31 marzo 2011
Ho imparato
“Ho imparato in questo secolo l’indicibile dell’umano, di ognuno di noi e della relazione con l’altro che non possiamo mai afferrare fino in fondo. La mia paura è che mi venga tolto non tanto il pane e nemmeno la Costituzione, ma questa idea dell’umano.”
Pietro Ingrao, commentando Indignez-vous! di Stéphane Hessel.
Leggendo Gutiérrez
La schiavitù non è stata abolita,
si è soltanto diffusa per includere
i nove decimi della popolazione.
Dapertutto. Santa Merda.
Charles Bukowski, "Niente canzoni d'amore", in: Pedro Juan Gutiérrez, Il nido sel serpente. Memorie del figlio del gelataio, e/o, 2007 (esergo).
si è soltanto diffusa per includere
i nove decimi della popolazione.
Dapertutto. Santa Merda.
Charles Bukowski, "Niente canzoni d'amore", in: Pedro Juan Gutiérrez, Il nido sel serpente. Memorie del figlio del gelataio, e/o, 2007 (esergo).
30 marzo 2011
L'attrazione fatale
"Non esistono guerre pulite né guerre giuste, ma solo guerre inevitabili, come lo è stata la seconda guerra mondiale combattuta dalle forze alleate. Non è però il caso dell'attuale conflitto armato. Prima di intonare inni alla gloria di quest'impresa, veramente migliore di tutte le altre, forse sarebbe bene meditare sulle lezioni che Goya trasse duecento anni fa da un'altra guerra combattuta in nome del Bene: quella dei reggimenti napoleonici che portavano i diritti umani agli spagnoli. I massacri commessi in nome della democrazia non addolciscono la vita più di quelli perpetrati per fedeltà a Dio o ad Allah, alla Guida o al Partito."
Tzetan Todorov, "L'attrazione fatale della guerra giusta". Fonte: MicroMega.
Tzetan Todorov, "L'attrazione fatale della guerra giusta". Fonte: MicroMega.
Proprio
"Proprio nel momento in cui potrebbero diventare adulti, sgobbando per guadagnarsi un ruolo “produttivo”, critico, ecco che lo Scetticismo e il Cinismo – il pane quotidiano della rete – sembrano evaporare. No, non sempre: a volte diventano fuoco amico e vanno a colpire chi non si aggrega cameratescamente all’euforia collettiva."
Dal tumbrl di Hai voluto vedere Parigi.
29 marzo 2011
La voce
Donne, uomini, vecchi, bambini, ricchi, poveri: quello che gli assassini vedono davanti a sé è un mucchio indistinto da eliminare più in fretta possibile. Ma la massa è anche la corazza all’interno della quale trovano riparo gli autori dei genocidi. Nessuna persona ha ucciso da sola un’altra persona. Siamo colpevoli tutti. E nessuno sarà colpevole. Di fronte a una materia tanto tragica c'è chi procede al contrario, e dalla massa informe degli assassini e dei cadaveri estrae volti, storie, individui, ridonando a ciascuno un nome. Come i saggi chiamati a placare la collera dei morti, si pongono davanti alle vittime e ai carnefici, vulnerabili, miserabili di umanità, attingendo al patrimonio più prezioso di cui dispongano le scritture: la tradizione orale, la voce.
27 marzo 2011
23 marzo 2011
Punti fermi
Verso la fine di marzo, da una decina d’anni a questa parte, una famiglia di balene proveniente dal sud del Mediterraneo (che poi si dirige verso il nord) fa bella mostra di sé a Cala Gonone, dove sosta per circa un mese.
22 marzo 2011
Margherita
Il sistema di infotainment sta andando in tilt. È una guerra, non è una guerra, è una guerra, non è una guerra (ad libitum). Tutto questo significa solo una cosa. Che è una guerra.
Maxeramax, oggi, nella sua pagina facebook
21 marzo 2011
Il faut tenter
“Le vent se leve, il faut tenter de vivre.”
È un verso di Paul Valery che Gian Maria Volontè (nella foto con Florinda Bolkan) fece stampare sulla randa dell’Arzachena, la barca a vela su cui visse negli anni Settanta.
