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5 ottobre 2016

Codici per detective selvaggi

Quasi un elenco del telefono, in codice, per agenti segreti: profumo di antico, implicitamente nemico della rivoluzione e dei Gggiovani.
Giuseppe A. Samonà alla voce "Rocci" in Quelle cose scomparse, parole, p.108.

L’amorevole premura di preservare i più giovani dalla innegabile difficoltà di interpretare un testo antico è un regalo avvelenato che cela molti degli inquietanti propositi di trasformazione della scuola e dell’università che sono nell’aria e la volontà di sanzionare la colpevole distanza dal mercato dei saperi teorici. Tanto più autoritario questo intendimento, in un curioso connubio di liberismo selvaggio e controllo dei destini individuali e collettivi, quando nega la possibilità di studiare le lingue antiche nelle loro sfumature all’interno dell’unico curriculum scolastico pubblico in cui questo è ancora consentito. Quando questo progetto sarà compiuto, chi può avrà a disposizione il college privato in cui studiare a dovere le lingue classiche e chi annaspa capirà senza equivoci che il liceo classico è roba da ricchi e dovrà accontentarsi di qualche briciola di cultura dell’antico.
Tiziana Drago, "Il liceo classico e i suoi nemici", Il manifesto (di avantieri).
 

17 maggio 2016

Viaggio lungo

Viaggio lungo - e lontano. Quando si è Gggiovani (v.) se ne deve fare almeno uno — meglio se molti: India (e Nepal), o America del Sud (che dicesi ♫ Latina): poi quella del Nord, che in fondo è mezza latina anch'essa: New York, Montréal (a raccogliere mele). Con gioia, pur se più casarecce, sono ammesse anche Londra e Amsterdam (per via dei Beatles e delle Vibrazioni v.); o, al limite, la Spagna e la Grecia (ma solo se alla fine si accede a Marocco e Turchia, dove l'acqua fa schifo anche agli orsi, e l'Occidente è alle porte); Parigi invece no, ché è accanto, e non vibra (ma ci si può fare scalo per lavorare a Pizza Manna, e pagarsi l'aereo transoceanico); né Budapest, Lisbona, Praga (non esistono ancora), o Vienna (è borghese...) E almeno due mesi bisogna restare fuori, possibilmente tre, o sette, fino a un anno — pure, si torna sempre. Sempre, e fino. Fino a quando si è tornati per sempre, e non si torna più: perché il lontano si è fatto vicino, e il vicino si è dissolto. Ma questo, è molto dopo i Gggiovani (v., o ri-v.: ma non avevi già v.?), e non ce ne siamo accorti. Gli anni, i luoghi, sono passati, gli appunti del Viaggio lungo si sono persi in un cassetto, il cassetto si è perso chissà dove — e chissà quando. V. anche: Bidi; Buda; Eu tempu pasa; Jicca; Müller (2); Nostalgia; Pest; Rosina; Ya...

Dal mio diz preferito, pp. 138-139
 
Gianni Leone, Ritorno al Mare, 1994

13 febbraio 2016

Orsay


Vacci, hai detto. Ci sono andato.
Mi sono sprofondato dentro. E anche fuori, al margine. Il mio fiato era trattenuto.

Quattro macchie color nocciola, caprioli: due da una parte due dall’altra, li divide il fiume trasparente – azzurro. E sono solo sguardi, immobili, tutti in direzioni diverse, mentre intorno i tanti colori suonano per sostenere il verde. Sul fondo, dov’è più lontano, un capriolo incurante beve l’acqua con gli occhi – e beve; poco più in là sulla stessa sponda, un altro è voltato all’indietro, dove si inerpica la vegetazione e il fiume risale attraverso l’impetuosa cascata, per poi perdersi laggiù, ancora più lontano, nei territori invisibili della lontananza tutta, quando il ricordo si confonde col sogno, ed è il solo che vive, ed è sempre: un muretto screpolato, le cicale ebbre di sole, le papere che nuotano nel lago, le dispettose danze dei girini… Più vicini – solo il silenzio c’impedisce di toccarli – gli altri due caprioli. Uno ha anche lui il muso verso l’acqua, ma più di sbieco, e con l’occhio raggiunge il mio occhio – mi guarda. Tranquillo. L’altro è anche lui voltato all’indietro, ma non nel fuori lontano, che sogna – il suo sguardo, come inquieto, scavalca la parete rocciosa, attraversa il silenzio: ha sentito un rumore? Eppure non mi sono mosso, il mio fiato è ancora sospeso… Forse allora la sua è una premonizione, neanche lui sa di che, come un sospetto, un odore, un vento di sconosciuto futuro – ma almeno non sono io, quel futuro annunciato, non esserlo tu. Con il passo riservato della memoria, senza respirare, ancora, allontànati in punta di piedi, evitando di quel sentiero foglie e rametti: è così breve l’eternità dell’estasi, e delicata, un nulla può dissolverla, e per sempre – e d’improvviso sarà paura.

