31 dicembre 2010

L'annaffiatoio

Di colore verde, custodito nella baracca accanto ai rastrelli e alle pale, prendeva vita allorché lo si riempiva d'acqua dello stagno, e poi dal suo beccuccio ecco riversarsi un'abbondante pioggia sulle aiuole rinsecchite, in un gesto - e lo sentivamo - di grande benignità verso le piante. Chissà, però, se l'annaffiatoio avrebbe avuto tanta parte fra i nostri ricordi qualora non fossimo stati educati a osservare le cose. Perché malgrado tutto, lo siamo. I nostri pittori imitano di rado gli olandesi e le loro nature morte, ma la fotografia aiuta a prestare attenzione ai particolari, e i film ci hanno insegnato che gli oggetti sullo schermo partecipano delle vicende dei personaggi e devono perciò essere notati. E poi ci sono i musei, dove vengono esposti quadri che celebrano non solo figure umane e paesaggi, ma anche una moltitudine di oggetti. L'annaffiatoio ha dunque tutti i presupposti per occupare una posizione ragguardevole nella nostra immaginazione. E chissà che proprio qui, nell'aggrapparsi a forme dai contorni netti, non sia racchiusa una speranza di salvezza dal nulla e dal caos.

Czesław Miłosz, Il cagnolino lungo la strada, a cura di Andrea Ceccherelli, Adelphi, Milano 2002, p. 157.
Vetrina di un negozio di giocattoli. Bergen, estate 2009.

30 dicembre 2010

Indimenticabile

Non dimenticheremo mai il 2010. L'anno che ci ha tolto Annamaria.

Indifferente ai mille modi del tempo

Bastano un paio di giorni di vacanza, lontana dalle corse di routine, e si solleva come un vento, a volte carico di foglie e sabbie arrivate qui da ogni dove, simili a quelle che puntualmente a primavera mi ritrovo a spazzare dagli anfratti del cortile di casa, a Cala G., dopo averla tenuta chiusa dalla fine dell'estate o, quando va bene, da Natale. Sabbia, anche rossa, e foglie secche che parlano del potente maestrale dell'inverno che riesce a raggiungere - per poi ritornare qui, dove nasce - luoghi a volte belli e facili da ricordare, altre solo immaginati, altre ancora impossibili. 
La testa a riposo, come si suol dire, come il piccolo giardino poco calpestato, stanotte ha restituito una poesia di M. che non affiorava da secoli. La scrisse intorno ai nostri vent'anni, e mi piaceva. Stamattina, al risveglio, miracolosamente ricordando le sue atmosfere, mi è sembrata più bella di allora. Ho cercato la raccolta, intitolata semplicemente Poesie, l'ho trovata; si apre con una dedica: A B., con tracce rosse  d'inchiostro, lungo lungo un sentiero, ecc., ecc. Vabbe', non è importante. La poesia che dicevo è questa:

indifferente ai mille modi e al tempo e quasi alle viole
che tardano a fiorire o al fascino
del negativo, alla buona tavola che ci rimane,
alle ricerche e all'ironia che sai
ben giocolare sul meraviglioso naufragio
dei nostri pensieri, io, ancora
sdegnoso
scortato da un branco di uccelli neri
come se già sapessero
... 
[è lunghissima]

(in epilogo, ritrovati
a girare tranquilli
lo zucchero e il caffè e tu gli spiccioli
nella tasca destra come una scaramanzia
o un erotico accenno
ma involontario e poi servono sempre
nel pagare il conto
o da aneddoti
per stupire per altre mancanze. Ma lì
non hai sentito quel bacio
che t'è arrivato dal vento, quel rimorso
quel desiderio quando almeno uno
di noi con gli occhi le labbra a sorriso
dava dietro al riflesso fra i tavoli
sorpreso e benedetto
a quella luce
fra le reclames gli avanzi delle carte dei bicchieri?)

figure e 
ritagli d'aria, ancora ancora
morti in in licenza

lucidamente morale 
del terrore, così morti e 
vagabondi dall'indice consumato
dai venti

29 dicembre 2010

Serendipity

3:50-4:13
Interno/giorno: finestra gelata, mano. 
Esterno/giorno: strada, neve, banco di fiori, carrozza.

