2 novembre 2014

Per sempre amici

John Lurie e Jean-Michel Basquiat erano grandi amici. Dipingevano spesso insieme, oppure il primo si esercitava al sax mentre il secondo dipingeva. Lurie racconta che "c'era una meravigliosa quasi bambinesca libertà" nel loro modo di lavorare, "a volte passava qualcuno e si metteva a camminare sulla tela su cui stava dipingendo: a Jean-Michel non poteva fregarne di meno. È quello che mi piaceva di lui — anche se io non sono mai riuscito a raggiungere quel suo livello di abbandono. Se qualcuno mi cammina sulla tela, dico...". E niente, erano grandi amici, ma come spesso capita tra grandi amici avevano caratteri molto diversi. 
Così, soltanto ieri, con l'intervista di Angelo Aquaro a Lurie*, ho scoperto che il musicista dei miei adorati Lounge Lizards, nonché attore di amati vecchi film di Jim Jarmush, è anche un geniale pittore. C'è una parte dell'intervista che mi ha divertito particolarmente, tanto è surreale, allorquando Aquaro chiede conto del titolo dato al dipinto che ritrae una specie di fantasma bianco su campo verde, dove il titolo colpisce più del dipinto: "Il dipinto è bello e agghiacciante —  domanda Aquaro —, ma a proposito del titolo 'Ho bisogno di sapere se dopo la morte c'è vita e ho bisogno di saperlo piuttosto in fretta', ha ricevuto qualche risposta?". "Sì", risponde Lurie. "Sarebbe?". "No, guardi, non glielo posso proprio spiegare. Cioè, potrei anche: ma non ho nessuna intenzione di farlo qui." Un dialogo surreale, e a me sembra di vedere la faccia, la sua faccia com'era...
John Lurie e Jean Michel Basquiat
*John Lurie. Non ho fatto nessuna fine, La Repubblica, 2 novembre 2014, pp. 32-33.

19 luglio 2014

Sidun (Sidone)

"Sidone è la città libanese che ci ha regalato oltre all'uso delle lettere dell'alfabeto anche l'invenzione del vetro. Me la sono immaginata, dopo l'attacco subito dalle truppe del generale Sharon del 1982, come un uomo arabo di mezz'età, sporco, disperato, sicuramente povero, che tiene in braccio il proprio figlio macinato dai cingoli di un carro armato. /.../ La piccola morte a cui accenno nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo, bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese: il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea." (Fabrizio De Andrè) 

18 luglio 2014

Tutto quello che sembra

Tutto quello che sembra acqua in realtà è petrolio. 
Pozzi e paludi ricoprono il territorio. 
Il petrolio è ingannevole perché riflette il cielo. 
Il petrolio cerca di camuffarsi come acqua.
Testo e fotogrammi da "Apocalisse nel deserto" (1992) di Werner Herzog.

14 giugno 2014

Inventare nuovi spazi

"Non avevo altri esempi di arte figurativa nel paese dove sono nata e cresciuta. C'erano i tappeti che le donne tessevano copiando gli stessi motivi da generazione in generazione e i pizzi e i loro pani delle feste, ma ero incuriosita dai contorni delle rocce, dai fili d'erba e soprattutto dai grandi vuoti, dal senso infinito di quei paesaggi vastissimi. Questi mi condizionavano in modo che può sembrare contraddittorio: infatti, da quello spazio immenso mi sentivo imprigionata. Avevo la necessità vitale di inventare nuovi spazi." 
Da un'intervista di Giuseppe Dessì a Maria Lai, [s.a.]
Maria Lai, Pastorello con capretta, Ulassai (2005)

25 maggio 2014

Ciak

Clint Eastwood che si imbrana sfilando la pistola dalla fondina; il suo poncho che svolazza al vento donando all'"eroe" un'aria di insolita fragilità; ancora Eastwood e Gian Maria Volontè che scoppiano a ridere fragorosamente; altri ciak... Un piccolo commovente film derivato dai tagli di "Per un pugno di dollari" (1964) di Sergio Leone, ritrovati grazie alla Cineteca di Bologna in occasione del restauro della pellicola e realizzato dalla  Cineteca insieme a Unidis Jolly Film. 
Gli Outakes 'ritrovati' sarà presentato da Quentin Tarantino in chiusura del Festival di Cannes 2014. 
Buona visione.

Per A.

24 maggio 2014

Cuore di cane

Certamente la violenza esiste. Un uomo è insieme libertà e fatticità: egli è libero, ma non di quella libertà astratta che ponevano gli Stoici, è libero in situazione. Si deve distinguere qui, come ci suggerisce Descartes, la sua libertà e la sua potenza; la sua potenza è finita, e dall'esterno è possibile aumentarla o ridurla: si può gettare un uomo in prigione, farlo uscire, tagliargli un braccio, prestargli delle ali. Ma la sua libertà rimane in ogni caso infinita; l'automobile e l'areoplano non mutano in nulla la nostra libertà e nemmeno le catene dello schiavo subiscono mutamenti: liberamente egli si lascia morire o raccoglie le proprie forze per vivere, liberamente si rassegna o si ribella, sempre si supera.
La violenza può agire soltanto sulla fatticità dell'uomo, sulla sua esteriorità. Anche quando lo ferma nel suo slancio verso il suo fine, la violenza non lo colpisce nel suo stesso cuore; infatti egli è ancora libero di fronte al fine che si proponeva; voleva la sua riuscita senza confondersi con essa, può trascendere il suo fallimento come avrebbe trasceso il suo successo. Ecco perché, anche, un uomo fiero rifiutava la pietà come rifiutava la gratitudine: egli non è mai appagato, ma non è mai disarmato, non vuole che lo si compianga: è al di là della sua felicità, come della sua infelicità.
Simone de Beauvoir, Pirro e Cinea, in: Per una morale dell'ambiguità, traduzione di Andrea Bonomi, Garzanti, Milano 1975, p. 169. 

29 gennaio 2014

Ago e Filo

Intellettuali d'oggi, idioti di domani, ridatemi il cervello che basta alle mie mani. Profeti molto acrobati della rivoluzione. Oggi farò da me, senza lezione ♪♫

22 gennaio 2014

L'ora d'aria

«Nuoro, una piazza. Un luogo di ritrovo dove l'unica luce è quella del fuoco, elemento che richiama la dimensione primitiva dell'uomo e la sua tendenza a riunirsi attorno ad esso. Il deserto del buio provinciale è colmato dai ragazzi la cui presenza, dove la luce del fuoco non arriva, è percettibile solo grazie alle sigarette, delle piccole lucciole in mezzo alla notte. Arriva il contrasto con un'altra dimensione: la luce dei fari; il loro bagliore interrompe la "danza" della tribù. In questo specifico caso questa forte luce artificiale è al servizio delle telecamere, occhi esterni che ricordano ai ragazzi di non essere soli in quel cortile dove consumano la loro "ora d'aria".» 
Autore: Agostino D'Antonio

13 gennaio 2014

Non avere più nessuno a cui chiedere consiglio

 Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto;
io sono orgoglioso di quelle che ho letto
J.L. Borges

«Proprio ieri il New York Times ha dedicato un articolo al tema del lettore non più solitario, ma solo. L'indagine muove da Virginia Woolf, che nel 1925 notava quanto fosse difficile leggere un romanzo. Ebbene, se ciò era vero circa un secolo fa, ora l'impresa risulta ben più ardua. Infatti, da un lato la capacità di concentrazione risulta atrofizzata dal multi-tasking (il piacere-dovere di svolgere più occupazioni insieme), dall'altro appare spesso disturbata dalle attrattive di iPad, iPhone o computer. Ecco allora la principale fonte di smarrimento che ha colpito il lettore: la perdita di quella dimensione spirituale che Simone Weil chiamava "attenzione", e un filosofo quale Malebranche definiva "preghiera naturale dell'anima".
Subito dopo una simile menomazione, chiunque voglia oggi affrontare un libro degno di questo nome (e non i prodotti di consumo battezzati da Andrea Coltellessa "monnezzoni scala-classifica"), si imbatterà in un'altra difficoltà, dovuta alla scomparsa della critica letteraria giornalistica.
In tutto l'Occidente, da metà Ottocento, la stampa contemplava la presenza di una figura semi-sacrale, un professionista delle lettere chiamato a orientare il pubblico in base alle proprie riconosciute competenze. Inutile ricostruirne l'estinzione (basti dire che sin dal 1893 Sainte-Beuve vedeva i rischi di una "letteratura industriale"). Certo è che ormai la sua funzione è stata sostituita da quella di testimonial, tifosi, acquirenti.
E qui va riportata una definizione di Tiziano Scarpa: così come al musicologo è subentrato il dj (ossia disc-jockey, dal termine inglese "fantino", per indicare colui che "monta" un disco, spingendolo sulle vette della top ten), ora è la volta del bj, o book-jockey, che sprona i libri verso l'empireo dei best-sellers. Ecco quindi cantanti, attori, comici o semplici lettori pubblicizzare libri. Il risultato è ovvio: la verticalità gerarchica della rubrica letteraria si è trasformata nell'orizzontalità rizomatica del blog, oppure si leggono semplicemente le recensioni dei lettori su Amazon o, addirittura, i passaggi dell'opera che gli stessi hanno sottolineato di più nei loro Kindle. Invece del consulto professionale di uno specialista (fiscalista, idraulico, ortopedico), ci si scambia pareri fra clienti, utenti, malati. Altrimenti detto, sarebbe come salire il Cervino, affidandosi a un collega d'ufficio o a un chitarrista, piuttosto che a una guida alpina. In tal modo, alla fisiologica solitudine del lettore, se ne è aggiunta un'altra, patologica e deontologica: non avere più nessuno a cui chiedere consiglio.»
Da La solitudine del lettore, un articolo di Valerio Magrelli ne La Repubblica di domenica 12 gennaio, pp. nn.

Carrie Schneider, "Bianca reading Sylvia Plath" (Ariel, 1966)

12 gennaio 2014

Lettere dal Sonora

Aragon, Artaud, Breton, Crevel, Desnos, Éluard, Prévert, Tzara, Cahun, Jean Arp, Buñuel, Dalí, Max Ernst, Giacometti, Iché, Magritte, Matta, Miró, Man Ray, Tanguy... Se fossero vivi canterebbero, filmerebbero, scolpirebbero, dipingerebbero i curricula strepitosi che volano nel deserto.

6 gennaio 2014

Il cielo di gennaio

"Cosa fai in piedi così tardi?"
"Sto contando le stelle."
"Ne conosci davvero tutti i nomi?"
"Sì, certo."
"Quante ne hai contate?"
"Cento."
"Ce ne sono molte più di un cento."
"Lo so."
"Perché hai smesso?"
"Cento sono sufficienti. Una volta che ne hai contate cento, tutte le altre centinaia sono uguali."