Hanno 0
"Giovedì 17 febbraio, Pisa. È sera, ha piovuto tutto giorno. Nei paesi dell’Africa mediterranea si propaga l’incendio, pare che qualcosa si muova anche in Libia, ma invano ne ho cercato notizie più dettagliate nei telegiornali – nulla, o quasi, salvo alcune vaghe informazioni, e unicamente in chiave di paura: sbarcheranno a migliaia... Con un amico anche lui di passaggio, svizzero (ma di lingua madre e cultura italiane, e che vive da molti anni a Berlino), decidiamo di vedere Annozero, su Rai 2, con ripromesso zapping su Rai 1, dove c’è Sanremo, e annunciano Benigni…".
Giuseppe A. Samonà
Per leggere integralmente l’articolo vai qui.
19 marzo 2011
18 marzo 2011
Le cose piccole
"In verità, tutte le cose piccole sono belle."
Sei Shõnagon, Note del Guanciale, a cura di Lydia Origlia, SE, 2002, p. 204.
16 marzo 2011
Hikikomori
"Apocalisse è vocabolo che s'espande come un virus, dall'inizio del cataclisma. Ma apocalisse è altra cosa, ha legami con la religione: è rivelazione di un piano divino, è l'omega che si ricongiunge all'alfa, è il cerchio terrestre che chiudendosi si schiude all'oltrevita. I colpiti sono innocenti, ma per qualche motivo Dio vuole che la storia terrestre s'esaurisca così, stroncando il libero arbitrio d'ognuno. Per questo conviene dismettere questa parola molto scabrosa, che sigilla gli occhi a quel che accade qui, ora; in terra, in mare. Eventi simili non sono la fine del mondo, pur preludendo forse a essa. Sono piuttosto la fine di un mondo: di certezze, di assiomi cocciutamente coltivati." (Barbara Spinelli, oggi.)
15 marzo 2011
Manu mòrta
Manu mòrta, manu mòrta,
Déus ti dd'hat pòsta,
Dèus ti dd'hat giàda
po ti 'onai una spruzzigàda!
Otsuchicho. Anche oggi la terra seguita a scuotersi, i sopravvissuti sobbalzano di terrore e le prime operazioni di soccorso vengono ripetutamente interrotte dall'allarme di nuovi tsunami. Genitori e figli, rimasti intrappolati nella stessa stanza, si svegliano in centri di raccolta distanti decine di chilometri. I vecchi chiedono di morire e maledicono il destino che li ha risparmiati. I bambini sono scossi da incubi. Raccontano di sognare l'oceano che li trascina via e vengono assaliti da improvvisi singhiozzi.
* La filastrocca si canta prendendo una mano del bambino, agitandola un po' e dandogli poi con la medesima una leggerissimo schiaffo, come una carezza. Giàda: data; 'onai: dare; spruzzigàda: schiaffo. Variante sardo-campidanese.
14 marzo 2011
Las Indias de aqui
Lettera di Rimbaud a sua suocera, raccolta in Si t'avances et je recule (Garnier, Paris 1898), e proposta da Stenelo (grazie) nella pagina FF del suo collettivo (GhostwritersOnDemand). Totalmente d'accordo con lo zombi per quanto ribadisce in un dialoghetto friendfeedano: non aspetto, non credo esistano e neppure vorrei alessandrimagni che raccontino di poterci condurre "alle porte dell'India". E al poco stupefacente fatto che non ci sia nessuno in assetto di miracolo, anch'io rispondo sempre ai ragazzi ricordando loro che, nel nostro orizzonte verso un cambiamento possibile, continua a esserci soltanto la repubblica parlamentare. Dunque, l'unica aspettativa che continuo a non precludermi e che vorrei nessuno si precludesse (non mi interessa domandarmi se ragionevolmente o meno, convinta sia falso che siamo, e quindi siano, tutti "uguali") è che si vigili costantemente per inviare nelle camere rappresentanti capaci di elaborare un progetto sociale all'altezza della situazione.
13 marzo 2011
Le bonheur
"Aprile 1947. Non so se oggi che il mondo è diventato globale e la Francia un piccolo paese quasi marginale, sia possibile capire cosa è stata Parigi per la mia generazione e per almeno una decina di quelle precedenti. Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu, rispetto al passato, anche di più, perché a tutto quello che era stata prima, si aggiungeva quello che aveva prodotto l'astinenza imposta dal fascismo e poi dal conflitto.
