30 novembre 2015

فاطمة مرنيسي‎

"… Devi solo concentrarti su quel piccolo tondo di cielo che se ne sta sospeso sopra il pozzo. C’è sempre un pezzetto di cielo verso cui si può alzare la testa. Allora, non guardare in giù, guarda in alto, su, su, su, e ne verremo fuori! Prenderemo il volo!"
La terrazza proibita, traduzione dall'inglese di Rosa Rita D'Acquarita, Giunti, Firenze 1996, p. 162.
 Fatema Mernissi 
Fès, 1940 – Rabat, 30 novembre 2015
Oggi è morta la sociologa e raffinata studiosa nata a Fès 75 anni fa. Lo ha annunciato il suo editore italiano. Un lutto che non colpisce soltanto la cultura marocchina, bensì l'intera cultura del Mediterraneo: "la cultura libera", come ha scritto la giornalista Paola Caridi nel suo blog, che significativamente si chiama Invisible Arabs. 
Scoprii l'opera di Mernissi, tanti anni fa, con L'harem e l'Occidente, che mi aprì a un mondo critico al femminile sin lì sconosciuto e che ebbi subito il desiderio di approfondire. Cosa che feci nel tempo, traendone grande arricchimento umano, culturale e professionale. Le sono infinitamente grata.

25 novembre 2015

La strada che non presi

Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.

Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata,
sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.

Ed entrambe quella mattina erano lì uguali,
con foglie che nessun passo aveva annerito.

Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io -
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.*


Robert Frost
 
Giacomo Balla, Il dubbio, 1907 
 * Mi scuso per non sapere il nome di chi ha tradotto: non sono riuscita a trovarlo. Sin qui ne conoscevo la traduzione di Giovanni Giudici, ma questa la preferisco. Peraltro è da tempo che, rileggendo la poesia, cercavo di mettere a fuoco un'immagine, ma anche quella l'ho cercata inutilmente: nella memoria, nei paesaggi italiani di Ghirri, nei campi giallli e nell'église blu di Van Gogh, nei sentieri che si biforcano di tanti fotogrammi... Sino a quando, stasera, un'amica la ha posata con grazia sul tavolo di cucina, insieme alla caraffa del tè. Ce l'aveva lei, io non lo sapevo.

Biscotti

È un po' il destino dei segni quello di rimandare ad altri segni, all'infinito, sino a vederne annacquato il significato originario (messicano, in questo caso, legato all'installazione di Elina Chauvet sulla strage delle donne e delle bambine di Ciudad Juarez); com'è anche un po' il loro destino quello di vedere proiettato arbitrariamente il loro senso originario in segni similari, alimentando grandi confusioni (ricordo, ad esempio, una ridicola petizione contro una pubblicità di scarpe rosse di un noto marchio del made in Italy, addittata per avere "espropriato" il simbolo della lotta contro il femminicidio nel fatto di propagandare delle calzature femminili di quel colore). I simboli aiutano a capire, a riconoscere subito di cosa si sta parlando (ma a volte anche no).
Comunque questi biscotti a forma di cuore finemente decorati con la glassa rossa sono molto carini. Ohibò.

17 novembre 2015

Fole di viaggio in ordine di arrivo

I sardi raccontati da chi li osserva dall'esterno, dagli “altri”, i non-sardi. Una prospettiva che a suo tempo appassionò Sergio Atzeni, attratto dallo studio delle “fole”, che lo scrittore provò a smontare in un libro uscito postumo con un titolo di presentazione programmatica: Raccontar fole (Sellerio, 1999). Interessante la lettera che presentava il testo al suo primo destinatario, l'allora direttore de “L'Unione Sarda” Massimo Loche: “Acclusa troverai la follia – descrizione della vita sarda a cavallo fra Sette e Ottocento, quando altrove si facevano Rivoluzione industriale e Rivoluzione Francese – costruita usando soltanto scrittori non sardi: italiani, tedeschi, francesi, inglesi. I sardi del passato non raccontati da se stessi ma da un occhio esterno: un po’ perché a quel tempo da sé non si raccontavano – chi scriveva preferiva inventare storie giudicali –, un po’ perché gli stranieri sono talvolta divertenti, un po’ perché l’occhio esterno vede con più freddezza, con meno affetto”.
L'attenzione verso gli elementi del vero e del falso nella descrizione della Sardegna ritorna oggi nel bel volume Viaggiatori italiani e stranieri in Sardegna (Alfa Editrice, 2015) a opera dello storico della letteratura sarda Francesco Casula, che arriva in libreria subito dopo il varo di due preziosi tomi, a firma dello stesso autore, riuniti sotto il titolo Storia della letteratura e della civiltà in Sardegna, proseguendo, quindi, l'importante intrapresa dello studioso nella costruzione di compendi di taglio critico e didattico. Convince subito la sapiente struttura del libro: Casula presenta il singolo “viaggiatore”; espone il motivo del suo soggiorno nell'isola; riassume i punti salienti del resoconto di viaggio, mettendolo anche a confronto e in contraddizione con altri coevi; informa sui pareri critici di autorevoli analisti in merito ai resoconti dei viaggiatori (talvolta non concordanti, come nel caso, ad esempio, delle osservazioni di Giulio Angioni e Sergio Atzeni in merito alle descrizioni di Joseph Fuos in Notizie sulla Sardegna, edito a Lipsia nel 1780, tradotto e pubblicato in Italia nel 1899); espone, da storico, la sua analisi (sul “viaggiatore” citato, ed esempio, esordisce: “Certo è che Fuos scopre il contrasto tra un territorio bellissimo e dalle ricchezze inesauribili e le sue difficili condizioni sociali ed economiche...”); riporta tutte le edizioni e riedizioni dei singoli resoconti, nonché i titoli dei saggi che li riguardano, e l'insieme bibliografico è dato in maniera discorsiva nel corpo del testo, interno ai contenuti riguardanti le descrizioni dei viaggi, sicché pregio dell'opera è anche l'avere evitato un numero considerevole di note, senza nulla togliere alla profondità dello scavo; infine, propone significativi stralci di lettura del resoconto del “viaggiatore”, per cui il risultato è straordinariamente interessante anche per la varietà dello stile linguistico e letterario dei molteplici autori. ... [Continua aprendo il link] Bastiana Madau, I viaggiatori italiani e stranieri in Sardegna, Il manifesto sardo, 16 novembre 2016. 
Fonte immagine: La Sardegna di Thomas Ashby. Fotografie 1906-1912, Carlo Delfino, Sassari 2014.

13 novembre 2015

Tipi, stili, tipi-tiponi, tipi così così

«[In] quest'epoca che rimbomba dell'orribile sinfonia dei fatti che producono notizia e delle notizie che sono colpevoli dei fatti [...]. Nei regni della povertà della fantasia, dove l'uomo muore di carestia spirituale senza accorgersi della sua fame spirituale, dove le penne sono intinte nel sangue e le spade nell'inchiostro [...]. Chi ha qualcosa da dire si facciavantietaccia.» Così Karl Kraus, uno dei principali autori satirici e critici del linguaggio del XX secolo, citato da Alfonso Berardinelli nel saggio dal titolo “Tipi, stili, poteri intellettuali”, contenuto nel pamphlet recentemente pubblicato dall'editore Enrico Damiani 12 apostati, 12 critici dell'ideologia italiana. L'aforisma di Kraus rende bene l'idea su cui Filippo La Porta, curatore del volume, ha chiamato a riflettere 12 autori e autrici sul tema dell'attuale produzione editoriale italiana. Ciascuno di essi lo ha fatto con il proprio stile e da una particolare prospettiva, facendo emergere la generale assenza di testi intellettualmente “disturbanti” e piuttosto appiattiti sui fatti, con esiti consumabili e consumati nel giro di una stagione di mercato. I brevi saggi che compongono il volume sono scritti da Paolo Morelli, Guido Vitiello, Camilla Baresani, Matteo Marchesini, Massimo Onofri, Vittorio Giacopini, Daniela Ranieri, Silvia Perrella, Paolo Febbraro, Franca D’Agostini, Alfonso Berardinelli, Giuseppe Samonà, più il curatore Filippo La Porta. Particolarmente interessanti sono i saggi di Onofri – che tramite l'analisi di alcuni autori italiani di successo, si interroga su ciò che “la funzione D’Annunzio” continua a rappresentare, in relazione a ciò che chiama “dannunzianesimo degradato di massa, che di quella specie di «superuomo» rappresenta, forse, la declinazione più replicata” –, di Samonà – scrittore che ha ormai trascorso quasi tutta la vita all'estero e che propone una bella riflessione sul laboratorio “transnazionale e transculturale”, dove la lingua italiana si traduce e autotraduce in costante confronto con le altre lingue del mondo –, di Vitiello – che, a partire da un volume fotografico contenente 99 ritratti di scrittori e scrittrici italiani d'oggi, parla di una mera "fiera della vani", estranea, dunque, alla scrittura che lascia un segno. Insomma, 12 apostati 12 critici dell'ideologia italiana – insolito nella sua forma collettiva e, dunque, tutt'altro che uniforme in quanto a punti di vista – è un cahier de doléances che sta facendo discutere, a sua volta sottoposto a giudizi critici, in quanto non esente da qualche eccesso di saccenza. D'altra parte, visto il progetto rivelato già nel titolo, se non facesse discutere si rivelerebbe come un libro inutile, no? Leggetelo.
Bastiana Madau

10 novembre 2015

Da qualche tempo

[Da qualche tempo, quando capita di rileggerla, mi domando se Borges, oggi, avrebbe riscritto l'ultimo verso...]

Los Justos

Un hombre que cultiva un jardín, como quería Voltaire.
El que agradece que en la tierra haya música.
El que descubre con placer una etimología.
Dos empleados que en un café del Sur juegan un silencioso ajedrez.
El ceramista que premedita un color y una forma.
Un tipógrafo que compone bien esta página, que tal vez no le agrada.
Una mujer y un hombre que leen los tercetos finales de cierto canto.
El que acaricia a un animal dormido.
El que justifica o quiere justificar un mal que le han hecho.
El que agradece que en la tierra haya Stevenson.
El que prefiere que los otros tengan razón.
Esas personas, que se ignoran, están salvando el mundo.


Fotogramma da Le fiamme di Nule (2010) di Carolina Melis

4 novembre 2015

A la cinco de la tarde

Mannaggia, ho già gli incubi; così il mio Hal 9000 la prima notte del ritorno al social, dopo tanti mesi d'assenza: "Disattivare account... Allerta: disattivare account...". Mumble. E se la gente riprendesse a scriversi lunghe e-mail e a incontrarsi per un tè a las cinco de la tarde? Ma anche no. E magari solo incontrarsi per caso e sedersi a perdere tempo al tavolo del primo caffè sotto tiro, o, più semplicemente, naturalmente, accettare viaggi senza ritorno: andarsene, scomparire. (Ciao core.)

3 novembre 2015

Vince Uollì

Ho rivisto "Cosa sono le nuvole?" di Pier paolo Pasolini, uno dei 6 episodi diretti da diversi registi che compongono il film Capriccio all'italiana, del 1968Getaway! di Sam Peckinpah, del '72; Wall.e, noto lungometraggio d'animazione del 2008, realizzato da Pixar Animation Studios in coproduzione con Walt Disney Pictures. E niente, riflettevo su quanto sia incredibilmente videogenica una discarica di rifiuti. Solo questa, naturalmente, rappresenta il comune denominatore dei film citati, ma ciò basta a tenere indissolubilmente legate, nella mia memoria, tre visioni diversissime. 
Naturalmente vince Uollì.

2 novembre 2015

In forma di rosa, in forma di nuvola


Io  me ne starò là, 
qual è colui che suo dannaggio sogna
sulle rive del  mare
in cui ricomincia la vita.
Solo, o quasi, sul vecchio litorale
tra i ruderi di antiche civiltà,
Ravenna, Ostia, o Bombay – è uguale –
con Dei che si scrostano, problemi vecchi
– quale la lotta di  classe –
che
si dissolvono…
 

1 novembre 2015

Eravamo d'accordo

«Fuori dall'Italia, insomma, ho passato oramai più della metà della mia vita […] e l'ho amato, quel fuori, di un amore intenso, l'ho fatto mio dentro, pur via via convincendomi che nessun luogo, tanto meno quello in cui per caso son nato, Roma, era mio, o meglio, che tutti i luoghi lo erano, e anzi quelli del fuori diventato dentro più del mio dentro originario, proprio perché in qualche modo eletti, scelti. Che vuol dire sentirsi italiani all'interno di un tale itinerario?
La lingua, e più particolarmente come la si scrive. […]
Mischiando Ortega y Gasset e Proust, aggiungo: non c'è miglior scuola di scrittura che quella di doversi giostrare, per vivere, tradursi, fra diverse lingue; o ancor più radicalmente: sempre, al di là e contro ogni retorica della – inesistente – purezza, l'estraniamento agisce al cuore di chiunque pensa e scrive, anche dentro la propria lingua: sempre strappiamo senso, traduciamo, reinventiamo una lingua a partire da un'altra, anche se per ventura lavoriamo con una soltanto. Ed è un lavoro mai finito.»
Giuseppe Samonà, 12 apostati 12 critici dell'ideologia italiana, Enrico Damiani Editore, [s.l.] 2015, pp. 111-112.

«Eravamo d’accordo perché le lingue perdano il loro orgoglio ed entrino nell’umiltà dei linguaggi, dei linguaggi liberi, dei linguaggi folli, dei trasalimenti che li rendono disponibili a tutte le lingue del mondo: eravamo d’accordo perché una traduzione non sia una chiarificazione, ma diventi la messa a disposizione di un elemento nella diversità del mondo in una lingua che la accolga. Eravamo d’accordo perché una traduzione non vada da una pura a un’altra lingua pura, ma organizzi l’appetito reciproco delle lingue nell’ossigeno impetuoso del linguaggio. Eravamo d’accordo perché una traduzione non tema più l’intraducibile, ma annoveri e fecondi tutti gli intraducibili possibili. Eravamo d’accordo perché una traduzione onori anzitutto l’irriducibile opacità di ogni testo letterario; perché, in questo mondo che ha infine una possibilità di risvegliarsi, il traduttore diventi il pastore della Diversità. Il paese di Sergio è una terra di linguaggi, d’ombra e di luce, e di diversità. Egli capiva ciò che io dicevo. Lo sapeva già.»
Patrick Chamoiseau, Pour Sergio, in La grotta della vipera, n. 72/73, 1995, pp. 22-23.