Ho molto apprezzato l'analisi di Tiziano Scarpa del Nobel a Dylan a proposito di poesia che "non richiede la  forza motrice della lettura", richiamando l'importanza dell'ascolto  delle parole dette o cantate. Come nelle gare poetiche che hanno  tramandato una parte considerevole del patrimonio poetico sardo,  insomma, ma vale per tutto il Mediterraneo. Al Cairo, ad esempio, ancora  oggi, ogni giovedì, sparano dai megafoni disseminati nelle botteghe dei  vicoli i versi che Rami affidò alla voce di Umm Kulthum (da sempre  inseparabili). In questo senso ho trovato interessante anche il commento  di Salman Rushdie, che definisce Dylan come il brillante erede di una lunga  tradizione bardica. Ma il Nobel a Dylan apre ad altre molteplici  suggestioni, ed è anche per questo motivo che lo ritengo proprio un gran  bel Nobel. I pareri che ho letto, comunque, sono diversi e anche dissonanti. Io mi limito a  riportare qui quelli più interessanti raccolti tra i miei amici, che,  cosa lo dico a fare, pure se inquieti per l'attribuzione del Nobel al menestrello (scusate, è per evitare la ripetizione), comunque amano Dylan (ma non è questo il punto). 
Uno di loro, ad esempio, a proposito dell'assenza della lettura individuale come "forza motrice" della parola (la caratteristica di questo Nobel, appunto, che poi è il motivo che ha irritato Baricco & C.: "Cosa c'entra Dylan con la letteratura?") domanda (ma la sua è una domanda più seria):
"Quanto dell'attuale mondo della comunicazione ricerca l'abolizione di quella forza motrice?".
C'è di che riflettere, in effetti, perché la diminuzione della lettura individuale è un problema vero, a cui, fino ad ora, non si è trovata risposta. Anche se, osserva giustamente un altro amico, non è questione che si possa risolvere premiando una voce che affida le sue parole solo alla scrittura, e dunque autori come Roth o DeDeLillo, ad esempio, piuttosto che Dylan.
E sin qui l'ala di mezzo, diciamo, abbastanza contenta ma con qualche perplessità. Ma non è finita.
Tra li amici mia c'avemo pure l'ala dura. Quest'ultima si è allertata perché nell'attribuzione del Nobel a Dylan ha visto agire un sorta di messaggio subliminale "che ha qualcosa di devastante", dice uno dei suoi più autorevoli rappresentanti: "Non bastano carta e penna per fare letteratura, le parole scritte, da sole, non possono più aspirare a viaggiare nello spazio e nel tempo, hanno bisogno di altri supporti, dell’immagine del loro autore, di una voce irripetibile trasmessa da un microfono, di una melodia, che s’impongono persino quando, ed è il caso di molti, quelle poetiche parole non si capiscono; e complementariamente, non serve più leggere, non ce n’è più bisogno... The times they are really a changin’, but in a bad way...". Ed è tutto un elevarsi da incubo di palchi, palcoscenici, reading, festival, e mo' basta, però, aifestivalletterarivaccitu. (Questo amico è un bravo e assai schivo scrittore, oltre che un grande lettore e una persona assai schiva, appunto, ma che schivo... [faccina + cuori].)
Insomma, una considerazione assai pessimistica, ma almeno in parte inconfutabile, considerato che certi fenomeni culturali, magari interessanti e belli in sé, non sono serviti di una virgola ad aumentare i dati sulla benedetta "forza motrice", almeno nel nostro Paese. Tra parentesi, anche se non dovrebbe essere rilevante, pure l'ala dura delli amici mia adora Dylan.
Concludo the pippon dando la parola a due rappresentanti della cerchia di amici più geograficamente vicini alla scrivente, che ancora oggi, a distanza di un giorno dal Nobel, mi sembrano discretamente contenti:
Amico 1 g.v.a.s.: "Per noi sardi [il Nobel a Dylan] è una conferma, io sostengo sempre che sono stato educato alla narrazione da romanzieri analfabeti. Persone che conoscevano la tecnica del dire, erano maestri della parola, facevano le pause giuste in modo da favorire la memorizzazione di chi ascolta e in loro il ricordo. Non è letterattura perché non è scritta? E chi se ne importa."
