30 agosto 2011

"Rischio effetti depressivi" *

E mi rivolsi a pensare a tutte le opere delle mie mani e alla fatica che avevo durato a farle, e ho visto che il tutto era vanità e inutile affanno, non c'era alcun vantaggio sotto il sole.
  
Non lo dice uno psichiatra, claro: è la Corte dei conti. E così titolano le prime pagine dei principali quotidiani italiani odierni.

Non maggiore

"Esiste un'ossessione del comprendere ciò che è odioso, e in fondo esiste una malsana fascinazione per questo, e agli odiosi si fa con questo un immenso favore. Io non condivido questa curiosità infinita del nostro tempo per ciò che in nessun caso ha giustificazione, anche a voler trovare mille spiegazioni diverse, psicologiche, sociologiche, biografiche, religiose, storiche, culturali, patriottiche, politiche, peculiari, economiche, antropologiche, fa lo stesso. Io non posso perdere il mio tempo indagando attorno a ciò che è malvagio e a ciò che è pernicioso, il suo interesse è mediocre sempre nel migliore dei casi e sovente nullo, te l'assicuro, ho visto spesso. Il male di solito è semplice, per quanto a volte non tanto semplice, se sei in grado di appezzare la sfumatura. Però ci sono indagini che macchiano, e perfino alcune che contagiano senza dare niente di valido in cambio. Oggi esiste un gusto dell'esporsi a quanto di più basso e vile, di mostruoso e di aberrante, di affacciarsi a contemplare l'infraumano e per entrare in confidenza con questo come se potesse avere prestigio o grazia e maggior trascendenza che i centomila conflitti che ci assediano senza cadere in questo. C'è in tale atteggiamento un elemento di superbia, e anche uno di più: si affonda nell'anomalia, nel ripugnante e nel meschino come se nostra norma fosse quella del rispetto e della generosità e della rettitudine e si dovesse analizzre al microscopio quanto si deborda da quella: come se la malafede e il tradimento, la malevolenza e la volontà di danneggiare non facessero parte di quella norma e fossero cose eccezionali, e meritassero per questo tutto il nostro zelo e la nostra massima attenzione. E non è così. Tutto questo fa parte della norma e non c'è nessun mistero maggiore, non maggiore della buona fede."
Javier Marías, Il tuo volto domani. I. Febbre e lancia, traduzione di Glauco Felici, Einaudi, Torino 2003, pp. 169-170.

29 agosto 2011

Leggere con Grazia

"... nel chiuso di una stanza dentro una casa editrice, dove l'autore si osserva negli occhi del suo primo lettore, e dove un lettore per passione e per professione mette tutte le sue competenze e facoltà in ascolto."
Paola Gallo, Un occhio alla singola virgola e uno al disegno complessivoqui.



23 agosto 2011

Sorelle

 
  Potrei dare un nome a ognuno dei giorni di questa formidabile estate, ma non ne ho alcuna intenzione. Leggo la trilogia di J.M., impazzisco con i rallentamenti e le accelerazioni troppo veloci e fameliche che mi costringe a fare. Bellissimo. Sai i libri che ti fanno passare la voglia di scrivere e semmai ti invogliano a ricopiare interi paragrafi con carta e penna in un bel quaderno intonso, come si faceva da ragazzine? Dico ad Anna. No, infatti, non darò un nome ai miei giorni. Aspetto un tempo lungo, so che prima o poi arriverà, un tempo povero di fatti e ricco di tempo per rivederli, questi giorni, come in un film, e forse allora scriverne, finalmente, come a liberarsersene, fare spazio. Oggi, invece, mi sono alzata all'alba, con mia sorella, ci siamo arrampicate sulla scala  da lassù, tra i rami, il mare e abbiamo raccolto tre corbule di mele. Le abbiamo già mondate e fatte a pezzetti, e sbuccia sbuccia io raccontavo di questi ultimi libri e di un'estate piena della memoria degli inverni. Febbre e lancia. Ballo e sogno. Un unico nome, questo sì, lo voglio dare. Oggi è il giorno della marmellata di mele.