Il resto del mondo per noi non c'era, non sapevamo neppure com'era fatto, e perciò ci incuriosiva poco. Parigi no, questa città era tutto quel che sapevamo esserci nel mondo ma ci era proibito: i libri, il teatro, il cinema, per me soprattutto la pittura. E naturalmente anche una libertà sconfinata, la sola modernità che riuscivamo a immaginare. L'America era ancora lontana."
Luciana Castellina, La scoperta del mondo, nottetempo, Roma 2011, p. 186.
Proverò a raccontare qualcosa di questo libro straordinario, e dico qualcosa perché è talmente pieno di aneddoti, volti, nomi, fatti (molte persone che lo attraversano poi diventeranno figure importanti, per esempio del PCI, ma anche della vita culturale italiana), talmente è ricco di spunti, intenso, ben scritto, ironico, lieve, che è impossibile poterlo raccontare in modo esaustivo. Una volta finito di leggere, piuttosto, mi sono interrogata sull'impronta più profonda che mi ha lasciato. Cosa sentivo innanzitutto? Beh, nonostante questa sia una lettura che evoca un secolo complesso come il Novecento, ingiustamente ricordato quasi solo per le immani tragedie e ormai misconosciuto nei suoi aspetti più luminosi (quelli inerenti le grandi utopie ma anche i grandi cambiamenti oggettivi, nel senso della libertà, della democrazia, della cultura, delle conquiste democratiche, sociali, di emancipazione della condizione contadina, di liberazione della donna) quello che sentivo era soprattutto nostalgia. Per quale motivo? Perché vi si racconta di un’epoca attraversata dalla protagonista con un tale sentimento di presenza al mondo che non si può definire altrimenti che felicità. Da cosa deriva questa felicità?, o bonheur, come la chiamavano gli esistenzialisti francesi del dopoguerra, come la chiama nelle sue Mémoires d'une jeune fille rangée Simone de Beauvoir, o come anche di felicità parla Joyce Lussu, raccontando della sua coraggiosa vita nella straordinaria video-intervista di Marco Bellocchio, Portrait di J. Lussu, vista qualche giorno fa nell'ambito del convegno dedicato alla scrittrice-partigiana. Mi piace, insieme a Luciana Castellina, ricordare alcune donne che hanno dato un contributo enorme alla cultura del Novecento: donne che se, come lei, dicono di essere state felici nell'impegno, lontane anni luce dal sentirsi nel vortice dell’idea cattolica di 'sacrificio', è perché sapevano di essere dentro un altissimo progetto di trasformazione dell’esistente.
Ecco, allora realizzo che la nostalgia, alla fine della lettura del diario, è soprattutto dovuta all'assenza attuale di questa forma della felicità, che noi – per generazione – abbiamo giusto avuto il tempo di conoscere, di vivere per un tempo brevissimo, per poi vederla scomparire dalla storia, quella forma della felicità.
Passo al racconto del libro, che è molto più di un’autobiografia, perché ci sono anche e soprattutto le parole della Luciana Castellina di adesso, a commento delle parole di allora – dal 1943 al 1948 – quando, ragazzina, moriva dalla voglia di fare qualcosa, di essere qualcuno, e scappava di casa di notte, nonostante il coprifuoco, per provare a se stessa che non aveva paura di niente; quando decise di porre fine al noioso ginnasio preparando (nell’estate del 1944, con la professoressa Apicella e la figlia Agata, rispettivamente nonna e madre di Nanni Moretti) gli esami di di ammissione al liceo. Una fretta indiavolata, l’ansia di conoscere e capire, il rifiuto della noia ("Poi sono stufa di tutte queste vecchie intorno che la sera, poiché tanto c’è il coprifuoco e devo stare a casa per forza, mi obbligano di fare da quarto al bridge."), una enorme voglia di vivere e di ricerca di senso, dentro il respiro di un’epoca.
