28 aprile 2011

Un joli Crime piaulant dans la boue de la rue

Je suis un éphémère et point trop mécontent citoyen d'une métropole crue moderne parce que tout goût connu a été éludé dans les ameublements et l'extérieur des maisons aussi bien que dans le plan de la ville. Ici vous ne signaleriez les traces d'aucun monument de superstition. La morale et la langue sont réduites à leur plus simple expression, enfin! Ces millions de gens qui n'ont pas besoin de se connaître amènent si pareillement l'éducation, le métier et la vieillesse, que ce cours de vie doit être plusieurs fois moins long que ce qu'une statistique folle trouve pour les peuples du continent. Aussi comme, de ma fenêtre, je vois des spectres nouveaux roulant à travers l'épaisse et éternelle fumée de charbon, − notre ombre des bois, notre nuit d'été! − des Erynnies nouvelles, devant mon cottage qui est ma patrie et tout mon cœur puisque tout ici ressemble à ceci, − la Mort sans pleurs, notre active fille et servante, un Amour désespéré, et un joli Crime piaulant dans la boue de la rue.
Arthur Rimbaud, "Ville", Illuminations, 1873-1875.

Nights in white satin

27 aprile 2011

L'irrequietezza non breve

"È sempre difficile, forse impossibile almeno per me rispondere alla domanda su chi e che cosa è stato un altro da me. Ebbene, se dovessi rispondere su chi è stato Luigi Pintor, risponderei subito: un eversore. Uno che voleva sovvertire la società in cui viveva. Di essa non gli piacevano né le leggi, né i costumi, né i modelli. Si ribellava a una oppressione? Mi pare che fosse diverso e di più. Prima ancora, guardando a lui, Luigi Pintor, mi sembrava che egli protestasse innanzitutto contro un modo di leggere la vita: sembrava provare una nausea per i codici e i sacrari posti sugli altari. E lo stupiva l'ipocrisia che stava al fondo di quei canoni. Anche se poi alla fine del suo amaro riflettere sembrava sempre chiedersi con un breve ghigno: ma di che siamo sorpresi? Certo, alla fonte del guasto era per lui il capitalismo, con la sua avidità insanabile. Luigi non era un riformista. Non lo era mai stato, anche quando scendeva con sarcasmo a denunciare e misurare l'avarizia della borghesia nei suoi riti di elemosina sociale. Il suo sogghigno era come dire: avete visto di che pasta sono fatti costoro? Ma c'era alle spalle come un'idea del Male del mondo, di una ingiustizia più vasta della violenza propria dell'ordine sociale imperante. E il furore e la collera contro tale ordine sociale in auge sembrava in lui accrescersi proprio in rapporto alla durezza dell'infelice condizione umana. Tanto più la borghesia era sordida. Dunque: un apocalittico mediterraneo? La cosa sorprendente in questo amarissimo e aspro narratore del male di vivere, era la testarda tenacia combattiva con cui egli si impegnava si potrebbe dire: ogni giorno nella lotta quotidiana, sullo scontro pratico della sinistra come essa era, nei suoi difetti e nelle sue più elementari speranze, nelle sue passioni e prove di ogni giorno. E come il suo gusto per la pagina alta e severa, per il canto disperato, si mischiavano all'elzeviro bruciante sul giornale, alla staffilata breve contro il nemico di classe, contro i trafficanti della politica. Qui  per me era il suo volto inconfondibile che tornava poi anche nelle pagine così stringenti e allusive dei suoi romanzi o memorie.
La perdita è grave, nel momento in cui la partita mondiale vede toccare nuove altezze e pone la guerra come asse centrale della politica. E sono alla prova, di nuovo, letture del mondo, sistemi mondiali di politica. Altri dirà della vocazione naturale di Luigi alla scrittura, della sua passione singolare a trasformare l'emozione etica in racconto e l'abbandono alla memoria come interrogazione sulla vita. A me è caro ricordare la sua alta irrequietezza sul senso dell'essere, e insieme come egli mescolava il suo stare quotidiano nella mischia con le domande sull'Ultimo. Qui vedo la cifra dell'uomo. 
Non era semplice Luigi. La sua irrequietezza non era breve. E la sua passione polemica a guardare in fondo – scavalcava anche la sua parte. Riflettendo su di lui, ora che è composto nella calma severa della morte, bisognerà risalire lontano a una vena, a una costa d'Europa maturata nella «guerra totale» (come l'ha definita Hobsbawm) apparsa sul globo a metà circa del Novecento e poi  nel tempo di Bush tornata a misurarsi col nuovo livello raggiunto dall'arte dell'uccidere. Qui per me vengono anche domande sul passato. Che vedemmo, che capimmo allora, in quell'incendio mondiale della nostra gioventù, quando Luigi sfiorava appena i vent'anni e già era nella bufera della insorgenza partigiana? E che non capii io della rottura del manifesto che ci divise? E ancora oggi non siamo riusciti a costruire un livello di incontro adeguato alle varianze faticose della sinistra oggi, pur dopo la novità straordinaria dei new global. Da che viene l'insuperato che ancora ci spacca? E come possiamo pensarti, ed evocarti, fratello che te ne vai, senza cercare risposta a queste domande? Dal tuo silenzio, come ancora ci chiami testardamente nella tua amara interrogazione sul domani...".
Pietro Ingrao, "Le pagine di un sovversivo", il manifesto, domenica 18 maggio 2003.