16 agosto 2011

Corde

Ci sono corde nel cuore umano 
che sarebbe meglio non far vibrare.
Charles Dickens




Le foto sono di Stanislas Guigui (Marsiglia, 1969) e la prima è una mia di una sua stampa, scattata all'Acquario di Cala Gonone due anni fa in occasione della mostra "El reino de los ladrones".
Guigui ha viaggiato in tutta l'America Latina e negli Stati Uniti, concentrando la propria ricerca sulle aree socialmente escluse e sulle persone che vivono in strada. Si è infiltrato nelle gang di Bogotà vivendo tra loro per oltre due anni, realizzando un reportage su Cartucho, quartiere collocato nelle vicinanze del palazzo presidenziale, teatro di ogni tipo di violenze ed eccessi, controllato dalle bande che vi hanno installato fumerie di crack. Il luogo si è così convertito in una specie di corte dei miracoli dove trovano rifugio più di 20.000 persone, la maggior parte delle quali mendicanti, ladri e assassini. Nel 2005 parte dell’area è stata rasa al suolo. Molti dei suoi abitanti sono morti assassinati dai gruppi paramilitari, il resto si è trasferito presso il vecchio Mattatoio di Bogotà. Ma non è solo la Colombia quella che ha voluto dipingere Guigui, bensì una realtà universale che parla del rischio che implica la politica dell'esclusione.

14 agosto 2011

BO!

Chi stanno per fucilare? BO! Vuol dire che non lo sai o non lo vuoi sapere non ti interessa te ne freghi? Bravi sardi! Antonio Gramsci Emilio Lussu tutti i liberali volete fucilare? Heia Heia Heia! 
Era di giorno? BO! Non lo so, non lo voglio sapere, non mi interessa. È stato fucilato all'alba. BO! Cosa ne so! Cosa me ne importa cosa me ne frega. Chi era Schirru? BO, non lo so, non lo voglio sapere, non me ne importa nulla. 

(Così, con quel "BO" tutto maiuscolo e senza la acca, ha scritto a matita Costantino Nivola sul retro di uno dei suoi dipinti sulla fucilazione di Michele 
Schirru.)

Tra il 1972 e il 1977 Costantino Nivola esegue una serie di disegni (tecnica mista su carta) dedicati all'anarchico sardo di cittadinanza americana Michele Schirru, nato Padria il 19 ottobre 1899, emigrato, morto per fucilazione a Roma il 29 maggio 1931.
Schirru fu giustiziato con l'accusa di avere pensato di assassinare Mussolini. A uccidere concretamente lui, invece, fu il fuoco di un plotone di volontari sardi reclutati apposta per riscattare l'onore dell'Isola.
Nivola ambienta la scena al Foro romano, dove immagina si sia anche allestito un banchetto per festeggiare l'evento (in uno dei dipinti si vedono chiaramente maialetti che arrostiscono nei lunghi spiedi). Scolpiti nell'arco trionfale, i sardi antichi, fieri e dignitosi, assistono sdegnati alla degradazione dei loro discendenti: sono i sardi attaccati da Cicerone (orazione Pro Scauro, 54 a.C.) per aver osato attaccare lo strapotere romano nell'isola.
Nivola si identificava con Schirru, che come lui era sardo e americano, anarchico e antifascista, rinnegato dai suoi conterranei come all'artista in quel momento sembrava di essere (in Sardegna gli avevano bocciato poco prima due opere a cui teneva particolarmente: il monumento alla Brigata "Sassari" e quello a Gramsci); prova ne sia che abbia voluto dare a Michele Schirru i propri lineamenti, forse trasformando l'intera messa in scena della fucilazione in una sorta di autoritratto.
Le foto delle opere (private) sono mie. Chiedo venia per la loro scrausità.




