25 aprile 2009

Addio all'esangue

"Ricordo che Ulises amava la giovane poesia francese. Posso dirlo con certezza. Per noi, quelli del Pueblo Joven Passy, la giovane poesia francese era uno schifo. Tutti figli di papà o tossicomani. Cerca di capirlo, una buona volta, Ulises, gli dicevo, noi siamo rivoluzionari, noi abbiamo conosciuto le carceri dell'America Latina, come possiamo amare una poesia come quella francese, no? E lo stronzo non diceva niente, rideva e basta. Una volta lo accompagnai a casa di Michel Bulteau. Ulises parlava un francese infame, quindi il peso della conversazione lo sostenni io. Poi conobbi Matthieu Messagier, Jean-Jacques Faussot, Adeline, la compagna di Bulteau.
Nessuno di loro mi fu simpatico. A Faussot chiesi se potevo piazzare un mio articolo sulla rivista dove lavorava, una merda di rivista di musica pop, e disse che prima doveva leggere l'articolo. Qualche giorno glielo portai e non gli piacque. A Messagier chiesi l'indirizzo di un vecchio poeta francese, una "vecchia gloria delle lettere" che a quanto si diceva aveva conosciuto Martín Adán in occasione di un viaggio a Lima negli anni quaranta, ma Messagier non me lo vole dare adducendo pretesti inverosimili come per esempio che il vecchio rifuggiva i visitatori. Ma non gli voglio mica credere dei soldi in prestito, gli dissi, voglio solo fargli un'intervista, eppure niente, non ci fu verso. Infine a Bulteau dissi che volevo tradurlo. Questo sì che gli piacque e non ebbe niente da ridire. Glielo dissi per scherzo, certo. Però poi pensai che magari non sarebbe stata una cattiva idea. Di fatto mi misi all’opera qualche ora dopo. La poesia che scelsi fu Sang de satin. Mai prima di allora mi era passata per la testa l’idea di tradurre poesia, malgrado io sia poeta e malgrado supponga che tutti i poeti traducano altri poeti. Ma a me nessuno mi aveva mai tradotto, quindi perché avrei dovuto tradurre io? Be’, così è la vita. Quella volta pensai che non fosse una cattiva idea. Forse fu colpa di Ulises, che mi stava influenzando anche nelle abitudini più radicate. Forse perché pensai che ormai era ora di fare una cosa che prima non varei mai fatto. Non lo so. So solo che dissi a Bulteau che volevo tradurlo e che pensavo di pubblicare la mia traduzione (pubblicare è una parola chiave) su una rivista peruviana che non esisteva, mi inventai il nome, una rivista peruviana cui collaborava Westphalen, gli dissi, e lui si mostrò d’accordo, credo che non avesse idea di chi fosse Westphalen, avrei potuto dire benissimo che era una rivista cui collaborava Huamán Poma o Salazar Bondy, e mi misi all’opera.
Non ricordo se Ulises se ne fosse già andato o fosse ancora qui. Sang de satin. Fin dal primo momento ebbi dei problemi con quella poesia di merda. Come tradurre il titolo? "Sangue di seta", o "Sangue di raso"? Ci pensai per più di una settimana. E fu allora che di colpo mi cadde addosso tutto l'orrore di Parigi, tutto l'orrore della lingua francese, della giovane poesia, della nostra condizione di meticci, della nostra triste e irrimediabile condizione di sudamericani perduti in Europa, perduti nel mondo, e allora seppi che non avrei potuto continuare a tradurre "Sangue di seta" o "Sangue di raso", seppi che se l'avessi fatto avrei finito per assassinare Bulteau nel suo studio di rue de Téhéran e poi fuggire da Parigi come un disperato. Così alla fine decisi di non portare a compimento quell'impresa e quando Ulises Lima se ne andò (non ricordo quando esattamente) smisi per sempre di frequentare i poeti francesi."
Roberto Bolaño, I detective selvaggi; traduzione di Maria
Nicola. Palermo,
Sellerio, 2003, pp. 319-320.

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