Fanny e Alexander (1982) di Ingmar Bergman. 

Diario minimo

  Aria mite, finalmente. Luce. Mare. Camminare.

24 dicembre 2010

Macchine da guerra

Puntualmente penso: "L'anno prossimo non mi fregate" e invece ecco: anche quest'anno mi trovo coinvolta nella macchina da guerra che le mie sorelle hanno attivato per stare tutti insieme, stanotte, nella grande casa di nostra madre.
Perché non ho mai il coraggio di portare un pacco bomba? Perché?
Mento. Spudoratamente mento. Borbotto solo per non dargliela vinta, ecco, ma ormai si sa che sono felice che stiamo un po' insieme, coi ragazzi che tornano dai quattro punti d'Europa per passare qualche giorno coi vecchi bacucchi di casa, quali ormai siamo, justement, ai loro occhi. Perché la vita è così, e del suo scorrere te ne accorgi soprattutto quando ti ritrovi in queste rare occasioni: i ragazzi sono cresciuti e hanno preso il nostro posto, c'è qualche nuovo bambino piccolissimo, e anche il vuoto lasciato da chi non c'è più è reso meno doloroso dalla loro presenza, ed è bello poterlo dire, indicare, con un sorriso.
Buon Natale, va.

22 dicembre 2010

Morticia


La canzoncina ti fa fare il viso rosso
solo la prima volta che la canti.
(Proverbio russo)
Càpitano, a volte, dalle nostre parti certi tipi, ai quali non si può pensare senza un vero terrore anche se il giorno in cui li abbiamo conosciuti è lontano. Fa parte di questo genere di personaggi la moglie di un mercante, Caterina Lvovna Izmailova, che non cessò mai di recitare uno spaventevole dramma, per cui i signori della nostra nobiltà la chiamavano con il dolce nome di "Lady Macbeth del distretto di Mzensk".
Nikolaj Semënovič Leskov, Una Lady Macbeth del distretto di Mzensk, traduzione di Vittoria de Gavardo, Passigli, Firenze 1987, p. 15.
*  *  *
L'ho letto tutto d'un fiato il libro che dura quanto un viaggio in autobus da una parte all'altra della città, se avessi un autobus da prendere, attraversare una città, e non questi vicoli, da una piazza all'altra di una grande casa. Stanze. Un libro, quando lo bevi, vuol dire che funziona. La scrittura di Leskov resta potente, nonostante la traduzione. Ma non ho voglia di parlare di questo, sono in vacanza e la letteratura è - anche - un'occupazione faticosissima, come sa chi vi si immerge nella quotidianità e arriva alla sera sbucando dalle profondità dell'oceano. Insomma, non ne voglio parlare se non per esprimere un interrogativo, anzi: due. A prescindere dallo scrittore russo e dal suo racconto, scritto nel 1865, cosa spinge un uomo dalla penna d'oro a costruire personaggi femminili così squisitamente mortiferi? E cosa porta, invece, un altro, nel 2010, a consigliare con entusiasmo un libro così carino, un unico librino - uso il diminutivo di proposito perché sto parlando di un racconto dove i diminutivi abbondano - incentrato su una passione portatrice di morte? Ma così, come promemoria di una lettura curiosa, e anche per ringraziare, per quanto mi riguarda, in amicizia.