Luciana appartiene a una famiglia borghese romana, quartiere Parioli, un po’ di origine ebraica, un po’ triestina. Frequenta Villa Torlonia, residenza del Duce, ma per lei semplicemente casa di Anna Maria Mussolini, figlia di Benito, sua amica e compagna di scuola. Stanno giocando a tennis nel parco, il 25 luglio del 1943, il giorno in cui arrestarono il Duce. Erano le sette di sera, racconta, era ancora giorno, "fu allora che la guardia in borghese venne a chiamare Anna Maria e il palleggio terminò bruscamente. Mi disse solo ‘devo andare via subito’", e sparì dietro il poliziotto che da sempre fungeva da governante per lei e suo fratello Romano. Luciana, aveva allora 14 anni (li avrebbe compiuti il 9 agosto). Vengono i giorni dei bombardamenti, dei parenti ebrei triestini rifugiati a Roma, della paura, delle rappresaglie fasciste, dei compagni di scuola che si arruolano nella X Mas. Luciana, annota. Sente per la prima volta parlare di Resistenza. Scrive Patria con la p maiuscola. Si sente antifascista ma odia gli inglesi “fanno schifo”, scrive, "perché bombardano le città italiane". Comincia a capire che il mondo è complicato, oltre che grande. Al Liceo "Tasso" – frequentato dai ragazzi della buona borghesia romana – qualcuno sta nella Resistenza. Un giorno arrivano armati Luigi Pintor e Alfredo Reichilin (che molti anni dopo diventerà suo marito). Il giorno della liberazione di Roma, vede per la prima volta sventolare una bandiera rossa. Ma ci vorrà ancora tempo prima che finisca la guerra. Esplode il primo ordigno atomico sul Giappone e Luciana scrive: "9 agosto 1945. Compio 16 anni ed è appena scoppiata una bomba che sembra potrebbe distruggere il mondo intero, duemila volte più grossa della Grand Slam inglese che sembra già enorme. L’hanno buttata gli americani su una città giapponese, Hiroshima, dove pare siano morti tutti, centinaia di migliaia. Fa caldo, ci sono 42 gradi, deve essere l’effetto della bomba."
Quando tutta l’Italia è liberata, c’è un futuro immenso che si schiude. Inizia la parte forse più intensa e commovente del diario. Si sente molto che la politica inizia a incuriosire la giovanissima Luciana, che pur vive ancora in un ambiente protetto, data la giovane età. Ma è attenta, annota tutto, anche quel che succede nei partiti. Un esempio a p. 143: "La fusione tra PCI e PSI sembra proprio che si farà, Nenni l’ha detto salutando il Congresso comunista che si tiene a Roma, all’Università. Ha detto che seppelllire l’unità fra i due partiti è come seppellire la classe operaia."
Annota, oggi: "La politica – a sfogliare il diario di questi mesi – comincia a incuriosirmi molto, ma non so orientarmi tra i partiti, di cui ho solo scarse informazioni di seconda mano dai compagni di scuola più adulti. Capisco che bisognerebbe capire, ma resto sospesa a metà, curiosa dei miei nuovi amici e di quel che accade, ma ancora non abituata a leggere regolarmente i giornali. Forte è ancora il richiamo all’ambiente in cui sono cresciuta e che non sembra nemmeno accorgersi di quel che gli sta intorno."
"A scuola – continua invece il diario della ragazzina –, qualcuno parla di Togliatti, che è il capo dei comunisti e dice che la caduta del fascismo ha lasciato un vuoto non ancora colmato nei giovani, che non hanno ancora compreso che li anima il nostro stesso ideale. Sembra uno che capisce. Anche se questo stesso è un po’ indecifrabile: cos’è che abbiamo in comune nel pensare a una nuova patria?"
E ancora: "Parlano tutti di voto alle donne. Mi pare impossibile che fino a ora non l’abbiano avuto. Eppure, discutendo con gli amici, scopro che quasi tutti i maschi dicono che se le donne fanno le stesse cose degli uomini ledono la femminilità. A me mi criticano per questo, dicono che pretendo troppo di non essere donna. Infatti mi chiamano con ironia 'il nostro amico Lucianina', una con cui non si fila ma si discute. Aggiungono anche, e mi dà molto fastidio, che io 'ignoro l’animale masculus vulgaris'. Forse non troverò mai marito. Pazienza."