N.B. Non confondere con Remise des chevreuils en hiver: di caprioli ce n’è uno solo – e fa freddo.
Giuseppe A. Samonà, La remise des chevreuils, in Vice Versa, marzo 2014. 
La remise des chevreuils au ruisseau de Plaisir-Fontaine
Gustave Courbet, 1866, Musée d'Orsay

1 novembre 2015

Eravamo d'accordo

«Fuori dall'Italia, insomma, ho passato oramai più della metà della mia vita […] e l'ho amato, quel fuori, di un amore intenso, l'ho fatto mio dentro, pur via via convincendomi che nessun luogo, tanto meno quello in cui per caso son nato, Roma, era mio, o meglio, che tutti i luoghi lo erano, e anzi quelli del fuori diventato dentro più del mio dentro originario, proprio perché in qualche modo eletti, scelti. Che vuol dire sentirsi italiani all'interno di un tale itinerario?
La lingua, e più particolarmente come la si scrive. […]
Mischiando Ortega y Gasset e Proust, aggiungo: non c'è miglior scuola di scrittura che quella di doversi giostrare, per vivere, tradursi, fra diverse lingue; o ancor più radicalmente: sempre, al di là e contro ogni retorica della – inesistente – purezza, l'estraniamento agisce al cuore di chiunque pensa e scrive, anche dentro la propria lingua: sempre strappiamo senso, traduciamo, reinventiamo una lingua a partire da un'altra, anche se per ventura lavoriamo con una soltanto. Ed è un lavoro mai finito.»
Giuseppe Samonà, 12 apostati 12 critici dell'ideologia italiana, Enrico Damiani Editore, [s.l.] 2015, pp. 111-112.

«Eravamo d’accordo perché le lingue perdano il loro orgoglio ed entrino nell’umiltà dei linguaggi, dei linguaggi liberi, dei linguaggi folli, dei trasalimenti che li rendono disponibili a tutte le lingue del mondo: eravamo d’accordo perché una traduzione non sia una chiarificazione, ma diventi la messa a disposizione di un elemento nella diversità del mondo in una lingua che la accolga. Eravamo d’accordo perché una traduzione non vada da una pura a un’altra lingua pura, ma organizzi l’appetito reciproco delle lingue nell’ossigeno impetuoso del linguaggio. Eravamo d’accordo perché una traduzione non tema più l’intraducibile, ma annoveri e fecondi tutti gli intraducibili possibili. Eravamo d’accordo perché una traduzione onori anzitutto l’irriducibile opacità di ogni testo letterario; perché, in questo mondo che ha infine una possibilità di risvegliarsi, il traduttore diventi il pastore della Diversità. Il paese di Sergio è una terra di linguaggi, d’ombra e di luce, e di diversità. Egli capiva ciò che io dicevo. Lo sapeva già.»
Patrick Chamoiseau, Pour Sergio, in La grotta della vipera, n. 72/73, 1995, pp. 22-23.

