28 febbraio 2010

L'antifascismo da madre a madre

A G. e A.

Costantino Nivola, Muro e melo (nel giardino della casa a Spring), 1951



E io vorrei scrivere di Marianna, ma non so come iniziare, e allora leggo anche per te Luna de marzu, una poesia che Montanaru sottotitolò con una semplice dedica: “a Marianna Bussalai”.
Luna de marzu sentìa / mi pares troppu istasera / Nues de onzi manera / t’attraversan su caminu, / currellende a s’affainu / sutta s’isprone ‘e su entu. / E tue in su firmamentu / b’andas bella passizera.
T’oscuras de improvvisu / e pare’ morta sa terra. / Inchizzìda est ogni serra / nieddu donzi padente. / Ma tue sighis sa via / cun tundu visu serenu. / Intantu in donzi terrenu / de custa muntagna sola / cuminzat calchi viola / a si mustrare timinde; / ca sun sa dies beninde / de sa bella primavera.
Tue che nunziadora / t’avanzas luna nontesta, / a preparare sa festa / de totta s’umanidade. / Sa tua serenidade / ti faghet cumparrer trista. / Ma tue già cun sa vista / bies sa novella ispera. / Luna de marzu, sentia / mi pares troppu istasera.
Questo è solo uno stralcio della lunga poesia che Montanaru dedicò alla sua amata amica, e mi sembra la cosa più giusta da fare – ecco trovata la chiave – iniziare a scrivere così di una donna che visse poeticamente i suoi anni, e tanto più nobilmente perché riuscì a coltivare la speranza in un contesto storico in cui sembrava regnare una profonda disperazione. Era lei, in tal senso, un'organizzatrice.
Primogenita di Antonietta Angioy e Salvatore Bussalai, Marianna nacque a Orani nel 1904. Qualche anno più tardi nacque Ignazia, la sorella che sempre fu legata a Marianna anche dall'inossidabile complicità ideale che segnò il loro operato di future antifasciste. "Signorina Ignazia", come tutti la chiamavano a Orani, era una donna di straordinaria simpatia e intelligenza, e – mi viene da pensare – agì secondo il poetico e politico dettato dell'ultimo Fortini: Composita solvantur (Le cose si dissolvono): proteggete le nostre verità. Con i suoi racconti (di cui anch’io, da bambina, sono stata fortunata fruitrice) e la cura dei documenti lasciati da Marianna, Ignazia coltivò e trasmise le idee della sorella maggiore: innanzittutto il sardismo autonomista e antifascista, passione che allora unì i giovani più emancipati della resistenza sarda al regime. Le due sorelle rimasero orfane di madre quando Marianna aveva soltanto cinque anni; il padre si trasferì a Nuoro e poi a Porto Torres per lavoro, convolando a terze nozze, e le bambine vennero affidate a Grazietta Angioy, loro zia materna; vissero nella casa settecentesca che fu degli Angioy, tra la piazza di Santa Gruche e S’Arzada ’e su Monte, a Orani: casa ricca di leggende per essere stata ancor prima l’abitazione estiva del Vescovo di Ottana e quindi ricchissima di quelle memorie che le due sorelle rivivevano nei loro racconti davanti al latte fumante e ai biscotti decorati con la glassa e serviti con stoviglie d’argento consumate dall’uso, come mi raccontava sempre nonna M. Una dimora ancora bellissima, con le architravi in trachite rossa e gli stipiti di foggia pisana, la corte all’ingresso e il cortile interno, dove ancora oggi cresce rigoglioso il melograno. Una casa attraversata dalla Storia, destinata a diventare il luogo delle riunioni clandestine antifasciste e una sorta di circolo culturale animato da un poetico gruppo di ragazze e di ragazzi, tra cui mio nonno A., che non ho mai conosciuto perché è morto giovane, ma che ho amato, anche lui, attraverso mille racconti. Così scrive Marianna in un prezioso documento autobiografico: “Il nostro piccolo gruppo viveva in un’atmosfera di poesia e di amicizia che ci impediva di rimpiangere le distrazioni della vita. I nostri autori prediletti, le intime confidenze, i fervidi scambi d’idee, sostituivano la bellezza esterna che mancava alla nostra vita. Libri preziosi, autori amati tenevano nella nostra gioventù, il posto di palazzi e di teatri, di balli e di feste, di viaggi e di amori, e ci offrivano l’universo in un compendio che a malapena ci lasciava sospettare le sue crudeli delusioni e le sue miserie infinite. Ore deliziose, generose amicizie, prime porte aperte sull’ideale…”. Un piccolo testo dove si legge anche un inno d’amore alla lettura, che riusciva ad assolvere, tra le altre, alla funzione di aprire una finestra sui sogni.
Così visse Marianna Bussalai, inventando una vita intensa per se e i suoi amici, anche nella malattia di cui pativa sin da bambina. Visse coltivando in pieno regime fascista le sue idee, leggendo e studiando la storia, la filosofia (in particolare incuriosendosi alla teosofia, corrente di pensiero che ricerca quel che accomuna Dio in tutte le religioni, ritenendo che tutte le religioni derivino da un’unica verità). Scriveva sin da bambina, iniziando molto presto a pubblicare in alcune riviste dell’epoca e in paricolare ne Il Solco, l’organo informativo e culturale del neonato Partito Sardo d’Azione, alla cui costituzione e formazione Marianna dedicò tutte le sue energie con passione, convinzione ed entusiasmo. E continuò a scrivere nonostante la censura e le angherie della polizia fascista, e nonostante questo – come Anna Achmatova, la grande poetessa russa che pure attraversò vicissitudini storiche e personali drammatiche –, continuando a operare nella ricerca della bontà degli uomini, nella fiducia di un riscatto possibile per la sua terra, nella fede in un ideale di giustizia e libertà.
