La pietra è un elemento a cui gli artisti sardi sono da sempre
intimamente legati, perché di pietra è l'isola che li ha generati. Da
essa derivano gli artifici più maestosi, dai nuraghi ai menhir, e la
sua natura taciturna s'incarna nei personaggi che popolano la
grande letteratura del Novecento, i cui volti, spesso, sembrano appunto essere stati
scolpiti. Ma se per alcuni le pietre sono inscritte nel mito
alimentato dalle tracce imponenti delle antiche civiltà, quelle di Sciola
saranno sempre lì a raccontarci il miracolo della loro trasformazione
in strumenti plastici e sonori; un artificio, il suo, nato dall'ascolto
dei suoni del vento nelle rocce calcaree, dall'osservazione del filo in
cui esso vibra, dalle mani forti e delicate del grande scultore che è
stato.
Oggi Pinuccio Sciola è morto a 74 anni e un'intera isola piange il grande artista di San Sperate, e anche l'uomo gentilissimo, la cui casa, con il grande agrumeto dove albergano innumerevoli monoliti lavorati, è sempre stata aperta. Lascia un'isola disseminata da lavori straordinari, che danno il meglio di sé dialogando con i paesaggi solitari e, come lui voleva, con l'universo: menhir, arpe pietrificate, grandi spighe di trachite, semi ricavati da piccoli e
grandi sassi, mappe stellari di basalto, pietre sonore... E non c'è artista più poetico di colui che su una terra in ogni
senso durissima lascia pietre che cantano. Grazie Maestro.
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