28 maggio 2010

Campagna elettorale


Megafoni a palla in giro per le strade della città. 
Io ho deciso. E chiudo la finestra.

18 maggio 2010

Palabra en el mundo

Grazie in particolare ad Alessandro, Francesco, Mauro e alla biblioteca dell'ISRE. Grazie alla signora Mura che ieri sera ci ha onorato con la sua presenza! 
Un bacio a tutti, arrivederci. 

14 maggio 2010

La fotografia, la gioia senza motivo

Ho conosciuto Sebastiana Papa a Orgosolo, nel 1998, in occasione della sua mostra intitolata Il femminile di Dio, che allora avevo proposto all'amministrazione comunale guidata da una sindaca giovane e in gamba (in quegli anni lavoravo lì come direttrice della biblioteca e responsabile dell'area dei servizi culturali). L'idea mi venne quando scoprii che anche il paese barbaricino era stato attraversato dalla ricercatrice-fotografa romana sin dal 1966, quando vi arrivò per la prima volta – giovane, curiosa, silenziosa – con la sua Leyca. Così alcune delle fotografie scattate all'epoca fecero il giro del mondo, con un libro e una mostra inaugurata da Sonia Gandhi nel 1995, e acquisite dal museo d'arte contemporanea di New Delhi. Forse chi ha visto l'esposizione da me curata (o conosce il catalogo) ricorderà l'immagine del funerale a Orgosolo accanto a quella delle donne ritratte a Praga nel 1969 al corteo funebre di Jan Palach. 
Ecco, fu proprio con quel lavoro che Sebastiana ritornò a Orgosolo, confermando e consolidando la simpatia e l'affetto per la gente. Non è facile, dato il legame personale nato allora e coltivato sino alla fine, non far entrare in questa breve testimonianza le emozioni, ma vado avanti nel racconto essenziale. Fu grazie anche alla nostra amicizia che nacque il libro Orgosolo (Farhenheit 451, Roma 2000), una ricerca fotografica condotta nel 1966 e nel 1998, che contiene la narrazione fotografica della quotidianità del presente e del recente passato, senza che mai mettere in primo piano, ma anche senza nascondere, il segno in essa di un paese violento e, insieme, dolce e vittima. Così gli abitanti sono ritratti nella loro veste più antieroica e a-turistica, quella che si svela solo agli sguardi periferici, non frontali. Nel libro ci sono tante madri, ragazze e bambini, le cui immagini sono disincantate ma non condizionate, a confortarci del fatto che l'arte può ancora distruggere le distorsioni della realtà. La relazione di Sebastiana con il suo prossimo, qui come altrove, è riuscita a sovvertire i cliché della fissità mitografica sui luoghi, cogliendo le costanti della vita in una quotidianità vissuta intensamente da uomini e donne che qui e non altrove, per misteriosa fortuna, sono chiamati a lasciare un segno di cittadinanza sulla Terra.

Sebastiana se n'è andata in silenzio il 19 aprile del 2002, colpita da una malattia inesorabile, così come nel silenzio e nella riflessione aveva dedicato la sua vita a fermare nelle immagini l’anima delle persone che ritraeva. "Tutti i giorni del calendario hanno una cicatrice e taluni ne hanno due", scrive David Grossman, amico della fotografa, nella prefazione all'ultimo dei suoi lavori dedicati (ancora) al Medioriente (Il Kotel. Il muro metafisico). Io ho avuto l'onore di redigere invece la postfazione di Orgosolo. Cercatelo, è un bel libro. 

Le sue ultime parole per me sono nel biglietto di auguri speditomi dall'India durante quello che sarebbe stato il suo ultimo Natale: "Cara amica, quanto più questo mondo è dolente, tanto più noi dobbiamo coltivare la gioia senza motivo". 
(Dovrei passare allo scanner qualche sua foto per metterla qui, ma preferisco invece invitarvi a cercare i suoi diversi e bellissimi libri.)

Il remoto e il quotidiano. India: danza e gesto (1978)
(Foto aggiunta al post il 31 agosto 2011.)

11 maggio 2010

Il punto di vista di Batman

Quando qualche giorno fa ho visto Night Shadows (1921) alla mostra romana di Hopper, mi è sembrato di trovarmi davanti a un un quiz dello zombi

… su un vecchio film di Kubrick, magari.