Luciana osserva e riflette su tutto, anche sui comportamenti dei compagni, intanto che gli ideali si accendono e iniziano a diventare grandi: non c’è ancora la 'cortina di ferro', si crede davvero in un mondo possibile. La voglia di vita e di utopia inizia a non poter più essere contenuta nella cornice data, é sensibile al dibattito culturale e agli stimoli più innovativi. Luciana ama l’arte, in particolare la pittura ed è curiosissima e informata delle nuove avanguardie, tant’è vero che i comunisti del suo liceo, "forse perché hanno deciso che potevano fare un passetto avanti nell’operazione del suo reclutamento", scrive, avendola vista abbastanza assidua alle conferenze del circolo di scuola che gestiscono, e sapendo che vuol fare la pittrice, le propongono di tenere proprio lì una conferenza sul Cubismo. "Picasso si è appena iscritto al Partito Comunista Francese e la richiesta è naturale."
Questo è un ricordo che dà modo anche di ricordare a noi di come gli artisti di allora venivano afferrati dalla storia che si andava costruendo ed erano partecipi della realtà. Calvino lo scriverà qualche anno dopo, dicendo che la loro non è stata una generazione di angry young people proprio perché ha avuto più vivo il senso della partecipazione alla storia. "Un impegno vissuto senza risparmio, con grande gioia e libertà più che baldanza."
In questa parte del diario la scoperta del mondo coincide con con la scoperta della politica e della cultura; ricorrono tanti nomi: c’è un timido Berlinguer, un emergente Guttuso, e si intensificano le annotazioni entusiastiche. "15 aprile 1946. Sono felice di vivere, di discutere, della natura, di scoprire le particolarità del mio animo e di quello degli altri, di vedere il mondo, di esprimere quello che provo, di dipingere. Sono felice di tutto. Il mondo è mio e lo voglio tutto."
E volendolo veramente, il mondo, a Luciana non sfuggono le straordinarie opportunità che si presentano precocemente nella sua strada e per fare quelle esperienze che segneranno in modo decisivo la sua vita e le scelte future. "Aprile 1947", a questo punto della sua vita, a 17 anni, la scoperta del mondo è la scoperta di Parigi, la Parigi di Sartre, dove si reca con una delegazione di studenti. Per capire o solo ricordare cosa potesse rappresentare la Parigi di allora per i ragazzi italiani e non solo di allora, l'autrice scrive bellissime pagine su quel viaggio.
Dopo Parigi arriva l’opportunità di andare a Praga, nella delegazione italiana che deve partecipare ai lavori del Consiglio dell’Unione Internazionale degli Studenti, in concomitanza con il Festival Mondiale della Gioventù, che in qualche modo segnò la fine della guerra per i ragazzi che vi arrivarono da ogni nazione e che proprio lì, in quelle lunghe giornate di incontri, di racconti e confronti, scoprirono "la politica e l’amore". C’è anche Italo Calvino, anche se nessuno sapeva che fosse 'Italo Calvino', nemmeno lui. "A Praga – annota Luciana, oggi – son tornata cinquant'anni dopo, nel 1996, curiosa di questa città che ha continuato a occupare un posto decisivo nella mia vita. Con trepidazione. Perché per ragioni casuali – ma forse non tanto casuali – Praga per me non è stata una città come le altre, è stata fondamentale per la mia esistenza. È qui che nel 1947 ho scoperto il mondo che per me coincideva con il comunismo, nel senso che mi pareva la sola chiave di lettura possibile per capire la nuova mappa del globo, del tutto diversa da quella che avevo imparato a conoscere, è qui che ho incontrato per la prima volta in carne e ossa e relativi pregiudizi il PCI; è qui che mi sono arruolata nella brigata internazionale diretta in Iugoslavia per aiutare a costruire la ferrovia della Gioventù, un'esperienza per me importantissima, è qui che, tre anni dopo, al successivo Congresso dell'Unione Internazionale degli Studenti, ho visto sbarcare da un treno /…/ la delegazione degli studenti cinesi, ancora tutti in divisa militare, perché reduci dal fronte, sul quale avevano appena sconfitto l'esercito di Chiang Kai-shek e quello americano del generale Marshall che lo spalleggiava. Ed è Praga, ventun anni più tardi, che è tornata al centro della mia vita. Perché è per via di Praga che dal PCI, dove per Praga ero entrata, sono stata cacciata. È la storia del Manifesto, che comincia proprio con l'invasione sovietica del 1968."
Dopo il festival, da Praga, dove ha sentito dire che si stava formando una brigata internazionale per andare a costruire la famosa ferrovia dei giovani, Luciana si sposta in Iugoslavia, spinta anche dal bisogno di capire meglio la vicenda di Trieste, un grosso nodo da sciogliere, dopo la fine della guerra, a cui mostra di essere particolarmente sensibile anche per sue le radici triestine, da parte di madre. Nel frattempo, dato che il Festival Mondiale della Gioventù sta chiudendo i battenti e i compagni della sua delegazione tornano a Roma, accetta l’invito di tre delegati inglesi ad andare con loro a fare un giro nel paese in autostop, parola quest’ultima, che non ha mai sentito prima. Ma la scoperta del mondo più sorprendente, diciamo, la aspetta in realtà soprattutto 4 giorni dopo, al rientro a Praga, dove ad attenderla c’è una sorta di tribunale speciale, istituito dai vertici della delegazione italiana, per giudicare il suo sconveniente comportamento: sola donna è scappata con tre maschi inglesi.
Giuliano Pajetta, il più alto in grado nel PCI presente in città, viene incaricato di ammonirla. Convocata, ascolta confusa un discorso di cui non capisce quasi niente. Vi si citano Lenin e una certa Clara Zetkin che fra loro parlano di bicchieri sporchi ai cui bordi nessuno avrebbe più voluto appoggiare le proprie labbra. “Ignoro chi sia lei – scrive – a malapena so chi è lui – e dunque di questi bicchieri non afferro il senso, anche perché sono così innocente – la sola, credo, che a Praga quell’estate non abbia perduto la verginità – che mi ci vuole l’aiuto di Luciana Franzinetti, futura moglie di Ugo Pecchioli, per spiegarmi che si allude a rapporti sesuali molteplici. "Nonostante le delucidazioni, non riuscivo a capacitarmi di come una gita in autostop poteva evocare l’idea che andavo a letto con tutti. Da Trieste mi veniva un'educazione mitteleuropea, aperta alla camaraderie fra maschi e femmine, ma anche molto puritana. IL PCI era invece impregnato di cultura popolare cattolica." Che poi non finì lì: nei giorni successivi, rimasta senza alloggio, chiede a Bubi Campos di poter fare un po’ di bucato nel lavandino della stanza occupata dai maschi dove poi stese la biancheria ad asciugare, ed Enrico Berlinguer le fece una ramanzina. "Sono sempre più sconcertata – scrive –, non avevo messo in conto che i comunisti fossero dei bacchettoni. Una volta iscritta al PCI, dovetti constatare che una delle eroine della FGCI era Maria Goretti"!
Le pagine sulla costruzione della ferrovia sono splendide, così come significative e ricche di storia sono quelle sulla scoperta dell’Italia, di quel Sud che era allora come adesso particolarmente tormentato, ma anche quelle sulla scoperta delle poverissime borgate della città natale, dove il partito (a cui si è iscritta nell’autunno del ’47 "con la consapevolezza che poteva finir male") la manda a fare la gavetta fra i sottoproletari. E pochi mesi dopo c'è la sconfitta del 18 aprile. Ma lei non si tira indietro, è passata dall'altra parte del muro che si è alzato (da un lato i comunisti, dall'altro i borghesi), poi approda al palazzone delle Botteghe Oscure, alla commissione femminile diretta da Nilde Jotti.