Contemporaneamente continuava a tradurre i poeti sardi con l’idea di poterli divulgare e farne arrivare il canto oltre il mare. In questo senso Marianna aveva una concezione moderna della traduzione, riconoscendone la sua funzione di mediazione culturale e di conferma del valore dei componimenti scritti nella lingua madre. Un’idea all'avanguardia per quell’epoca, in Sardegna, anticipatrice e quindi poco condivisa, se teniamo presente che, sino a non molto tempo fa, il sardo non era riconosciuto come lingua ma identificato esclusivamente come rozzo e naturale mezzo di espressione per le necessità quotidiane. Tuttavia – scrive Marianna in una lettera a Montanaru – “il rapsodo non lo rinnega ancora, e sa trarre da esso nobili accenti e mirabili armonie! E le donne sarde, quiete e ignorate poetesse dell’ombra, quando liberano nei muttos o nelle meste cantilene l’ingenuo e appassionato cuore, sanno addolcirlo e ingentilirlo a meraviglia!”. Ecco, nella bellezza e nella verità dell'espressione – "quiete e ignorate poetesse dell’ombra" – c’è tutta la consapevolezza del suo destino eccezionale. 
La vita di allora era durissima, a Orani come in tutti villaggi sardi, e per una donna era un’impresa ardua, da tutti considerata folle, il progetto teso a rompere l’emarginazione dalla vita sociale e culturale imposta dai rigidi ruoli di genere. Ricordiamoci che in questa stessa epoca, a pochi chilometri dal borgo, a Nuoro, un’altra donna osava scrivere: si chiamava Grazia ed era considerata una strega e definita – neanche tanto alla spalle – "una puttana". Come invece finì e continuò la storia di Grazia Deledda lo sappiamo tutti. Strano, invece, col senno di poi, come invece le cronache della vita di Marianna siano arrivate sin qui con toni diversi da questo; almeno a me così è capitato di ascoltarle – da Ignazia, mia nonna, mia madre, mia tataia Caterina. Mi hanno sempre dato l’idea che Marianna fosse una creatura speciale: troppi particolari (qui un po' lunghi da raccontare) e l'espressione dolce e mite di queste "fonti orali", mi fanno credere che sia stata una ragazzina e poi una donna molto amata e da tutti stimata: dalle amiche e dagli amici, dalla gente di Orani (tranne, ovviamente, che da quel pugno di delatori di regime). Ignazia è stata proprio come un griot, sino all'ultimo, per tutte le persone care che l’andavano a trovare sino all'ultimo periodo, quando era molto anziana e malata, e anche di lei resterà sempre il ricordo di una donna straordinariamente intelligente, coraggiosa, colta, modesta e, per me, soprattutto molto simpatica. L’ascoltavo incantata e divertita: non si stancava mai di raccontare davanti al grande tavolo della cucina antica, stracolmo di libri, di lettere, delle testimonianze degli amici e intellettuali sardi che, a loro volta in età, continuavano a farle visita nella sua casa piena di memorie, anche per ritrovare un po’ di sé e di quel vento che li vide protagonisti di un pezzo importante della storia sarda contemporanea, allorquando si credeva ancora fervidamente nella Rinascita. E sin da bambina, a Ignazia chiedevo di raccontarmi di quella volta che Marianna nascose Emilio Lussu nella botola sotterranea della sua grande casa, delle continue irruzioni della polizia e di come durante a ogni "visita" Marianna si mettesse seduta con il telaio del ricamo in mano, in paziente attesa che la perquisizione finisse: "Non lo trovarono, eh, ma in quei giorni Marianna rischiò davvero la galera e il confino!". Un rischio che correva ogni volta in cui spediva le sue lettere o riceveva i messaggi postali degli amici (compresi quelli del mio nonno giovane…), tenuti d'occhio dai gerarchi del paese.
Solo per un pugno di settimane, Marianna non poté assistere a un evento storico che fu il leit motiv delle battaglie sardiste e che l’avrebbe riempita di gioia: nel giugno del 1947 la Costituente approvò l’articolo 116 della Costituzione della Repubblica, che includeva la Sardegna tra le regioni a Statuto Speciale. 
Morì a marzo di quell'anno, a 43 anni.
Si racconta che la sua bara leggera fu trasportata dalla casa alla chiesa al camposanto antico, dagli amici, che a turno la sollevavano con tenerezza composta, percorrendo i vicoli di Orani. E si racconta che arrivarono da Sassari, da Cagliari, da Nuoro e da ogni paese della Barbagia e dell’Ogliastra, a dare l’ultimo saluto alla nobile ragazza, amica degli umili, libera e ribelle.

