22 dicembre 2010

Morticia


La canzoncina ti fa fare il viso rosso
solo la prima volta che la canti.
(Proverbio russo)
Càpitano, a volte, dalle nostre parti certi tipi, ai quali non si può pensare senza un vero terrore anche se il giorno in cui li abbiamo conosciuti è lontano. Fa parte di questo genere di personaggi la moglie di un mercante, Caterina Lvovna Izmailova, che non cessò mai di recitare uno spaventevole dramma, per cui i signori della nostra nobiltà la chiamavano con il dolce nome di "Lady Macbeth del distretto di Mzensk".
Nikolaj Semënovič Leskov, Una Lady Macbeth del distretto di Mzensk, traduzione di Vittoria de Gavardo, Passigli, Firenze 1987, p. 15.
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L'ho letto tutto d'un fiato il libro che dura quanto un viaggio in autobus da una parte all'altra della città, se avessi un autobus da prendere, attraversare una città, e non questi vicoli, da una piazza all'altra di una grande casa. Stanze. Un libro, quando lo bevi, vuol dire che funziona. La scrittura di Leskov resta potente, nonostante la traduzione. Ma non ho voglia di parlare di questo, sono in vacanza e la letteratura è - anche - un'occupazione faticosissima, come sa chi vi si immerge nella quotidianità e arriva alla sera sbucando dalle profondità dell'oceano. Insomma, non ne voglio parlare se non per esprimere un interrogativo, anzi: due. A prescindere dallo scrittore russo e dal suo racconto, scritto nel 1865, cosa spinge un uomo dalla penna d'oro a costruire personaggi femminili così squisitamente mortiferi? E cosa porta, invece, un altro, nel 2010, a consigliare con entusiasmo un libro così carino, un unico librino - uso il diminutivo di proposito perché sto parlando di un racconto dove i diminutivi abbondano - incentrato su una passione portatrice di morte? Ma così, come promemoria di una lettura curiosa, e anche per ringraziare, per quanto mi riguarda, in amicizia.

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