In fondo, quel che ci dice il libro, è che la generazione maturata in tempo di guerra è stata fortunata, perché ha conosciuto speranze immani. Aveva l’idea che si potesse davvero cambiare in meglio, dopo tutto quello che era successo, pensava che sarebbe stato possibile, finalmente, porre mano a tutta l’ingiustizia vista e patita. Una generazione che sognava la liberazione dei popoli coloniali, che lavorava al cambiamento dell’Italia, con un ottimismo reso fecondo dalla vittoria nella seconda guerra mondiale, dalla Resistenza, da Stalingrado, dai movimenti di liberazione, dal protagonismo operaio. Una stagione di speranze che alimentavano la generosità e il coraggio dei ragazzi. Cos'è successo che sembra non essere sopravvissuto nulla di quella fiducia nel futuro? Non dipenderà anche dal fatto sul Novecento – dagli anni ’80 in poi – si è fatta un’opera di profonda rimozione e che alla generazione attuale, la memoria del secolo precedente è stata come sottratta? Da un certo punto in poi è come se fosse venuto a mancare lo scorrere del tempo, e senza passato il futuro diventa ancora più oscuro e incerto perché scomparendo il prima si abolisce l’orizzonte del poi, e l’orizzonte che scompare drammaticamente è proprio quello del cambiamento.
Ora – si è domandato Valentino Parlato, di recente, nella sua bella recensione del libro –, "in questa stagione berlusconiana, dove tutto si compra e si vende, serve a qualcosa la lettura di questo straordinario diario? È solo un ricordo di un passato remoto e ormai inutile come i vecchi vestiti che portavamo da giovani e che oggi sono lisi e ci fanno apparire ancora più vecchi di quel che siamo?"
Nonostante il dubbio credo che una lettura così piena di senso meriti di essere fatta dai nostri ragazzi, che forse potrebbero immedesimarsi nelle domande e nelle risposte della giovanissima Luciana. "Il suo diario è uno straordinario invito a vedere fuori di sé e dentro di sé. A interrogarsi sul senso della propria vita. Al rifiuto di essere mercificati, soggetti passivi della meccanica del capitale. A pensare di più e più seriamente al proprio io. Un io necessario, ma che deve comunicare e solidarizzare con gli altri milioni di io che ci sono intorno.", ha scritto l'amico fraterno e compagno di tante battaglie di Luciana Castellina. Infatti il diario, come tutti i diari, è individuale, ma di un individuo sempre in comunicazione: né presuntuoso, né avvilito. Infonde coraggio, alimenta le idee.
Bastiana Madau
12 marzo 2011
11 marzo 2011
Primavera non bussa 2
Per quel che riguarda il pane la cosa è chiara, per quel che riguarda la pace anche. Ma la questione cardinale della primavera va risolta, a ogni costo.
Vladimir Majakovskij
Gorgia, carciofi e sornioni
A tavola. Interno giorno.
– Embé, lasci i carciofi, ora?
– Mai mangiati in 18 lunghi anni della mia onorata vita, babbo.
– Come?! Ma se Veronesi rac-co-man-da che si mangino i carciofi. Letto oggi!
– No, adesso leggi il giornale e mi riempi il piatto di carciofi. Questa me la segno.
– Non è una questione di segnarsi un bel nulla. Ci sono informazioni di natura scientifica che richiedono una presa di coscienza della propria alimentazione e, se è il caso, una revisione del proprio gusto, per la sal…
– Ba', sei un Gorgia.
– ?!
– Peccato che a Socrate non piacessero i carciofi.
10 marzo 2011
Cancione rusa
Las estrellas se juntan alrededor de la tierra
Como ranas en torno de una charca
A discutir el vuelo de Gagarin.
Ahora sí que la sacamos bien:
¡Un comunista ruso
Dando de volteretas en el cielo!
Las estrellas están muertas de rabia
Entretanto Yuri Gagarin
Amo y señor del sistema solar
Se entretiene tirándoles la cola.
Nicanor Parra, "Yuri Gagarin", Canciones rusas, 1967.
Como ranas en torno de una charca
A discutir el vuelo de Gagarin.
Ahora sí que la sacamos bien:
¡Un comunista ruso
Dando de volteretas en el cielo!
Las estrellas están muertas de rabia
Entretanto Yuri Gagarin
Amo y señor del sistema solar
Se entretiene tirándoles la cola.
Nicanor Parra, "Yuri Gagarin", Canciones rusas, 1967.
Grazie a mirumir.