Sui populismi

Negli anni '20-'30, la Germania pre-nazista esaltò il Blut und Boden, il sangue e la terra, come fonte di legittimazione politica ben più forte della democrazia. Oggi lo slogan è imbellito  si parla di radicamento territoriale, davanti a una sinistra intimidita e plaudente – ma la sostanza non cambia. La brama di radici, ancora una volta, impedisce il camminare dell'uomo e lo sguardo oltre la propria persona, il proprio recinto. Consanguineità e territorio divengono fonti di legittimazione più forti della Resistenza.
Barbara Spinelli, qui.

21 aprile 2011

À bout de souffle

... fa chi custa menti
turbada non vengat
e sana si mantengat
finas a ispirai.

17 aprile 2011

Lungometraggio

Ho visto "Habemus papam" e ancora sono dentro le sue atmosfere. Per niente semplice scriverne ma non è importante farlo: ritornerò sulle metafore del film che mi sono rimaste quando capiterà, intanto che ho già voglia di rivederlo. Moretti ha ampliato e, se è possibile, affinato la potenza del suo linguaggio, o così è per me. Nel presente che decreta la fine della grandezza dell'uomo per l'incapacità di riconoscere la propria fragilità e (in) quella dei propri simili, saperla raccontare con rigore e tenerezza, questa fragilità, è la cifra che oggi fa grande il regista ai miei occhi. 
(Un appunto nella moleskina mentre scorrevano i titoli di coda: La Chiesa ha bisogno di una guida che porti grandi cambiamenti, che abbia comprensione per tutti. La folla del film è contenta e applaude a queste parole di Michel Piccoli.)
Mi piacerebbe mettere nel blog la sequenza dell'interno dell'automobile con la psicanalista alla guida, il papa (senza l'accento) nel sedile accanto, e i due ragazzini, fratello e sorella, figli di lei, nei sedili posteriori. Mi riporta a un'altra, che amo moltissimo, di La stanza del figlio

P.S.: Mi sono espressa un po' di più (come a volte accade confrontandosi) nella social recensione organizzata da Strelnik. Riporto anche qui.


Anche se il film mi è piaciuto moltissimo, mi ha fatto ridere e, molto, sorridere, forse non ci ho capito granché. Insomma, Strel, in fondo sono solo le tue “seghe mentali” che mi sento di condividere veramente: c’è una straordinaria forza in quest’uomo che rivendica la sua fragilità e la sua paura: quel suo “non ce la faccio” non è l’urlo di un pavido ma l’atto di rivolta da cui attingere il coraggio di ributtarsi sulla strada (senza cellulare), osservare la realtà da un altro punto di vista, ricostruire se stesso, ritrovare la passione (la recitazione), nuove parole per dialogare con la realtà (la scena finale, con Melville che ritrova parole sincere – come una nuova dimora -, il coraggio per dirle, l’empatia con con una folla che aspetta di poter ascoltare una parola sull’uomo e sul dolore; per contrasto, lo sconcerto dei cardinali che aspettano parole potenti e istituzionalmente risolutive… E anche su questo versante molte stratificazioni dell’umano, su cui insiste gran parte del film.) Troppo sfumate, meno semplici da analizzare sono le figure femminili, non isolate dal contesto. Ho trovato interessante e particolarmente ironica l’interazione tra la psicanalista/madre, Melville, i figli di lei, fratellino e sorellina, che battibeccano (Interno dell’automobile, sequenza molto simile a un’altra vista in “La stanza del figlio”. La psicanalista/madre: “Lei picchiava sua sorella da bambino?”; Melville: “Certo.”): c’è un invito allo spostamento su un piano meno esplicito del film? Non lo so. Invece non vedo contemplato, nella figura del papa, un discorso sul “fallimento”, dimensione esistenziale di chi non riesce a superare “la prova”, traducibile anche – semplificando – nella morale borghese del disgraziato che non dà prova di successo. La consapevolezza dell’inadeguatezza al ruolo nel punto in cui la propria umanità rischia l’annichilimento (un’esperienza così comune, altro che papa!) non mi sembra si possa definire come uno scacco. Non è a un’immagine di “fallimento” che conduce la tenda rossa che si apre sul nero dell’assenza e neppure è un’immagine di libertà. Forse rivedendo il film – cosa che ho idea di fare – la smetterò di parlarne così, solo per sottrazione.

15 aprile 2011

Restiamo


Il benvenuto di un bambino di Gaza alla Freedom Flottilla. Foto di Vittorio Arrigoni

14 aprile 2011

Father


And you, my father, there on the sad height, 
Curse, bless me now with your fierce tears, I pray. 
Do not go gentle into that good night. 
Rage, rage against the dying of the light.

13 aprile 2011

Il re dei babilonesi

Nel celebre quadro di Rembrandt, al re dei babilonesi appare sul muro la scritta di fuoco “Libererò il Paese dai giudici". Il re è al centro di una tavolata, ha la corona un po’ a sghimbescio sulla testa. L'espressione da ubriaco è di vuoto stupore, di sostanziale ignoranza del proprio destino, simbolo dell'umanità disarmata e stupita di fronte al mistero. 

10 aprile 2011

Portatore di sogni allegri

"Facevamo un vino colore del sangue, dolce al palato e portatore di sogni allegri. Nel settimo giorno del mese del vento che piega le querce incontravamo tutte le genti attorno alla fonte sacra e per sette giorni e sette notti mangiavamo, bevevamo, cantavamo e danzavamo in onore di Is. Cantare, suonare, danzare, coltivare, raccogliere, mungere, intagliare, fondere, uccidere, morire, cantare, suonare, danzare era la nostra vita. Eravamo felici, a parte la follia di ucciderci l'un l'altro per motivi irrilevanti."
Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri, Ilisso, 2003.


Bowling for Alphen aan den Rijn

9 aprile 2011

I need some sleep

Primi

Primi bagni della stagione, senza smettere un attimo di nuotare, per difendersi dal freddo e dal pensiero di cosa può esserci ora nel fondo del mare.

8 aprile 2011

Antoni e Diagne



Antoni Cuccu, senza saperlo, era un editore. Trascriveva e stampava le gare poetiche della Sardegna e vendeva i libretti nelle feste paesane. Prima di morire ha lasciato in eredità il mestiere a Tediane Diagne, un migrante senegalese che conobbe, ormai anziano, il giorno che un tappettino di orecchini e braccialetti si aprì accanto alla sua valigia. Diagne, ricordando il suo vecchio amico, lo chiama ancora "babbu". Se siete fortunati, le sere d’estate e sino a novembre inoltrato, nelle feste che si rincorrono da Santa Maria Navarrese a Tonara, non è difficile incappare nel suo banco di libri: ne ha di bellissimi.


 Antoni Cuccu. Fotogramma tratto da "La valigia di Tidiane Cuccu", di Antonio Sanna e Umberto Siotto, ArKaosfilm, 2009.

7 aprile 2011

Quarto passo

«"Emigro. Vado a cercare lavoro."
"Cosa sai fare?"
"… nulla."
"Almeno sei onesto. Ma non sei buono neppure come operaio. Troppo magro. Scheletrico, non si vede un muscolo. Scommetto che soffri spesso di diarrea, tutti noi magri soffriamo spesso di diarrea, ma ci sono magri utili e magri da mandare al macello, per quello che servono alla società. Non ti ci vedo a spalare carbone in Belgio. Diventerai uno spacciatore piagnucolante in qualche locale equivoco di Amsterdam o di Barcellona, finché ti troveranno con una siringa in un braccio, in un vicolo, su un sacco della spazzatura, stecchito."
"Le auguro di aver torto."
"Non mi credi profeta?"
"Non ho motivi di dubbio ma non posso neppure giurarci."

"Ho previsto la caduta del dollaro con sei mesi di anticipo, nell'86, fossi stato ricco mi sarei arricchito ancora, invece così con quello che ho guadagnato mi son fatto la casa a Nettuno per quando vado in pensione. Quattro bagni. Avrò quattro bagni, da vecchio. Quasi come in nave. Ho previsto la vittoria del Torino nel derby e ho fatto tredici, una volta, molti anni fa, mi sono comprato la lavatrice nuova e ho ripianellato la casa dove abito, se ti ci vedo bazzicare attorno giuro che ti lancio i doberman. Sono un ottimo profeta, ci azzecco quasi sempre. Tu è quasi un miracolo che stai in piedi, forse non arriverai neppure ad Amsterdam, ti conviene confessare e farti qualche annetto di galera, mangi e bevi a spese dello Stato, ti rimetti fisicamente, fai un po' di pettorali, se diventi onesto potrai andare a spalare carbone in Belgio. E potresti pure guadagnarci: mettiamo il caso che tu conosca qualche famoso uomo politico o magnate di quella vostra isola di merda, tuo amico di stravizi, allora staresti a cavallo, un buon pentimento con chiamata in correo vale un pacchetto di dollari e una galera dolce dolce e breve ch'è quasi un albergo."

"Mi dia il tempo di commettere un reato e penso alla sua offerta."
"Formale berbenista, chi cazzo ti credi di essere soltanto perché non ho prove? Se mi rompi i coglioni trovo le prove e ti mando a sudare a Rebibbia."
"Perché?"
"Ricorda quello che ti dico: un passo falso, uno solo e finisci male. Ti conosciamo e ci siamo rotti i coglioni di gente come te."
"Chi?"
"Noi. La legge. E che minchia sono i trimpanus?"
"Tamburi di pelle di cane morto d'inedia, molto antichi."
"Mi vuoi sfottere, a me?"
Ruggero si sente preso per lo zaino e sollevato in alto, agita le gambe a vuoto, Una forza lo solleva e lo porta fino a una panca dove lo lascia cadere come un sacco di letame.

Ruggero tremante fa fatica a sollevarsi.

Il mare è pacato, quasi senza onde. Il comandante è sparito. Non c'è più nessuno. Sul ponte di comando hanno spento i fari. Ed è buio nel buio.

Silenzio. Il ronfare della nave fa parte della notte, non si sente più.

Il respiro di Ruggero Gunale si allunga. Bagliori ogni tanto dietro le palpebre.»

Sergio Atzeni, Il quinto passo è l'addio, Arnoldo Mondadori, Milano 1995, pp. 159-161.