21 dicembre 2010

Nella mia vita

Oggi, per la prima volta in vita mia, sono entrata in un penitenziario per incontrare un folto gruppo di detenuti ("di massima sicurezza", come si dice) che hanno partecipato a un laboratorio di scrittura guidato da un amico scrittore, il quale mi ha chiamata a esaminare il prodotto finale: una settantina di componimenti poetici. Così ho incontrato i suoi allievi insieme alla piccola giuria che ho presieduto, composta dal maestro e da un'altra persona del mestiere per premiarne alcuni, ma scegliendo di menzionandoli tutti, perché ciscun loro scritto era terribilmente interessante, mai banale, almeno per noi che non viviamo in alcun modo quella speciale condizione esistenziale. Così, dopo un susseguirsi di cancelli che si aprivano per subito richiudersi alle nostre spalle con sordo rumore metallico, siamo entrati nella cappella del carcere, che ha un soffitto incredibilmente alto, a formare uno spazio conico impossibile da scaldare. L'aria era effettivamente gelida. I poeti ci aspettavano già seduti nelle bancate: composti, attentissimi. Un pomeriggio fatto di volti, sorrisi, risate (poche), facce chiuse, occhi bassi ed età, soprattutto età, che non dimenticherò facilmente. 
Ho voluto scrivere questo post per ricordare l'esistenza di uomini e donne invisibili che sostano da lungo tempo in una situazione di estremo dolore e alla quale alcuni di loro sono destinati per sempre. Voglio farne, di questo post, un inutile augurio a chi ho incontrato per il tempo di un pugno di parole scritte bene.


Come dentro
a una clessidra 
di lucido cristallo,
simili a granelli di sabbia,
contavo gli sbagli della mia vita.
Li ho fatti scivolare
nel palmo della mano
finché il loro peso impietoso
schiacciava le mie dita.
("Nella mia vita" di G.P., primo componimento premiato)

19 dicembre 2010

Senza titolo

Ci sono creature che sanno tutto ma non capiscono nulla. Altre che non sanno nulla ma capiscono tutto.
L'innata propensione affettiva verso le une e lo altre produce effetti concreti nella conformazione della propria esistenza. Il colore della soglia. Dalla stessa porta entra il dolore e la felicità, al cubo.

18 dicembre 2010

Descrizione del luogo

Arrêt
une pause
                  courte sa durée
                                           l'espace
se ferme


souvenance obligés 
                                           larmes


elles ne sont pas nécessaires


le dictionnaire tempère le stéréotype 


une nostalgie
se profile
                                           description du lieu. 




*   *   *

Fermi
una pausa
                  dura poco
                                     lo spazio
si chiude

sopravvivenze d'obbligo
                                     lacrime

non sono necessarie

il dizionario tempera lo stereotipo

una nostalgia
si profila

                                     descrizione de luogo.

Habib Tengour, Il sandalo di Empedocle, traduzione di Egi Volterrani, San Marco dei Giustiniani, Genova, 2006, pp. 14-15.
                
              

17 dicembre 2010

Una terra, bla, bla, bla












La Sardegna è storicamente una terra che produce mitologie e mitografie. Finiti i tempi delle osservazioni scientifiche alla Maurice Le Lannouin cui la geografia dell’isola si “leggeva” come un libro di storia – essendo, appunto, l’isola piuttosto defilata dai processi proprio per le sue caratteristiche fisiche – è curioso constatare come ancora oggi, invece, alcuni fenomeni conservino, per così dire, una certa “fissità”.

Per leggere integralmente l'articolo, vai all'ultimo numero del manifesto sardo.

16 dicembre 2010

Madri


sms ore 17:07 del 16/12/2010
"Libera, finalmente!!… Sarà pure che "è del mondo che sono figli, i figli", ma la mamma che li ha partoriti ne rivendica una percentuale non indifferente!!"

14 dicembre 2010

A G.

Lo sapevo che sarebbe stata una giornata importante. Proprio nel momento che Bondi esprime il suo "sentimento di mancanza di stima" a Bocchino e lo invita ad "andarsi a nascondere a Montecarlo", qui inizia a nevicare. Spegniamo la tv, andiamo fuori a respirare. Ciao, buon ritorno a casa.

