come se a piangere non fosse lui, ma un’altra persona che gli dormiva accanto, dormiva in lui, e sulla quale egli non aveva alcuna autorità; un’altra persona che osservava i suoi gesti e ne spiava le mosse, senza farsi vedere. Che significava tutto questo? Era mai successo prima a un altro essere umano nel deserto?
Si alzò senza fare rumore e uscì dalla capanna. Fuori, il rosso dell’alba fendeva le tenebre nell’oasi, ma i galli non avevano fretta di annunciarne la nascita, o forse volevano custodirne il segreto. Solo la schiera di grilli continuava solitaria a intonare i canti della veglia. Anche il pezzato aveva trascorso la notte insonne. Lo trovò ritto sulle lunghe zampe e il muso rivolto verso est, afflitto, che assisteva muto al levarsi del nuovo giorno, mentre il cammello aratore, dall’altra parte della capanna, accanto a una palma dai fitti rami, ruminava con un’espressione stupida, indifferente a tutto. Ukhayyad si rese conto di come la tristezza del pezzato, in quella posizione e a quell’ora precoce del mattino, avesse un che di sacro. Come appariva orribile l’altro cammello in confronto, con quell’aria stupida e imperturbabile e l’animo libero da affanni. Com’è orribile l’aspetto di una creatura il cui cuore non sia oppresso dall’angoscia! Solo la tristezza è in grado di accendere la scintilla divina nei cuori. Lo stesso valeva anche per gli esseri umani? Lo sheikh Musa diceva sempre che Dio tra le sue creature predilige i sofferenti e gli afflitti e che anzi mette alla prova quelli che più ama."
Ibrahim al-Koni, Polvere d'oro, traduzione dall'arabo di Maria Avino, Ilisso, Nuoro 2005, p. 93.


Nato nel 1948 a Ghadames e cresciuto nel deserto del Fezzan secondo le tradizioni dei Tuareg, Ibrahim al-Koni apprese l'arabo classico solo a dodici anni, quando cominciarono i suoi studi, che concluse a Mosca con una tesi su Dostoevskij. Un dato biografico che già dice di come Al-Koni si sia nutrito di diverse suggestioni intellettuali che assieme hanno concorso fare della sua narrativa un esempio luminoso di meticciato e ibridazione culturale. Nei suoi romanzi le evocazioni della Bibbia sono accanto a quelle del Corano e dei culti preislamici – solo per citare un esempio –, insieme ai riferimenti alle genealogie tribali del Sahara e delle mitologie Tuareg, a una certa atmosfera tragica presente nei grandi classici della letteratura russa. Le sue narrazioni sono così quasi senza tempo (in Polvere d'oro, ad esempio, lo sfondo storico è dato da un unico accenno all'occupazione colonialista italiana, tragica e stracciona) della Libia –, leggendaria, fa di Ibrahim al-Koni l'ultimo interprete di un'immensa tradizione orale che con lui si fa scrittura altissima. 
Con Al-Sadiq al-Nayhum, al-Koni è tra i rari scrittori libici contemporanei tradotti in Italia.

Nessun commento: