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Guardai Hrabal, volevo congedarmi da lui. La sua espressione era la stessa di un attimo prima, di una durezza ostentata ma assolutamente innocua. Mi venne in mente un celebre quadro di Rembrandt che raffigura il re dei babilonesi a cui appare sul muro la scritta di fuoco “Me ne tekel ufares” (“Sei stato pesato e trovato leggero” o qualcosa del genere). Il re è al centro di una tavolata, ha la corona un po’ a sghimbescio sulla testa. La sua espressione da ubriaco è di un vuoto stupore, di una sostanziale ignoranza del proprio destino; quel re apparve come simbolo di tutta l’umanità, disarmata e stupida di fronte al mistero. Avrei voluto abbracciare Hrabal ma non trovavo il modo di avvicinarmi a lui, tanto era stipato di bevitori quel locale. Mi inchinai, gli sorrisi e me ne andai.
Giorgio Pressburger, da: Dopo Hrabal, una rumorosa solitudine, Il manifesto, 17 aprile 1998.
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