13 dicembre 2010

That's not her way

Training

Per fortuna nella casa di un'unica stanza che occupammo non c'era nessuna roccia affiorante. Ma con le cinque brandine dei capomastri e il pagliericcio in un angolo per i manovali, non restava quasi spazio per cuocere la pasta nel piccolo focolare d'angolo. Il lavoro era duro e le ore non passavano mai. Mi inventavo delle storie per sopportare meglio la noiosa ripetitività del mio compito: mescolare sabbia e calce. Quando il tempo era brutto i capomastri andavano all'osteria, si ubriacavano di vino a buon mercato discutendo fra loro, e proseguivano poi quelle dispute mentre giacevano sulle loro cigolanti brandine militari, coprendo di insulti le rispettive famiglie. In giornate come quelle noi manovali si veniva mandati a raccogliere legna per cuocere la pasta o a cercare asparagi selvatici da vendere per pochi soldi all'esportatore locale di prodotti sardi: agnellini, formaggi e maialini da latte. Vagabondare tra quelle rocce fantastiche in cerca di asparagi mi eccitava e mi divertiva. Ma il momento più felice fu il giorno che tornammo a Orani: indossare l'abito della domenica e indossare una camicia pulita, incontrare gli amici.
Il dottor Cusinu pagò i capomastri per il lavoro svolto a quella data e ci offrì un bicchiere del suo vino con un sorriso ipocrita. Il vino, la prospettiva dei giorni di vacanza, la buffa strada con le sue sculture spettrali, il bel tempo, tutto contribuiva al buonumore dei capomastri. Nessuno, vedendoci, avrebbe riconosciuto in noi la cupa processione di lavoratori di tre settimane prima, in marcia uno dietro l'altro come dei monaci. Traversando il fiume abbiamo riso, ci abbiamo buttato dei sassi e pisciato come bambini. Al nostro arrivo a Orani, diretti verso casa, le donne che stavano spazzando fuori dall'uscio smisero per un attimo, guardandoci passare: ci vedevano come una banda di pezzenti, mentre noi ci sentivamo degli eroi che avevano vinto battaglie.
Costantino Nivola, Memorie di Orani: con venticinque disegni dell'autore e un ritratto di Saul Steinberg; a cura di Aldo Buozzi, Milano, Scheiwiller, 1996, pp. 99-100.

9 dicembre 2010

Dediche alle Piccole Sculture


Teste sui cuscini


Per te tutti luoghi sono cuscini per sprofondare il peso d'oro della tua testa.


Mi piace modellarti la mattina presto con un pizzico d'argilla e una goccia di rugiada.


Io ti guardo dall'alto come una nuvola, meditando sulla tua terrestre espressione di gioia sofferente.


Ti ho modellato all'interno come il tempio di Abu Simbel per adeguarti ai miei capricci.


Se la realtà della tua presenza non è adeguata, io sono costretto a rifugiarmi nella mia immaginazione.


Ciò che è congeniale in noi due mi dà perfetto piacere, come il modellare una scultura concepita nella mia mente.


Sei allo stesso tempo grande e piccola, fredda e calda, sempre confortante.


Un vantaggio della mia tarda età è che non ti vedrò mai vecchia.

Costantino Nivola, Ho bussato alle porte di questa città meravigliosa, Arte Duchamp, Cagliari, 1993, pp. 101-105.

