18 ottobre 2011

Dalle piazze del sapere


La manifestazione di ieri alla biblioteca nazionale di Roma, al di là delle considerazioni sulla triste assurdità del fatto che si sia ricorso alla forza per impedirla, ha messo sul tappeto il tema delle biblioteche viste come cardine dello sviluppo culturale del paese e questa impostazione sta raccogliendo una valanga di adesioni. Grazie, dunque, agli ideatori: le persone che hanno occupato il teatro Valle di Roma e gli autori che si riconoscono in Generazione TQ.
Ora dobbiamo cogliere l'assemblea come un'occasione per parlare di tutte le biblioteche italiane. Purtroppo in Italia si parla ben poco di biblioteche se non per lamentarsi degli orari infelici, delle regole restrittive, per le discriminazioni tra gli utenti, dei tempi giurassici per accedere alle collezioni a Firenze e a Roma. Quando ci sono state proteste sono state solo di amici delle Nazionali, delle biblioteche storiche e di conservazione, di rado si è parlato di biblioteche pubbliche, a cui va solo l'onore di qualche cronaca locale.
Il problema più grave del nostro sistema bibliotecario non è la pur gravissima mancanza di fondi, spesso insufficienti perfino a garantire l'integrità fisica delle collezioni, ma il fatto che la biblioteca non è mai stata vista come un bene comune, un servizio indispensabile per la crescita democratica e culturale del paese. Se è vero che tutte le cose che vengono sottratte, negate, diventano indispensabili forse possiamo sperare che anche le biblioteche vengano in futuro viste dai cittadini come luoghi necessari alla loro esperienza quotidiana, alla qualità della vita in città.
Ai bibliotecari vorrei dire che se vogliamo un futuro dobbiamo conquistarcelo, perché la sorte delle biblioteche dipende anche da noi, dalla nostra capacità di abbandonare le piazze virtuali e portare le nostre ragioni in quelle reali, unendoci a chi sta lottando per salvare i teatri, i musei, gli archivi, le orchestre, l'istruzione pubblica, a Roma come nel resto d'Italia. Ormai la vera battaglia deve essere quella di sottrarre le biblioteche, gli archivi e i musei alla negletta sfera dei beni cultuali e inserirli nella sfera del welfare, un welfare adeguato al XXI secolo ove la conoscenza è un bene comune (un common), un diritto necessario per il benessere della società.
Manifestazioni di questo tipo dovrebbero dilagare in ogni città, in ogni comune dove il primo capitolo di bilancio a essere tagliato se non soppresso è quello della cultura: al contrario, occorre far capire agli amministratori che solo investendo in attività creative si darà una speranza ai giovani oggi tentati dall'emigrazione di massa.
Antonella Agnoli, Il manifesto, lunedì 17 ottobre 2011

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