Nei documentari degli anni Cinquanta lo sviluppo si presentava come un processo equilibrato che partiva dalla modernizzazione del settore agro-pastorale. Le bonifiche e le dighe avrebbero creato le condizioni tecniche di un'agricoltura irrigua: la promessa riforma agraria avrebbe liberato le terre dai limiti intrinseci dell'eccessiva frammentazione; il pastore e il contadino di vecchio tipo si sarebbero trasformati in operai e tecnici agrari. I documentari mostravano fattorie razionali in cui vivevano i coloni con le loro famiglie supportati da vari servizi tecnici e sociosanitari. Si mostravano linee di comunicazione, stradale e ferroviaria, che avrebbero favorito l'avvio dei prodotti della terra ai mercati e alle industrie di trasformazione. Un ottimismo razionalistico pervadeva quei messaggi, dai quali non trapelava alcuno spunto critico.
Nel documentario istituzionale degli anni Sessanta di tipo socio-economico, i riferimenti all'agricoltura si fanno più sfumati e generici. Essa appare nei discorsi degli assessori nel quadro di un generico sistema di imprese integrato con le industrie di base e con quelle, mai create, di lavorazione. Emerge con chiarezza una filosofia dello sviluppo che identifica il progresso con l'industria e questa con la petrolchimica. I documentari di Romolo Marcellini Civiltà dei pastori e Sardegna, industria e civiltà, entrambi del 1969, ne sono la sintesi esemplare.
Le performances visive delle grandi industrie sul mare e nei deserti
L'enfasi acritica che i documentari degli anni Cinquanta avevano riservato allo sviluppo agricolo e rurale si trasferisce, quindi, per intero alla grande industria peltrochimica dalla quale si attende l'induzione di processi di lavorazione a valle. I termini "a valle", "integrato", "seconde e terze lavorazioni", "tessuto di piccole e medie industrie" si ripeteranno come dei refrain obbligatori nei filmati istituzionali e come un'aspettativa non realizzata in tutti gli altri.
Di piccole imprese si mostreranno rari esempi marginali e le enfasi argomentative saranno dedicate interamente ai mastosi stabilimenti petrolchimici. L'esaltazione ottimistica e acritica per il Piano di Rinascita espungeva ogni accenno a temi troppo imbarazzanti che avrebbero potuto suonare come critiche alla classe politica regionale. Nei documentari istituzionali non si troverà alcun accenno al banditismo, ai pescatori di Cabras, all'emigrazione, alle lotte che caratterizzavano il settore minerario in crisi.
Una rappresentazione veritiera, spesso impietosa, delle condizioni della Sardegna negli anni del Piano di Rinascita è offerta grazie alle inchieste realizzate per la Rai da Giuseppe Dessì (Itinerari nel tempo, 1968) (1), da Luca Pinna (Sardegna 1965, 1965), da Giuseppe Lisi (Dentro la Sardegna, 1968) (2) e dal più importante ducumentario di Fiorenzo Serra (L'ultimo pugno di terra, 1965) (3).
Salvatore Pinna, Guardarsi cambiare. I sardi e la modernità in 60 anni di cinema documentario, Cuec, Cagliari 2010, pp.46-48.
[N.d.b.]:
1. Nel portale Sardegna Digital Library puoi trovare l'intero documentario, a partire dal link:
http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&s=17&v=9&c=4460&id=1126.
2. Idem, a partire dal link:
http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&s=17&v=9&c=4460&id=86117.
3. Il documentario fa parte degli 8 DVD contenuti nell'opera: Fiorenzo Serra, La mia terra è un'isola, Ilisso, Nuoro 2010.
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