Un pomeriggio a Villa Pamphilj


Wieslaw Walkuski


Wiktor Sadowski

"La Pologne? La Pologne? Dev'esserci un freddo terribile, vero?" mi ha chiesto, e ha tirato un sospiro di sollievo, infatti sono saltati fuori tanti di quei paesi che la cosa migliore è parlare del clima.
"Oh Signora" vorrei risponderle "i poeti del mio paese scrivono in guanti.
Non dico che non se li tolgano mai; quando la luna scalda allora sì. In strofe composte di grida tonanti, perché solo questo penetra attraverso il mugghio della tempesta, cantano l'esistenza semplice dei pastori di foche.
I classici incidono con ghiaccioli d'inchiostro su cumuli di neve. Gli altri, i decadenti, piangono sul destino con stelline di neve. Chi si vuole annegare deve avere una scure per fare un buco nel ghiaccio.
Oh, Signora, mia cara signora!"

È così che vorrei risponderle.
Ma ho dimenticato come si dice foca in francese.
Non sono sicura del ghiacciolo e del buco nel ghiaccio.
"La Pologne? La Pologne? Dev'esserci un freddo terribile, vero?"
"Pas du tout" rispondo glacialmente.

Wisława Szymborska, Piccole cose (1962); traduzione di Pietro Marchesani

Rafal Olbinski
* Curioso staccarsi per un momento dal gruppo degli amici sdraiati al sole dopo un festoso pic-nic ed entrare in uno spazio abitato da immagini inattese. Parlo della mostra di manifesti del teatro polacco beccata ieri pomeriggio alla Casa dei Teatri di Villa Pamphilj, oltremodo sorprendente per il mio casuale passaggio nei paraggi. Così di questa emozione, mettialola così, ho voluto lasciare una sintesi, mentre quella del pic-nic (festeggiavamo il compleanno di Vittoria) è racchiusa nella battuta: "Il mirto di Simonetta sposta dall'ombra le panchine."

7 maggio 2010

Fuoco greco


C'è un poeta, Seferis, che ha scritto: abbiamo passato tremila anni tra marmi, templi, tra filosofia e tragedia, tra le glorie del passato e c'è un popolo che muore.

6 maggio 2010

Dell'umiltà e grandezza



C’è un fondo di arroganza, come ammettono alcuni scrittori, nel processo letterario? 
Per quanto riguarda me e il mio lavoro, no. Altrimenti sarei un perfetto idiota. Scrivere è un atto di umiltà, tutto il contrario dell’arroganza. Quando scrivo non c’è spazio che per l’umiltà. Prima di me, tanti altri si sono seduti allo stesso tavolo e hanno lavorato con gli stessi strumenti, piuma, inchiostro, macchina per scrivere, computer. Autori grandissimi che leggo e rileggo. Impossibile provare arroganza. Puoi solo sentire timore o umiltà. E non sono un tipo timoroso.

Roberto Bolaño, da una intervista tradotta da Federico Bona, che puoi leggere integralmente qui.

3 maggio 2010

Sardinia blues


[...]
E gli sorrido e mi siedo sul divano accanto a loro a bere il caffè come un ragazzo educato e rispettoso e gli chiedo come va il lavoro e ascolto la sua lunga risposta e guardo le foto del loro ultimo viaggio a Roma o Venezia o Bosa o Carloforte e dico che sono molto belle e prendo i cento euro che lui mi regala e vado via e li maledico
Lascio la loro casa a schiera nell'inferno postmoderno di periferia in cui sono andati a dannarsi e maledico il loro amore incomprensibile e questa donna che ha rubato mio padre, e la mia stupidità che mi fa credere così diverso e forse migliore di loro e so che non è vero e che solo ci siamo persi per sempre e che non c'è soluzione e che sarà così sino alla fine e mi fa male, – Che Dio abbia pietà di voi –, grido dal finestrino all'orrore archittetonico che avvolge i loro giorni, – Che Dio ascolti le vostre preghiere –, grido

Flavio Soriga, Sardinia blues, Bompiani, Milano 2008, p. 71-73.