Viaggio lungo - e lontano. Quando si è Gggiovani (v.) se ne deve fare 
almeno uno — meglio se molti: India (e Nepal), o America del Sud (che 
dicesi ♫ Latina): poi quella del Nord, che in fondo è mezza latina 
anch'essa: New York, Montréal (a raccogliere mele). Con gioia, pur se 
più casarecce, sono ammesse anche Londra e Amsterdam (per via dei 
Beatles e delle Vibrazioni v.); o, al limite, la Spagna e la Grecia (ma 
solo se alla fine si accede a Marocco e Turchia, dove l'acqua fa schifo
 anche agli orsi, e l'Occidente è alle porte); Parigi invece no, ché è 
accanto, e non vibra (ma ci si può fare scalo per lavorare a Pizza 
Manna, e pagarsi l'aereo transoceanico); né Budapest, Lisbona, Praga 
(non esistono ancora), o Vienna (è borghese...) E almeno due mesi 
bisogna restare fuori, possibilmente tre, o sette, fino a un anno — 
pure, si torna sempre. Sempre, e fino. Fino a quando si è tornati per 
sempre, e non si torna più: perché il lontano si è fatto vicino, e il 
vicino si è dissolto. Ma questo, è molto dopo i Gggiovani (v., o ri-v.: 
ma non avevi già v.?), e non ce ne siamo accorti. Gli anni, i luoghi, 
sono passati, gli appunti del Viaggio lungo si sono persi in un 
cassetto, il cassetto si è perso chissà dove — e chissà quando. V. 
anche: Bidi; Buda; Eu tempu pasa; Jicca; Müller (2); Nostalgia; Pest; 
Rosina; Ya...
Dal mio diz preferito, pp. 138-139
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| Gianni Leone, Ritorno al Mare, 1994 | 
 
 

 

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