12 aprile 2015

Pour les choses disparues

Quelle cose scomparse, parole (Choses disparues, mots – ou, si l’on veut se rapprocher du rythme du vers italien: Pour les choses disparues, des mots...) est un roman qui revêt la forme d’un dictionnaire, comme l’indique le sous-titre: une sélection de mots, dont chacun est profondément lié à la mémoire des «choses» vécues à la première personne par l’auteur, et qu’il évoque à travers une vision ironique et humoristique, mais aussi tragique, de la réalité.
De A à Z (le livre s’ouvre toutefois sur une date emblématique de l’histoire de l’Italie contemporaine, le 12 décembre 1969, quand, écrit l’auteur, «à la banque de l’Agriculture, à Milan, explosent deux  bombes d’une extrême puissance: c’est un carnage, on accuse les anarchistes, la gauche — le pays est bouleversé. Mais d’autres comprirent, et le 12 décembre de l’année suivante commencèrent à chanter: ♪♫ le 12 décembre, une année était passée depuis le jour des bombes du massacre d’Etat... Et puis l’année suivante, et la suivante encore, et encore celle d’après: on aurait cru pour toujours...». L’Italie des années soixante-dix, celle qu’évoquent certains films de Nanni Moretti, est très présente dans ce dictionnaire où se reconnaît aussi toute une génération, celle qui prit part aux luttes studiantines de cette époque...), de A à Z , donc, chaque chose, publique ou privée, intime, est désacralisée, mais d’une manière qui révèle à la fois l’étendue d’une culture et la profondeur d’une réflexion littéraire caractéristiques de l’écriture de l’auteur. Une écriture dont l’originalité se manifeste aussi dans la construction de la trame. C’est à la fin de la lecture que se dessine cette trame, à travers les continuels échos de lemme en lemme, le labyrinthe des renvois insistants, mais qui invitent aussi le lecteur à une sorte de flânerie, et donnent au dictionnaire l’allure d’un roman. Filippo La Porta (qui s’est occupé de l’édition italienne) souligne le caractère très insolite de l’expérimentation tentée dans cette œuvre, en ce sens que l’auteur ne suit aucune mode; «il ne doit pas affirmer un parti-pris formel, n’entend pas démontrer la valeur d’une poétique, ne se laisse pas aller à de faciles déconstructions de la syntaxe ou à des néologismes velléitaires». L’expérimentation est mise au service, avec simplicité et efficacité, d’une écriture puissante, exigeante, ensorcelante. Une écriture imprégnée, il vaut la peine de le remarquer, par la fascinante imagination linguistique de l’«immigré» qui a séjourné dans différents pays (l’auteur a vécu et vit en France et au Canada), et dans laquelle on sent fortement la mémoire de mots qui forment une sorte de «lignée»: ainsi l’italien s’enrichit, joue çà et là avec le grec, le latin, le sicilien, le romain, ou justement le français, la langue de l’immigration, devenue comme une seconde peau... Ce n’est pas par hasard que le roman s’achève sur un délicieux et très amusant «entretien avec l’auteur», écrit cette fois directement en français (mais «enrichi » d’un peu d’italien...) réalisé par la femme de Samonà, Sophie Jankélévitch: c’est peut être de là que pourrait partir le lecteur français, pour se faire une première idée de les Choses et mots disparus – ou, si l’on veut se rapprocher du rythme du vers italien: Pour ces choses, ces mots, disparus uvre et de sa structure, à travers l’affectueuse ironie de cette fausse conversation.
Roman comique, certes — mais voilà que le lecteur, au delà du comique, eprouvera autre chose, ou même, sans cesser de rire, se retrouvera à sourire, hypnotisé, comme s’il était pris dans un labyrinthe enchanté dont les portes tout à coup s’entrouvrent sur les espaces du tragique insensé de l’existence; car dans le livre il y a une autre grille, celles des «illustrations», comme l’auteur appelle les micro-histoires qui composent, avec la grille des entrées, le dictionnaire. En effet, si les entrées sont souvent amusantes («Cours doucement — disait en bon italien une mythique grand-tante sicilienne à son fils, coureur automobile professionnel — elle le lui disait, précisément, avant la compétition.»), la tonalité particulière des «illustrations» les contamine et leur donne de l’ampleur qui finit par nous plonger dans un monde différent. Le lecteur est pour ainsi dire embarqué dans un grand voyage à l’intérieur de l’âme, qui ne concerne plus seulement l’intimité du narrateur, mais celle de l’homme affrontant et cherchant à conquérir la réalité. Ce n’est pas un hasard si certaines de ces illustrations mettent en présence des personnalités très différentes, traversées par des conflits intérieurs au bord de l’explosion (et qui, dans certains cas, explosent), figures d’une aventure humaine jamais simple ni sereine, où pourtant s’exprime, avec l’angoisse du vivre, une sorte d’ivresse de l’esprit et des sens.
Samonà est là, tout entier, dans ces histoires brèves, denses et fulgurantes, où il révèle aussi une qualité extraordinairement classique pour un écrivain d’aujourd’hui, celle d’un perspicace investigateur de l’âme humaine.

