27 giugno 2019
Conflitti o Dei troppi direttori e un solo sax
23 gennaio 2016
Between the words
Alice: Questo sì che è buffo. Perché mai dovrebbe essere tardi per un coniglio? Mi scusi? Signore!
Bianconiglio: Macché! Macché! Non aspettano che me! In ritardo sono già! Non mi posso trattenere!
Alice: Dev’essere qualcosa di importante. Forse un ricevimento. Signor Bianconiglio! Aspetti!
Bianconiglio: Oh, no, no, no, no, no, no! È tardi! È tardi, sai? Io sono già in mezzo ai guai! Neppure posso dirti “ciao”: ho fretta! Ho fretta, sai?
![]() |
Nicholas Rougeaux, Between the words |
17 dicembre 2015
La parte che ama e basta o Un discorso sulla salvezza
Il talento è solo uno strumento. È come avere una penna che scrive invece di una che non scrive. Non sto dicendo che riesco costantemente a rimanere fedele a questi principi quando scrivo, ma mi sembra che la grossa distinzione fra grande arte e arte mediocre si nasconda nello scopo da cui è mosso il cuore di quell’arte, nei fini che si è proposta la coscienza che sta dietro il testo. Ha qualcosa a che fare con l’amore. Con la disciplina che ti permette di far parlare la parte di te che ama, invece che quella che vuole soltanto essere amata."
Da un'intervista di Laura Miller a David Foster Wallace, 8 marzo 1996; traduzione di Martina Testa.
13 gennaio 2014
Non avere più nessuno a cui chiedere consiglio
«Proprio ieri il New York Times ha dedicato un articolo al tema del lettore non più solitario, ma solo. L'indagine muove da Virginia Woolf, che nel 1925 notava quanto fosse difficile leggere un romanzo. Ebbene, se ciò era vero circa un secolo fa, ora l'impresa risulta ben più ardua. Infatti, da un lato la capacità di concentrazione risulta atrofizzata dal multi-tasking (il piacere-dovere di svolgere più occupazioni insieme), dall'altro appare spesso disturbata dalle attrattive di iPad, iPhone o computer. Ecco allora la principale fonte di smarrimento che ha colpito il lettore: la perdita di quella dimensione spirituale che Simone Weil chiamava "attenzione", e un filosofo quale Malebranche definiva "preghiera naturale dell'anima".
In tutto l'Occidente, da metà Ottocento, la stampa contemplava la presenza di una figura semi-sacrale, un professionista delle lettere chiamato a orientare il pubblico in base alle proprie riconosciute competenze. Inutile ricostruirne l'estinzione (basti dire che sin dal 1893 Sainte-Beuve vedeva i rischi di una "letteratura industriale"). Certo è che ormai la sua funzione è stata sostituita da quella di testimonial, tifosi, acquirenti.
E qui va riportata una definizione di Tiziano Scarpa: così come al musicologo è subentrato il dj (ossia disc-jockey, dal termine inglese "fantino", per indicare colui che "monta" un disco, spingendolo sulle vette della top ten), ora è la volta del bj, o book-jockey, che sprona i libri verso l'empireo dei best-sellers. Ecco quindi cantanti, attori, comici o semplici lettori pubblicizzare libri. Il risultato è ovvio: la verticalità gerarchica della rubrica letteraria si è trasformata nell'orizzontalità rizomatica del blog, oppure si leggono semplicemente le recensioni dei lettori su Amazon o, addirittura, i passaggi dell'opera che gli stessi hanno sottolineato di più nei loro Kindle. Invece del consulto professionale di uno specialista (fiscalista, idraulico, ortopedico), ci si scambia pareri fra clienti, utenti, malati. Altrimenti detto, sarebbe come salire il Cervino, affidandosi a un collega d'ufficio o a un chitarrista, piuttosto che a una guida alpina. In tal modo, alla fisiologica solitudine del lettore, se ne è aggiunta un'altra, patologica e deontologica: non avere più nessuno a cui chiedere consiglio.»
Da La solitudine del lettore, un articolo di Valerio Magrelli ne La Repubblica di domenica 12 gennaio, pp. nn.
![]() |
Carrie Schneider, "Bianca reading Sylvia Plath" (Ariel, 1966) |
28 dicembre 2011
Labirintini
mi rivolsi alla soglia del caffè.
31 ottobre 2010
Dopo Nada, un piccolo blues
Be', sì, scherzavo. Ma sino a un certo punto. Perché la verità è che – se ora sembrano essersi data una calmata – all'epoca (parlo di quattro, cinque anni fa), il modaiolo noir italiano andava per la maggiore. Tanto che nella manchette di qualsiasi altro genere di romanzo – un romanzo non di genere, appunto – potevi semplicemente scrivere "non è un noir", e tanto bastava a distinguerlo. Questo per dire che se non mi entusiasma il concetto è per il semplice motivo che la maggior parte dei romanzi che mi sono capitati tra le mani, nel lungo periodo del librificio noir, erano proprio brutti, costruiti con un'operazione di genere, e in quanto tali palesemente non necessari. Libri di mestiere. Ma i libri, sia chiaro, o sono belli o sono brutti, o sono stupidi o sono intelligenti. Inutile cucinarli su uno schema "semplice", solo perché lo si pensa come tale e tanto è richiesto dal mercato editoriale (che in Italia ha lavorato alacremente per "semplificare" il gusto dei lettori, bisogna dirlo).
3 giugno 2010
Ispìritu 'e patata
20 aprile 2010
La costruzione dell'albero

Se sapessi scrivere, prenderei gli aculei di un porcospino e graffierei tutto il tuo ventre enorme da cima a fondo. Mi arrampicherei su fino ai rami e inciderei dei tagli sotto le tue ascelle per farti il solletico. Lettere grandi e piccole. In un testo pieno di riccioli e volute, su linee a spirale, ti scrivo tutto dentro perché ho così tante cose da raccontare di un viaggio verso un orizzonte nuovo che si trasformò in una spedizione a un albero. Qui ci vorrebbe una pausa ritmica. Oh, quante cose ho imparato dai poeti, sono un’esperta nell’arte di arrangiare l’epico col lirico. Una pausa ritmica e i pensieri ricominciano a girare tutto intorno al tuo tronco per dire la storia di una passione folle che si rivelò la sola cosa cui alla fine potemmo aggrapparci, spogliati di ogni bene materiale, esausti e sfiniti di noi stessi in uno sforzo che ci trascinava, zavorra del passato.
Così ti adorno, riga dopo riga, delle nostre allucinazioni perché tu digerisca, sviluppi e levighi tanta assurdità conservando le informazioni inutili nella spessa corteccia grigia fino al giorno della tua autocombustione. E soddisfatta, depongo lo strumento e mi faccio un po’ indietro per osservare il mio lavoro, con le mani sui fianchi.
Sei pieno delle mie cicatrici, baobab. Non sapevo di averne così tante.
Wilma Stockenström, Spedizione al baobab, traduzione dall'inglese di Susanna Basso, Ilisso, Nuoro 2004, p.29.
25 aprile 2009
Addio all'esangue

Nicola. Palermo, Sellerio, 2003, pp. 319-320.