Il noto omaggio di Nicanor Parra a Roberto Bolaño . |
9 marzo 2011
Vento di marzo
"Mangiare
riposare
vagabondare
mostrare lealtà
amare i piccoli
cavillare al chiaro di luna
accordare le orecchie
occuparsi delle ossa
fare l'amore
ululare"
8 marzo 2011
6 marzo 2011
Joyce
La lezione morale di Joyce Lussu, una vita spesa per la libertà
di Paolo Merlini
Quando pensiamo alla nostra Costituzione, all'Italia libera e democratica nata sulle ceneri del fascismo e della seconda guerra mondiale, non abbiamo esitazioni nel chiamare «padri della patria» coloro ai quali dobbiamo questa conquista. Eppure questa definizione mostra, pur nella sua verità inconfutabile, un vizio d'origine, una piccola bugia che è sia di forma sia di sostanza. Perché sono figure straordinarie come Joyce Lussu a ricordarci che l'Italia ha anche delle «madri della patria», e mostrarci come il nostro debito di riconoscenza vada aggiornato a partire da una semplice espressione, e non solo in nome della correttezza politica o dell'approssimarsi dell'8 marzo, Giornata mondiale della donna. Questa è la riflessione che restituisce, almeno a chi scrive, il documentario «Portrait di Joyce Lussu», video-intervista che il regista Marco Bellocchio realizzò insieme con Daniela Ceselli nel 1994, quattro anni prima della morte della compagna di vita di Emilio Lussu. Un filmato di quaranta minuti in cui Joyce, al secolo Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti, rievoca i momenti salienti della propria esistenza, dall'infanzia a Firenze alla Resistenza, dall'incontro con il fondatore del Partito Sardo d'Azione all'impegno politico continuato nel dopoguerra. Un documento straordinario che inspiegabilmente è rimasto nel cassetto per oltre quindici anni, e che è stato montato solo nel 2009 dalla Cineteca di Bologna. Fatto ancora più insolito, il filmato era inedito – se si esclude un'anteprima a Bologna per addetti ai lavori – sino all'incontro svoltosi venerdì a Nuoro in omaggio a Joyce Lussu. Scelta come simbolo della Giornata della donna, martedì 8 marzo, da Francesca Barracciu, consigliere regionale del Pd, e dal gruppo del suo partito, organizzatori dell'evento all'auditorium dell'Istituto etnografico, seguito da un pubblico numeroso (dove però spiccava, purtroppo, l'assenza di giovani). Nel documentario Joyce Lussu risponde alle domande del regista con la vitalità e la determinazione che le erano proprie, con giudizi netti e per nulla retorici su argomenti chiave della storia più o meno recente del Paese. Il suo noto anticlericalismo, per esempio, viene fuori in più occasioni, come quando contesta l'uso da parte del regista del termine «sacrificio» a proposito dell'esperienza partigiana: «Non ho sacrificato nulla della mia vita – dice con forza Joyce Lussu – ma ho solo fatto scelte in piena consapevolezza». Nettissimo, fra gli altri, il giudizio sul terrorismo delle Br. Bellocchio, che in seguito girerà il film «Buongiorno, notte» sul sequestro Moro, è particolarmente incalzante sull'argomento, dà l'impressione di voler suggerire a Joyce Lussu una qualche continuità, o un'analogia – almeno in linea teorica – tra le motivazioni all'origine della lotta partigiana e quelle dei brigatisti. «Una manica di imbecilli», risponde con irritazione la donna, «guidati, che ne fossero consapevoli o meno, dai servizi segreti». Al termine della proiezione, il dibattito coordinato da Bastiana Madau, editor dell'Ilisso, ha offerto testimonianze preziose. Dopo l'intervento del consigliere regionale del Pd Giuseppe Luigi Cucca, la scrittrice Silvia Ballestra, autrice del libro «Joyce Lussu - Una donna contro», ne ha ricordato l'attività di scrittrice e traduttrice (a lei si deve il lancio internazionale del poeta turco Nazim Hikmet), l'impegno per la parità di diritti fra uomini e donne, o per l'ecologia a partire dalla difesa dell'acqua come bene comune. E poi il rapporto con la Sardegna, attraverso i ricordi della storica Maria Rosa Cardia, di Giovanni Moro (fondatore del Circolo culturale di Orgosolo nel Sessantotto), di Peppino Goddi e Giovanni Antonio Mattu, che condivisero con lei e con Emilio Lussu l'impegno nel Psiup.
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