Bastiana Madau (traduit de l’italien par Sophie Jankélévitch)

17 novembre 2011

Ora diche un barzelletta

Ripasso - di storia. Garibaldi, Camillo Benso conte di, condusse i Mille in Sicilia, insieme a Silvio Mazzini - che aveva appena terminato di scrivere Le mie prigioni -, mentre Giuseppe Cavour, in Piemonte, si faceva saltare in mano una granata (forse, una mina), gridando: Tiremm’innanz. Ma andò veramente così? Per accertarcene, dovremmo ritrovare, “ripassandolo”, il vecchio quaderno in cui il Maestro dettava la lezione di storia (un Pigna, mi sembra, più voluminoso di una Bibbia – perché quando il dettato dell’intera avventura umana era finito, Lui implacabile, il libro nella sinistra, la Bacchetta - v.: -ta - nella destra, ricominciava, e sempre identico anche nella più minuta virgola: … Oggi, quarto Ripasso di storia…). Dettava, il Maestro; ma a volte, improvvise, s’interrompeva con fulminee, insidiose domande: Leoni, quanti erano i Mille? E se la risposta non era altrettanto fulminea, e indefettibile, eran dolori – v. Novecento (1 – con Bacchettata e Scappellotto). V. anche: Bartolomucci; Micca; Quore…, patria; Ragazze; Risorgimento; T’impicco. E cfr. il quaderno Pigna (ma di così voluminosi non se ne fanno più). Infine, v. Gggiovani, dove il Ripasso divenne più metafisico.  
Giuseppe A. Samonà, Quelle cose scomparse, parole, Ilisso, Nuoro 2004, p. 107.

You can't run the Church on Hail Marys.

Passo e ripasso, una nota a margine.
La sinistra socialina – sembrerebbe per carenza di rimandi alle barzellette di berlusconiana memoria (?!) – sta vivendo una palese epoché. C'era da aspettarselo. Al momento, esaurite le orecchie a sventola dell'uno e il cognome bufo-bufisimo dell'altro, è dura trovare pretesti per le annose doppie D + due punti. Ma questo, al momento, è un passo avanti.

14 settembre 2011

Pronti?… Via!

Rocci - il: wj/oeidhv", simile a uovo, uJgrovth", skwvlhx, Arst.; ovale, CIA… Quasi un elenco del telefono, in codice, per agenti segreti: profumo di antico, implicitamente nemico della rivoluzione e dei Gggiovani (v.: ma alcuni, et etiam ego, lo amavano. Sia pur di nascosto). V. anche Castiglioni e, pur se Rocci è apparentemente meno accessibile – e più simpatico. Comunque anche lui ha i suoi Ex. (e anch’essi sono vergognosi, per cui di nuovo devi v. Dante, 2 e 3): a: to;n fivlon tovdo devndrw/; b: favte ka/ga` Uilivppw/ … E ricorda (dovrei io ogni volta ricordarti di ricordare; ma a volte capita che io mi scordi di ricordartelo): torna qui, a Rocci, ogni qualvolta una parola greca t’interpella.
Giuseppe A. Samonà, Quelle cose scomparse, parole, Ilisso, Nuoro 2004, p.108. 
A Guancia, che inizia una nuova vita in una nuova città.

30 giugno 2011

Camminare 2

"Non mi oriento, da sempre. Per questo, da sempre, sono obbligato a ripetere. E, ripetendo, ho tentato di conquistare la mia libertà."

