16 aprile 2013

Ciao Maria

... E io ho conservato per tanti giorni ancora s'achisorgiu, la brocca di argilla colma di monetine, il piatto azzurro con i frutti del melograno, e ho chiesto a Ruth di lasciare il quadro sulla fucilazione dell'anarchico Michele Schirru. Mi piace guardarlo, nel centro della sala di lettura,  appeso a una catenella fissata al soffitto, distante dalla parete come un altare buddista.
Momenti di bellezza nel mare delle inquietudini che attraversano le isole...
Ritorna, Maria. 
Tornate tutti.
Tanta buona vita a te, agli amici del borgo di Alassaiad, e saluta il mare.
Nascar, p. 24.

Ulassai, 27 settembre 1919 – Cardedu, 16 aprile 2013

9 aprile 2013

Le parole nuove

Era il giorno della festa di Santa Barbara, protettrice dei minatori, e per la prima volta mio nonno mi portò a una gara poetica, tediandomi ai limiti della vertigine. Le voci dal palco mi arrivavano come una nenia monotona e triste, e così, non appena nonno si distrasse incantato dal tenore e da Zizi e Pazzòla, gli lasciai la mano e corsi in piazza a vedere la bancarella dei giocattoli. 
Lì davanti un gruppo di minatori discuteva animatamente intercalando al sardo parole inaudite, che alle mie orecchie sembravano oscene, insomma “parolacce” (proibite a casa mia). Intanto nonno, che già mi cercava, mi raggiunse, trovandomi imbronciata. “Sono maleducati questi signori”, gli dissi indicando il capannello e snocciolandogli le parolacce ascoltate: "verticalizzazione", "pinerolo", "gabbie salaliali", "scippo" e "scioppo". Ricordo che mi abbracciò ridendo sonoramente, poi mi riprese per mano e ci incaminammo verso casa. Lungo la strada mi parlò di un villaggio di raccoglitori di banane, di una compagnia battente bandiera americana che di tanto in tanto arrivava a portarsi via il raccolto, dando una paga da fame ai contadini poveri. E raccontando mi spiegò le parole nuove.

Il nuovo nell'ignoto

«Dovessi individuare due parole per descrivere questi anni io direi: “separazione” e “rimozione”. La separazione avviene per mezzo della soddisfazione virtuale della socialità, i nervi sembrano appagati nell’auto-intrattenimento del social network e la cognizione del dolore è occultata. La rimozione è invece un processo di smaltimento di ciò che un determinato sistema, neuronale o politico, considera come una minaccia o un peso.
A essere rimossa, oggi, è un’intera generazione, “un accumulo / di prole in disavanzo” per cui il meccanismo storico non ha previsto alcun presente. Il mito di Crono che mangia i suoi figli, e cioè l’epoca in cui stiamo vivendo, rimuove a sua volta il proprio sistema culturale e filosofico di riferimento. Come spiega il filosofo Mario Perniola ciò avviene come una forma di protezione da sensi di colpa strutturali. L’organismo-società smarrisce la coscienza di sé esattamente come l’omicida rimuove il proprio raptus o rovina nella nevrosi di fronte a una contraddizione troppo grave.
Un poeta ha il “compito” di scoprire nuove verità, cioè di trovare una differenza “sentimentale e perciò filosofica” (Leopardi) in grado di stabilire un conflitto significativo con il dato di fatto presente, con “l’immobilità delle cose che ci circondano” e che, secondo Proust, “è imposta loro dalla nostra certezza che si tratta proprio di quelle cose e non di altre, dall’immobilità del nostro pensiero nei loro confronti”. Questa è la sua funzione, che è sempre una funzione di sabotaggio e di eresia.
Ma dove sono, oggi, i poeti? Come le falde acquifere scorrono e si incontrano nell’underground terrestre, sotto la crosta secca della comunicazione ufficiale. I nuovi poemi “avvengono” lì dove è necessario: in una fabbrica, in una scuola, in una stanza di qualche quartiere-dormitorio di provincia, in un paese di montagna o in qualche interstizio della metropoli. Ovunque ve ne sia necessità e dove tale esigenza trovi gli strumenti necessari a esprimersi nelle forme del pensiero estetico. Forse non ce ne siamo ancora accorti e il miracolo della sorgente poetica si è già verificato all’interno di uno dei nostri campi nomadi o in un centro di identificazione e espulsione. Forse non sarà più un nativo a comporre il poema della nuova Europa. La storia non è finita, la ricerca è aperta e il fermento continua, anche se non se ne parla. Ma perché non se ne parla
Davide Nota, Lettera a un giovane poeta in Italia, L’Unità, 8 aprile 2013.
Alighero Boetti, Tutto, 1994.