6 dicembre 2010

Non è un'isola felice

Passava un giorno. Poi un altro. E un altro ancora. La miseria rendeva triste la gente di Dar-Sbitar. Da Aini, stavano com’erano sempre stati. C’era solo un po’ più di miseria. I bambini si reggevano un po’ meno solidamente sulle gambe. I volti, a casa, si scavavano, diventavano più grigi. Gli occhi di tutti, costantemente dilatati, avevano un lampo febbricitante. Eppure, cosa straordinaria, in città Omar incrociava esseri sorridenti, che stavano bene, sazi. Gioiosi nella disgrazia, nell’indigenza generale. Dovevano sicuramente scambiarsi delle occhiate tra loro quando nessuno li sorvegliava...
Mohammed Dib, La casa grande, traduzione di Gaia Amaducci, Epoché, Milano 2004, p. 133. 


Grazie a Claire del bucato steso al sole.

3 dicembre 2010

Il Signor Bisognino

Oltre alla legge, declina anche il desiderio. Ma gli italiani, oltre a non riconoscere più alcun sistema di regole, non sanno neanche più desiderare. Un po' è il frutto dell'eccesso di consumismo degli anni passati. Due esempi per tutti: "Bambini obbligati a godere giocattoli mai chiesti" e "adulti coatti, più che desideranti, al sesto tipo di telefono cellulare". Possibilità ampliate anche dalla maggiore facilità di accesso al credito al consumo, cresciuto persino negli anni della crisi: +5,6 per cento nel 2008 e +4,7 per cento nel 2009, "mentre il valore delle operazioni con carte di pagamento ha raggiunto complessivamente i 252 miliardi di euro nel 2009". "Forse aveva ragione chi profetizzava che il capitalismo avrebbe trionfato con la strategia del rinforzo continuato dell'offerta – osservano i ricercatori Censis – strumento invincibile nel non dare spazio ai desideri". Ma il desiderio inappagato è una spinta formidabile, che invece in Italia adesso manca, o meglio, c'è ancora, c'è ancora, ma è "diventato esangue, senza forza".
(Da una lettura di Rosaria Amato del rapporto annuale Censis: qui.)

1 dicembre 2010

Il ripasso

Mentre in Europa ci si sforzava di "esprimere" attraverso le strutture compositive come faceva la pittura, riuscendo in questo modo, sia pure con mezzi decorativi, ad organizzare lo spazio all'interno del quadro, gli americani e Griffith in particolare scoprivano la possibilità suggestive delle immagini nei loro rapporti reciproci: scoprivano cioè le virtù del montaggio.
L'unità dal punto di vista praticata sino al 1909 aveva avuto come principale conseguenza di dividere il "mondo del dramma" da quello dello spettatore. Al pari della ribalta, lo schermo separava come una lastra di vetro due mondi di natura diversa.
Il merito principale di Griffith fu di insorgere contro questo arbitrio. Pensando che la macchina da presa, molto maneggevole, permetteva di avvicinarsi o allontanarsi a piacere dai personaggi e di muoversi liberamente attorno ad essi, li fece agire in uno spazio che non era più limitato dalla stessa cornice della scena. Il campo poteva abbracciare uno spazio più o meno vasto a seconda della necessità dell'azione. Una stessa scena poteva quindi essere vista sia da vicino che da lonatno, secondo punti di vista che andavano dal campo totale al primo piano.
Come nota André Malraux: "È dalla visione in piani, cioè dall'indipendenza dell'operatore e del regista nei confronti della scena stessa, che nacque la possibilità d'espressione del cinema, che il cinema nacque come arte".
Il montaggio, dunq... 

Miiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii, che due...!
Ehm, no, volevo dire: Jean Mitry, Storia del cinema sperimentale, Mazzotta, Milano, 1971, p. 18.

Errata corrige: lonatno >>> lontano.

Matinée al cinemino

In programma: Primi assaggi dei cablo di Wikileaks (raccolti da Dust), già definito dalla critica più autorevole come "la più calzante parodia del cosiddetto 11 settembre di Assange".  Se vuoi leggere una recensione mica male clicca qui.

– Uhm. Tanto lo so che alla fine del film ci legano alla sedia per il grosso dibattito.
– Ma no, tranqua, è prevista… no! È già in corso una biccherata!