21 marzo 2011

Hanno 0




"Giovedì 17 febbraio, Pisa. È sera, ha piovuto tutto giorno. Nei paesi dell’Africa mediterranea si propaga l’incendio, pare che qualcosa si muova anche in Libia, ma invano ne ho cercato notizie più dettagliate nei telegiornali – nulla, o quasi, salvo alcune vaghe informazioni, e unicamente in chiave di paura: sbarcheranno a migliaia... Con un amico anche lui di passaggio, svizzero (ma di lingua madre e cultura italiane, e che vive da molti anni a Berlino), decidiamo di vedere Annozero, su Rai 2, con ripromesso zapping su Rai 1, dove c’è Sanremo, e annunciano Benigni…".
Giuseppe A. Samonà
Per leggere integralmente l’articolo vai qui.  

9 settembre 2010

Se l'è andata a cercare

Rigurgito in metrò

Uomini e donne si avvitano, distratti, in cerchi concentrici, come animati da una logica nascosta. Sopra, il mondo è fulgido, azzurro – gli appartiene. Parlano, discutono, un vento di fogli e bisbigli si distende, continuo, nell’aria. Cosa dicono? Tutto, proprio tutto è da rifare, ma prima bisogna distruggere. E i cerchi si allungano, per disegnare un serpente: una scaglia dietro l’altra, e ogni scaglia è una catena di braccia che annodano altre braccia, per addossarsi, di spalle, alla scaglia davanti – tutte unite, ma libere, e si aspetta. Poi, un sussulto (ma fermo) – la testa, forse, si è mossa: e laggiù, lontano, qualcuno si stacca, da solo, ed avanza di un passo, si volta. Lo si sente - il brusio si è smorzato - gonfiare il suo corpo di aria. E un tuono accende la vita:

A.N.nn.D.R.E.O.ooT.T.T.Iiii
– BOIA – s’infiamma a una voce il serpente, e si muove –
mentre insieme migliaia di pugni 
quella voce accompagnano al cielo.

Giuseppe A. Samonà, Quelle cose scomparse, parole, Ilisso, Nuoro 2004, pp. 46-47.

20 aprile 2009

Pastis

Quando si è in un pasticcio, tanto vale goderne il sapore. 
Confucio


Pastis – [pastis] nome maschile – 1915, senso II; ant. provenzale; lat. °pasticius; cfr. pastilz (XIV s.) paté à pasticcio. E non scordare Le Petit Robert.
I¨ (1928 pastisse). Bevanda alcolica all’anice, che si allunga con l’acqua (spesso designata con dei nomi di marca: Pernod - o “Pernocchio” -, Ricard, etc.). Da consumarsi di preferenza d’estate, su una spiaggia isolana. Cameriere, due pastis: lei sta uscendo dal mare, e già ne intravedo le goccioline salate che le carezzano il viso abbronzato, lì, guardi, le sfiorano le labbra, lievemente schiuse… Ecco, ora ci ha visto, sorride… (cfr. anche: pastis classico; Cala Luna, Capopassero; treccia e streccia, nera – e v.: Balli?, sognando ad occhi aperti un occhio verde ed uno nocciola, Paccare; ma anche v. Nunsosearivoaccapimme). Io lo avrei voluto alla menta: non vede che grandi occhi di corallo ha lui, che sembrano muschio, come è gentile? (cfr. anche: pappagallo; abbracciamipiano, e forte, pianoforte, mandolino, clarinetto, etc. – e v. Pomiciare, sempre sognando…; quindi - è il risveglio - v. Maquannumai). Io all’arancio, è il sapore della sua bocca (v. 12 Dicembre, 3, con agrumi, e felicità).
II¨ (1915, con l’idea di confusione, ma in senso solare). Familiare e regionale (specie nelle isole). Situazione caotica, ma creativa, tiepida, ronronante (e cfr. ron ron, quando il gatto fa le fusa). Il suo avambraccio sinistro mi fa impazzire: Dio, che pastis! (v. di nuovo Balli?, e cfr. la profetessa - ma perché? perché! - Rita Mitsuko: Les histoires d’amour finissent mal, en général…).
Giuseppe A. Samonà, Quelle cose scomparse, parole, Ilisso, Nuoro 2004, pp. 96-97.