5 agosto 2011

Staccando


Lo vede dall'alto, come lo aveva visto allora, e anche la porzione è quasi identica; vede l'aereo in linea di decollo all'inizio del campo e si chiede, come si era chiesto allora, se ciò che aveva pensato da diversi giorni si può fare, se non è un po' troppo scendere di quota con un otto largo all'orizzonte, presentarsi sul campo bassissimo e passargli veloce; vede il terreno che scorre rapido sotto e poi la fila d'alberi e poi l'aereo sulla sinistra, appena staccato da terra e subito di nuovo giù; vede il Giura che si avvicina, e per un attimo gli sembra di non farcela, finché non sente la cresta sotto di sé. Vede il giovane che lo aspetta, prima in mezzo al campo con le braccia conserte, e poi sulla piazzola; lo vede fare un passo avanti, alto com'è, con le sopracciglia lunghe, circonflesse, e immagina già cosa pensa. Vede Pietro Brahe in una bolla di plexiglass contro un cielo artico, vede un tedesco biondo in un'altra bolla che gli parla con l'alfabeto muto; vede un cinese che si ferma a Ginevra tra un aereo e l'altro per regolare una questione di centimetri, seccato che qualcuno gli faccia storie, e quando si accorge che il rumore di fondo è stato ricucito la cosa gli piace, gli piace che il giovane che ha davanti si sia permesso di imbrogliare uno come lui, gli sembra così ci sia una continuità, e che tutto possa andare avanti. Vede Gilda che accosta una porta con le mani dietro la schiena, vede Brahe che si sfiora un sopracciglo; li vede entrambi che dormono, lei col viso nell'ascella di lui, lui col naso vicino al suo orecchio; vede la donna che al buio, in un castello, dove ormai si orizzonta benissimo, si accorge che una finestra è stata aperta, e dice al figlio: «Ti avevo raccomandato di non farlo»; vede Brahe e Rüdiger e un uomo più anziano, vestito in un modo molto colorato, che risalgono in superficie da un acceleratore dopo una notte cruciale, stupiti di essere fuori, usciti definitivamente dalle azioni e dai gesti e dalle emozioni di fino a poco fa, e si guardano senza parlare, per non rompere l’intimità di ciò che li ha legati; vede un editore che sale in macchina per Zurigo, ma al primo motel lungo la strada dice all’autista «Fermiaci qui», e in camera si sfila la cravatta e si stende sul letto senza togliere la coperta e cerca di ricordare, ma proprio bene, ma proprio nei dettagli, il luogo e l’ora e la luce e com’era lui stesso quando un giovane spilungone con gli occhi grigi, figlio di un cartografo tedesco e di una madre inglese, gli ha portato il suo primo manoscritto, e pensa che adesso non ce ne saranno più, e si chiede come mai, e mentre se lo chiede piano già si addormenta. E vede Brahe che nel sole basso del mattino, lo stesso sole che c’è fuori della galleria, taglia il Quai Gustave Ador saltando gli stop i semafori i vigili, in una guida davvero insolita per Ginevra, e guarda l’orologio sul cruscotto, e imballa il motore col piede metà sul freno e metà sull’acceleratore per non perdere nemmeno una frazione di secondo, e imbocca il piazzale contromano, e lascia la macchina nella fila dei taxi, e corre, alto com’è, sulla gomma scannellata della stazione, leggendo al volo il tabellone delle partenze, pensando già a dov’è il binario, ma all’incrocio con la galleria gli resta nella coda dell’occhio l’immagine di un uomo con i capelli bianchi fermo davanti a una vetrina, che guarda con le braccia conserte un plastico di treni elettrici, che ha visto tutto questo e che in questo istante, nell’istante stesso in cui Brahe gli si para davanti col fiatone, smette di vederlo.
«Credevo che non sarei mai arrivato in tempo».
«C’è ancora qualche minuto».
«Ho sentito la radio».
«Anche per te ci sono novità».
«È una giornata di molte novità».
«Bene».
«E adesso?»
«Adesso dovrebbe cominciare una storia nuova».
«E questa?»
«Questa è finita».
«Finita finita».
«La scriverà qualcuno?»
«Non so. Penso di no. L’importante non era scriverla, l’importante era provarne un sentimento».


Daniele Del Giudice, Atlante occidentale, Einaudi, Torino 1985, pp. 150-152.  

2 agosto 2011

Due Agosto

Il governo è assente. Ci sono i cittadini. Parla il loro sindaco:
"Oggi rinnoviamo il nostro cordoglio al popolo norvegese per i recenti fatti di Oslo, e ricordiamo le stragi di Londra, Madrid e New York.
E torniamo a ricordare che la comunità bolognese ha sempre pagato un alto tributo di sangue: i treni, la strage alla stazione, la battaglia aerea sopra i cieli di Ustica, le stragi della Uno Bianca e l’uccisione del professor Marco Biagi da parte delle Brigate Rosse. Questa città si ritrova e come nel giorno della strage si rende attiva, reagisce con la presenza dei giovani, ognuno torna a raccontare dove era quel giorno e quel che ha potuto fare. È una staffetta di impegno nel ricordo e di dovere di solidarietà alle vittime che appartiene al nostro modo ormai di sentirci cittadini."