Di colore verde, custodito nella baracca accanto ai rastrelli e alle pale, prendeva vita allorché lo si riempiva d'acqua dello stagno, e poi dal suo beccuccio ecco riversarsi un'abbondante pioggia sulle aiuole rinsecchite, in un gesto - e lo sentivamo - di grande benignità verso le piante. Chissà, però, se l'annaffiatoio avrebbe avuto tanta parte fra i nostri ricordi qualora non fossimo stati educati a osservare le cose. Perché malgrado tutto, lo siamo. I nostri pittori imitano di rado gli olandesi e le loro nature morte, ma la fotografia aiuta a prestare attenzione ai particolari, e i film ci hanno insegnato che gli oggetti sullo schermo partecipano delle vicende dei personaggi e devono perciò essere notati. E poi ci sono i musei, dove vengono esposti quadri che celebrano non solo figure umane e paesaggi, ma anche una moltitudine di oggetti. L'annaffiatoio ha dunque tutti i presupposti per occupare una posizione ragguardevole nella nostra immaginazione. E chissà che proprio qui, nell'aggrapparsi a forme dai contorni netti, non sia racchiusa una speranza di salvezza dal nulla e dal caos.
Czesław Miłosz, Il cagnolino lungo la strada, a cura di Andrea Ceccherelli, Adelphi, Milano 2002, p. 157.