8 commenti:

danmatt65 ha detto...

Non posso che ringraziarti per avermi fatto conoscere questa storia, che anch'io, da qui, sento essere profondamente tua.
Brava.
Davvero.
Daniele (Macca)

Anonimo ha detto...

Bene, te lo dico anche qui:
"Bello, Bastiana. Tutte e tre le cose, la poesia, le foto e il racconto/biografia di Marianna. Che siamo fatti cos... Mostra tuttoì, quando il presente ci sembra più brutto (ma stavolta non è solo impressione soggettiva) allora ci rifugiamo un po' nel calore della memoria. E le tre cose si tengono insieme, legate da quel poco di speranza che ancora dalla memoria riusciamo a cavare e che qui tre hanno voluto trasmettere. E la foto di Nivola (quella del melo) sembra il compendio di tutto questo. sembra che parli, qui, oggi.
Possibile che la sinistra (la sinistra?) non ascolti questo semplice messaggio?"

E aggiungo che quando dico "rifugio" lo dico per me, ahimé. Che il pessimismo della ragione prevale sempre di più sull'ottimismo della volontà. E, dunque, proprio nel senso etimologico di refugere. E' triste, lo so, ma in questo momento è così.
bobboti

Anonimo ha detto...

un altro piccolo-grande pezzo del nostro microcosmo.
grazie Bastiana per questo "cammeo"

bianca ha detto...