6 aprile 2011

Janìle


Su janile 'e homines e 'eminas chi nde colant su mare in chirca 'e una patria prus galana de cussa inùve sun naschìos, ma chi accattan solu unu janìle chi si nat morte. 
(El destino de hombres y mujeres que cruzan el mar en busca de un lugar más acogedor de la patria, como las golondrinas, pero sólo hay un destino que se llama muerte.)
Ho tradotto – spero non troppo maldestramente – il mio sardo in spagnolo, per mostrare come, in entrambe le lingue, le parole destino e destinazione si dicano in egual modo: janìle, nell'una, destino nell'altra. La seconda accezione del sardo e dello spagnolo, è quella su cui deve concentrarsi la nostra attenzione.  
(Reposu appent sos traballos tuos, frade.)

5 aprile 2011

Rundines

Sas benennidas siedas rundines a domo mia.
Paolo Mossa (Bonorva, 1821-1892)


Cala Cipolla (Chia)

4 aprile 2011

Agenzie di viaggi

"Nel 2004 The Guardian diede notizia di una ricerca condotta dall’università di Plymouth che stimava in 4000 l'anno le vittime delle migrazioni via mare in tutto il mondo, metà delle quali sulle rotte verso l'Italia e la Spagna. All'epoca, dunque, le vittime 'europee' a partire dal 1996, cioè dall'entrata in vigore del trattato di Schengen, erano stimate in ventimila, a fronte di 200.000 (fonte: ministero dell'interno italiano) persone giunte via mare nel nostro territorio. Che significa (se attribuiamo alle rotte spagnole metà delle vittime) un morto annegato ogni venti persone in Italia via mare."
Giovanni Maria Belluoggi.


Le convenzioni internazionali e la Costituzione obbligano al salvataggio del naufrago anche in acque territoriali straniere (Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, cap 11 e 12; Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare, cap 98, 1 e 18,2) ma ci sono nazioni – come la nostra – che misconoscono tali obblighi e non hanno più alcun rispetto per le antiche leggi del mare. Come già ricordato qui.

(Grazie ad Alfredo Bini per l'immagine.)


2 aprile 2011

Buono come te

Aprile spezzato

"Lo so che talvolta la via della pace è difficile e si vorrebbero delle scorciatoie per cacciare più presto questo o quel dittatore. Ma non ci sono: restano solo più cadaveri, e non vorrei entrare nel conteggio di quanti siano quelli dei ribelli e quanti dei coscritti di Gheddafi. Il fatto anche più grave è che ferite gravemente già appaiono le primavere arabe che dalla vicenda libica non escono rafforzate ma deviate per via di un intervento esterno ed autoritario che ha loro tolto ruolo. Per via di un'azione armata che ha già scelto i suoi paladini: i prodi ministri scappati all'ultimo momento (e fra questi persino chi è stato a capo nientemeno che del dicastero della giustizia e degli interni del regime) ai quali viene affidato il compito di costruire la democrazia libica." 
Luciana Castellina, "I disastri della guerra", il manifesto, oggi.

1 aprile 2011

Firenze

Trecento poeti

Siedo e leggo un poeta. Nella sala c’è molta gente, ma non si avverte. Sono nei libri. A volte si muovono tra le pagine, come persone che dormono e si rigirano tra due sogni. È bello stare in mezzo a uomini che leggono. Perché non sono sempre così? Puoi avvicinarti a uno e sfiorarlo: non sentirà nulla. E se nell’alzarti urti appena un vicino e ti scusi, lui accenna col capo dalla parte in cui sente la tua voce, il suo viso si volge senza vederti, e i suoi capelli sono quelli di un uomo che dorme. Come fa bene questo. Ed io siedo e ho un poeta. Che destino: nella sala sono forse ora trecento lettori; ma è impossibile che ognuno abbia un poeta (Dio sa cosa avranno). Non esistono trecento poeti.

Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge: autoritratto del poeta giovane, De Donato – Leonardo da Vinci, Bari 1966, p. 31.

Bullysm

Questo non è che un momento di una storia tra adolescenti che potrebbe avere un buon epilogo o, viceversa, una fine drammatica quando non tragica.
All'immaginazione di chi legge – all'esperienza, cultura e sensibilità – lascio la costruzione di quel che precede il momento ritratto dalla foto nel post, la caratterizzazione dei personaggi, la costruzione della storia.