16 febbraio 2010

Viaggio al termine del Rwanda

"Da lontano, la città sembra avere dimenticato tutto, digerito tutto, ingurgitato tutto. Le strade sono piene di gente. Il flusso di automobili è incessante. Ognuno vuole farsi largo, ricominciare da capo. Camminare disinvolti per le strade e guardare la vita che passa. Comprare banane a un banchetto, ridere con dei ragazzini, parlare con qualcuno lungo la via, aspettare al semaforo che appaia l’omino verde, comprare il giornale, bere una Coca Cola a un chiosco, vivere a Kigali come se il passato fosse solo un brutto ricordo. Le facce mi sembrano familiari. Tutto è così uguale a casa mia che mi spezza il cuore.
Quando Kigali è in pace, Kigali è molto tranquilla.
Cade la notte. È densa. Punti di luce decorano le colline come candele su un albero di Natale. I fari delle auto perforano l’oscurità, laggiù, in lontananza. Tutto sembra andare al rallentatore, acquietato dalla fine del giorno. I riverberi gettano un chiarore uniforme. L’aria è fresca, la terra tiepida. Vicino a un edificio, sotto gli alberi addormentati, file di tavolini e sedie capovolte sono in attesa della prossima alba. Nelle case intorno tutto sembra tranquillo. Il suono della televisione scivola fra i viali. Rumori di frittura, di acqua che scorre, una macchina che parte, la vicina che chiama il figlio. Sagome si stagliano contro le finestre, spettacoli di ombre cinesi dietro le tende tirate. La notte assomiglia a tutte le altre.
La luna è un semicerchio perfetto. Le stelle trattengono il loro segreto doloroso. Nulla trapassa l’opacità. Bisogna risalire la notte di tutti i tempi, ritornare alla grande paura, all’epoca in cui gli esseri, davanti al loro destino, non avevano ancora scoperto la loro umanità. Oscuri terrori guidavano i loro passi. Bisogna ricordare il timore fisico dell’Altro.
Le tue paure sono più spaventose delle mie? Nel tuo abisso tu scendi più in fondo di me? Che sacrificio accetteresti per mantenere la tua umanità?
Sei pronto a questo inconcepibile incontro con la morte snaturata dalla crudeltà?
Un giorno o l’altro bisognerà fermarsi sul serio per guardarsi in faccia, partire alla ricerca delle proprie paure nascoste sotto un’apparente tranquillità.
Che i miei occhi vedano, le mie orecchie siano in ascolto, la mia bocca parli. Non ho paura di sapere. Ma soprattutto che il mio spirito mai e poi mai perda di vista quello che deve crescere dentro di noi: la speranza e il rispetto della vita.
Sì, puntare anche la propria attenzione sulla vita che scorre: gesti quotidiani, parole usuali. La vita di tutti i giorni così com’è.
Proprio come in certe isole del Pacifico, dove la gente torna a insediarsi ai piedi dei vulcani spenti per coltivare le terre fertili, Kigali si spoglia del proprio passato e indossa gli abiti di una nuova esistenza.
L’educazione della gente, i loro sguardi stupiti quando ti vedono passare, le risate aperte finiscono per lasciarci senza punti di riferimento. Davanti a questa calma, come concepire la violenza che ha percorso queste stesse strade, imboccato queste stesse curve, investito questi stessi luoghi?
Ci vuole molto tempo per accettare che nuovi frutti siano riusciti a maturare sugli alberi piantati in questa terra di sofferenze.
Le tracce della guerra sono rare in città, ma i ricordi brulicano di immagini avvelenate. Dentro di sé, in silenzio, quasi tutti portano nell’animo una lacerazione e trovano ancora la forza incredibile di vivere la normalità del tempo che riprende: gli orologi sono stati rimessi sull’ora giusta, i calendari riappesi alle pareti, i libri raccolti dalla polvere, le foto ritrovate e rincollate, estratte dal passato e dall’oblio. Gesti senza importanza ma che hanno un valore così grande da imporre il rispetto a tutte le generazioni.
La verità si trova nello sguardo degli uomini. Le parole hanno così poco valore. Bisogna penetrare sotto la pelle della gente. Vedere quello che c’è dentro.
Il Male cambia tattica e campo di battaglia. Riappare là dove abbiamo abbassato la guardia.

CHIESA DI NYAMATA
Sito di genocidio.
+ o – 35.000 morti

La donna legata.
Mukandori. Venticinque anni. Esumata nel 1997.
Domicilio: Nyamata centro.
Sposata.
Figli?”.

Véronique Tadjo, L’ombra di Imana, traduzione di Maria Teresa Carbone, Iisso 2005, pp. 11-12.

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