Vacci, hai detto. Ci sono andato.
Mi sono sprofondato dentro. E anche fuori, al margine. Il mio fiato era trattenuto.
Quattro macchie color nocciola, caprioli: due da una parte due dall’altra, li divide il fiume trasparente – azzurro. E sono solo sguardi, immobili, tutti in direzioni diverse, mentre intorno i tanti colori suonano per sostenere il verde. Sul fondo, dov’è più lontano, un capriolo incurante beve l’acqua con gli occhi – e beve; poco più in là sulla stessa sponda, un altro è voltato all’indietro, dove si inerpica la vegetazione e il fiume risale attraverso l’impetuosa cascata, per poi perdersi laggiù, ancora più lontano, nei territori invisibili della lontananza tutta, quando il ricordo si confonde col sogno, ed è il solo che vive, ed è sempre: un muretto screpolato, le cicale ebbre di sole, le papere che nuotano nel lago, le dispettose danze dei girini… Più vicini – solo il silenzio c’impedisce di toccarli – gli altri due caprioli. Uno ha anche lui il muso verso l’acqua, ma più di sbieco, e con l’occhio raggiunge il mio occhio – mi guarda. Tranquillo. L’altro è anche lui voltato all’indietro, ma non nel fuori lontano, che sogna – il suo sguardo, come inquieto, scavalca la parete rocciosa, attraversa il silenzio: ha sentito un rumore? Eppure non mi sono mosso, il mio fiato è ancora sospeso… Forse allora la sua è una premonizione, neanche lui sa di che, come un sospetto, un odore, un vento di sconosciuto futuro – ma almeno non sono io, quel futuro annunciato, non esserlo tu. Con il passo riservato della memoria, senza respirare, ancora, allontànati in punta di piedi, evitando di quel sentiero foglie e rametti: è così breve l’eternità dell’estasi, e delicata, un nulla può dissolverla, e per sempre – e d’improvviso sarà paura.
Quattro macchie color nocciola, caprioli: due da una parte due dall’altra, li divide il fiume trasparente – azzurro. E sono solo sguardi, immobili, tutti in direzioni diverse, mentre intorno i tanti colori suonano per sostenere il verde. Sul fondo, dov’è più lontano, un capriolo incurante beve l’acqua con gli occhi – e beve; poco più in là sulla stessa sponda, un altro è voltato all’indietro, dove si inerpica la vegetazione e il fiume risale attraverso l’impetuosa cascata, per poi perdersi laggiù, ancora più lontano, nei territori invisibili della lontananza tutta, quando il ricordo si confonde col sogno, ed è il solo che vive, ed è sempre: un muretto screpolato, le cicale ebbre di sole, le papere che nuotano nel lago, le dispettose danze dei girini… Più vicini – solo il silenzio c’impedisce di toccarli – gli altri due caprioli. Uno ha anche lui il muso verso l’acqua, ma più di sbieco, e con l’occhio raggiunge il mio occhio – mi guarda. Tranquillo. L’altro è anche lui voltato all’indietro, ma non nel fuori lontano, che sogna – il suo sguardo, come inquieto, scavalca la parete rocciosa, attraversa il silenzio: ha sentito un rumore? Eppure non mi sono mosso, il mio fiato è ancora sospeso… Forse allora la sua è una premonizione, neanche lui sa di che, come un sospetto, un odore, un vento di sconosciuto futuro – ma almeno non sono io, quel futuro annunciato, non esserlo tu. Con il passo riservato della memoria, senza respirare, ancora, allontànati in punta di piedi, evitando di quel sentiero foglie e rametti: è così breve l’eternità dell’estasi, e delicata, un nulla può dissolverla, e per sempre – e d’improvviso sarà paura.
N.B. Non confondere con Remise des chevreuils en hiver: di caprioli ce n’è uno solo – e fa freddo.
Giuseppe A. Samonà, La remise des chevreuils, in Vice Versa, marzo 2014.
La remise des chevreuils au ruisseau de Plaisir-Fontaine Gustave Courbet, 1866, Musée d'Orsay |
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