Uno di loro, ad esempio, a proposito dell'assenza della lettura individuale come "forza motrice" della parola (la caratteristica di questo Nobel, appunto, che poi è il motivo che ha irritato Baricco & C.: "Cosa c'entra Dylan con la letteratura?") domanda (ma la sua è una domanda più seria):
"Quanto dell'attuale mondo della comunicazione ricerca l'abolizione di quella forza motrice?".
C'è di che riflettere, in effetti, perché la diminuzione della lettura individuale è un problema vero, a cui, fino ad ora, non si è trovata risposta. Anche se, osserva giustamente un altro amico, non è questione che si possa risolvere premiando una voce che affida le sue parole solo alla scrittura, e dunque autori come Roth o DeDeLillo, ad esempio, piuttosto che Dylan.
E sin qui l'ala di mezzo, diciamo, abbastanza contenta ma con qualche perplessità. Ma non è finita.
Tra li amici mia c'avemo pure l'ala dura. Quest'ultima si è allertata perché nell'attribuzione del Nobel a Dylan ha visto agire un sorta di messaggio subliminale "che ha qualcosa di devastante", dice uno dei suoi più autorevoli rappresentanti: "Non bastano carta e penna per fare letteratura, le parole scritte, da sole, non possono più aspirare a viaggiare nello spazio e nel tempo, hanno bisogno di altri supporti, dell’immagine del loro autore, di una voce irripetibile trasmessa da un microfono, di una melodia, che s’impongono persino quando, ed è il caso di molti, quelle poetiche parole non si capiscono; e complementariamente, non serve più leggere, non ce n’è più bisogno... The times they are really a changin’, but in a bad way...". Ed è tutto un elevarsi da incubo di palchi, palcoscenici, reading, festival, e mo' basta, però, aifestivalletterarivaccitu. (Questo amico è un bravo e assai schivo scrittore, oltre che un grande lettore e una persona assai schiva, appunto, ma che schivo... [faccina + cuori].)
Insomma, una considerazione assai pessimistica, ma almeno in parte inconfutabile, considerato che certi fenomeni culturali, magari interessanti e belli in sé, non sono serviti di una virgola ad aumentare i dati sulla benedetta "forza motrice", almeno nel nostro Paese. Tra parentesi, anche se non dovrebbe essere rilevante, pure l'ala dura delli amici mia adora Dylan.
Concludo the pippon dando la parola a due rappresentanti della cerchia di amici più geograficamente vicini alla scrivente, che ancora oggi, a distanza di un giorno dal Nobel, mi sembrano discretamente contenti:
Amico 1 g.v.a.s.: "Per noi sardi [il Nobel a Dylan] è una conferma, io sostengo sempre che sono stato educato alla narrazione da romanzieri analfabeti. Persone che conoscevano la tecnica del dire, erano maestri della parola, facevano le pause giuste in modo da favorire la memorizzazione di chi ascolta e in loro il ricordo. Non è letterattura perché non è scritta? E chi se ne importa."
Amico 2 g.v.a.s.: "È  un timore forse fondato", scrive, rispondendo all'ala dura delli amici mia, "ma non  vedrei un sintomo del problema nel Nobel dato a Bob Dylan (che caso mai  ha altri significati). La sua radice sta in altri processi storici in  corso. Possiamo anche sostenere che per molti versi ci troviamo in  un'epoca di decadenza. Non sarebbe la prima volta nella storia  dell'umanità. Ricordiamo  però che la lettura in solitaria, come esperienza individuale, è un  fenomeno molto meno universale e di lunga durata di tutte le altre  espressioni letterarie e narrative (in senso lato). È un fenomeno molto  europeo e molto moderno (nel senso di Età moderna). In Italia è  sostanzialmente un fenomeno tutto contemporaneo (nell'Ottocento, il  secolo "del romanzo", in Italia non si leggeva quasi nulla, ma c'era  l'opera!). Alcune riserve onestamente le trovo un po', come dire, elitarie, a volte proprio reazionarie (a volte). Non  mi preoccuperei troppo, insomma. Le storie, la poesia e i narratori non  scompariranno mai finché esisterà la nostra specie." 

 
 

 

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