@ Daniele, sì, effettivavente è così, tutti quelli che sono stati bambini e ragazzi a cavallo tra i '60 e i '70, almeno qui, nel cuore dell'isola, hanno avuto la fortuna di crescere nutriti di racconti.
@ bobbotti. Grazie amico, ho il massimo rispetto della funzione che per te ha in questo momento la "memoria", sia detto con affetto: credo di capire, anche se non ho questo tipo di relazione o sentimento. Forse perché non sto parlando di "ricordi", che attengono invece a una sfera più intima e individuale, e lì si aprirebbe anzi una piccola voragine, che niente comunque ha a che vedere con le persone che continuo infinitamente ad amare. Non ne ho di così belli al punto da farne un "rifugio", ecco. Parlo della memoria come sentimento collettivo, letteralmente distrutto in questo paese da quella che pasolinianamente possiamo chiamare “televisione”. Lontana dal refugere (in un passato dove l'unica ricchezza era la fiducia nella possibilità di un cambiamento) la memoria abitava – dovrebbe abitare, se non le fosse stato dato deliberatamente un colpo di spugna –, strutturava e indicava ancora il futuro, aiutando a comprendere il presente, a non accettarlo passivamente. Adesso "memoria" è appellativo svuotato di senso, dato a ricorrenze scandite in un pugno di giornate, attese solo per evadere dalle lezioni di matematica e geometria.
@ amerblog. Non è un “cammeo”, non ancora (per fortuna?). Aspetto il tuo link con le altre informazioni su Marianna di cui dici su fb e, se sei d’accordo, facciamo un "ponte" tra link. Un regalo per figli e nipoti, diciamo :)

Paolo Curreli ha detto...

ogni volta è una scoperta
e ancora mi addentro
come i raggi di luce nella polvere
scoprono libri antichi
o la mano nel nido un caldo uccellino

come ha scritto Giuliana Altea,
partecipe e commossa, su Nivola
la donna le donne sono state per lui
simbolo e guida se non la vita stessa
che si manifesta

ho anche io questo senso
perchè è di una saggezza più pacata e comprensiva
più alta e grande la vostra

bianca ha detto...

Sempre graditi i tuoi commenti, Paolo, e tuttavia mettono malinconia in quest'epoca italiana orrenda in cui delle donne si parla solo come escort e veline, e in vetrina sono solo le ministre manesche e siliconate a mostrarsi. Ma andiamo avanti criticamente, duramente, perché grazie al cielo non é del "berlusconismo" di destra o di sinistra che siamo figli e figlie, e ancora ci salva quel poco di stile e di allegria.

Paolo Curreli ha detto...

ho riletto il post su MArianna Bussalai ( avevo scritto due cose frettolose)
sono un lettore onnivoro e disordinato e molto ignorante
se il mio giudizio vale qualcosa di più dell'affetto tra amici
potrei dire questo:
è bellissimo lo stile è preciso, giornalistico
quindi ricco di informazioni
nel contempo pieno di "compassionevole" partecipazione
alle vicende di questa donna straordinaria
varrebbe la sola scoperta e divulgazione del suo pensiero
ma c'è molto di più: l'incipit con la poesia ( scoperta penso anche per molti lettori di cose sarde)
l'organizzazzione del racconto
la descrizione del luogo magico la tenerezza nel rittrarre
una ragazza sensibile in un tempo così pericoloso
anticipando i pericoli che lei incontra ( quando già la vorremmo proteggere e dirle quanto avesse ragione e quanto fosse nella modernità) la scintilla che accende il pensiero sul meditare
sui luoghi lontani dalla "bellezza" e dal "mondo"
(che poi è la storia della sardegna e anche di noi)
Trovo anche molto contemporaneo il taglio quasi una sceneggiatura così "visivo" più che letterario
vedrei una bella rivista e un grande fotografo
un bravo filmaker e un docufilm
però, devo dire che non so come sia il mondo la fuori...
quanto sia difficile fare qualsiasi cosa al di fuori dei soliti giri
però , se mi dai il permesso, vorrei farlo leggere in giro
besos

Rita ha detto...

che bella storia. L'ho letta come una favola incantata, affascinata e incuriosita da un mondo che è esistito e che continua ad esistere.
Orani, da quella sera, è tutto una scoperta.