10 ottobre 2010

Su "Donne Sarde"

Maria Lai,  Legarsi alla montagna, Ulassai, 1981
Donne Sarde (Cuec, 2005) è un libro-reportage di Giacomo Mameli che racchiude 43 articoli pubblicati nella Nuova Sardegna tra la primavera del 2004 e l'autunno del 2005 nella rubrica "Persone e paesi" e in "Cultura". Comprende storie di piccoli imprenditori e di tecnici che viaggiano e lavorano per il mondo, che creano aziende dov'è possibile farle sorgere; di giornalisti non sardi che ricordano e descrivono l’isola dei primi anni dell’industrializzazione; di donne di tutte le età e di ogni parte dell'isola che raccontano e testimoniano un forte desiderio di cambiamento.
Confesso subito che parlerò della mia lettura del volume in modo incondizionato ma anche condizionato, perché le mie parole vogliono anche essere l'omaggio a un osservatore guidato da fine e colta sensibilità verso l’universo femminile sardo in costante trasformazione, e in questo senso posso dire che gli vogliamo un gran bene, e lui lo sa… e infatti puntualmente se ne approfitta e ci chiama all’appello a presentare diversi libri, non solo i suoi (Giacomo Mameli è da sempre anche un formidabile promotore della lettura). I suoi, almeno per me, non sono facili da analizzare, non possedendo io gli strumenti per dibatterne negli aspetti socio-economici su cui principalmente si basano. E dunque li leggo come fossero testi di narrativa a forte vocazione realistica, o come inchieste a forte vocazione narrativa, conscia di quanto anche i veri romanzi, spesso aiutino a comprendere la realtà a volte più di tanti saggi.
Naturalmente questo è possibile grazie al fatto che la scrittura di Mameli è piacevole, piana e chiara. Si percepisce in essa l’impegno dello scavo, il gusto della ricerca sociale e il valore della testimonianza, l’intelligenza dei problemi messi in campo, l’amore per la terra e la sua gente. L’obiettività nel raccontare la realtà della nostra isola credo invece che si esplichi nel far venire a galla molte domande, più che risposte.
Il libro Donne Sarde, come anche i primi di Mameli (mi riferisco in particolare a La squadra e a Sedici ore al giorno) è soprattutto uno sguardo sul mondo del lavoro, vero dramma dell'isola e non solo.
Per raccontarcelo nei suoi diversi aspetti il giornalista raccoglie storie locali. Il suo metodo mi ricorda l’indicazione di Barbara Czarniawska, docente di Economia e Diritto all’Universita’ di Göteborg, che nel saggio intitolato Narrare l’organizzazione riferisce il suo provocatorio approccio agli studi sull’organizzazione basato su teorie narrative più vicine agli studi antropologici e culturali e prossimo ai modelli positivistici delle scienze sociali: la stusiosa – sulle orme di Wittgenstein – sostiene infatti che non possono bastare procedure informatiche, descrizioni e organigrammi per comprendere i processi sociali, economici e culturali, che non sono dunque sufficienti strumenti ‘freddi’, bref; ci sono atteggiamenti, comportamenti, valori, sofferenze, recriminazioni che vengono alla luce solo attraverso narrazioni, o meglio ancora attraverso reti di storie. Storie intrecciate, dai confini sfumati, fitte di rimandi. Storie non sempre facili da scoprire e da comprendere. Perciò – dato che si tratta di leggere e interpretare narrazioni – anche un giornalista che deve dar conto nelle sue cronache della realtà, deve avere competenze vicine e quelle del critico letterario o del semiologo proprio per individuare come "rappresentative" quelle che meritano di essere raccolte e decodificate.
In questo caso, appunto perché "sintomatiche" di dove va lo sviluppo in Sardegna, vi sono esempi – chiamiamoli così – interessanti anche per lasciare aperte questioni su come potenziarli, aiutarli, governarli.
Così salta subito agli occhi di chi legge che in Donne Sarde non si racconta nella fretta dell'articolo di cronaca, ma nella lentezza e nella riflessione dell'inchiesta.
L’aver insistito più volte – e in un arco di tempo abbastanza lungo – sui luoghi, sulle vicissitudini dei paesi, consente a Mameli di ascoltare i singoli individui e le comunità che animano il territorio cogliendo i fermenti che vi ribollono, mostrandoci una sezione della realtà tagliata attraverso il tempo, nell’istante presente. In generale di quel che avverrà riusciamo realisticamente a percepire qualche annuncio: ci sono i segni di un mutamento che non smette di compiersi.
Da questo libro, contemporaneamente alla sua lettura, si esce fuori per guardarsi intorno, riflettere anche sulla società che non è contemplata, solo intravedendola tra le righe, perché comunque necessariamente vi si affaccia, pur avendo fatto l’autore una precisa scelta di campo: documentare soprattutto là dove ci sono segnali di cambiamento positivo, di sviluppo sociale, culturale, economico. (Virgoletto 'sviluppo' perché la ritengo sempre una parola un po' ambigua, ma non qui.)
Un vecchio blues racconta di come, in alcuni stati del Sud, i neri d'America avevano l'obbligo di camminare nel lato assolato della strada, dov’era più infuocata la calura, ma dove era possibile 'dialogare col sole'. I bianchi si riservavano il lato ombroso, senza sapere quante mancate emozioni costasse loro la comodità della frescura. Ecco, Mameli osserva i risvolti più inquietanti del mondo del lavoro con lo sguardo di chi comunque ha deciso di camminare dalla parte assolata della strada. Allora forse il problema è anche  l’assenza di questo approccio?… Oggi si va dai  messaggi più disperanti a quelli più superficiali sulla felicità, incentrata sul consumismo materiale e immateriale, su atmosfere edonistiche, oppure felicità come ottimismo sulla pelle degli altri, e in questo senso questi anni per la Sardegna e l’Italia tutta sono durissimi. Forse è bene essere maggiormente consapevoli che gli atteggiamenti (e dunque l’educazione, la formazione culturale) incide concretamente sulla risoluzione o meno dei problemi?… Gianfranco Bottazzi nell'introduzione al primo libro di Giacomo Mameli edito dalla CUEC nel 1999, La squadra, scrive: «Se a un giovane disoccupato tutti indistintamente ripetono quanto sia difficile trovare un'occupazione, è molto probabile che il suo comportamento divenga rassegnato o rinunciatario (se di lavoro non ce n'è è inutile cercarlo) ... in questo modo facilitando la realizzazione della previsione che vuole che non ci sia, per il giovane, una occupazione». Allora spetta a noi educatori, genitori, insegnanti, fare uno sforzo in tal senso?… Il poeta Antonio Mura scriveva  che tottu, inoke, nos pode' galu nòkere, e tottu galu podet esser fattu, si kreska kada cosa assa misura 'ess' òmine (tutto qui può ancora nuocerci, e tutto ancora può essere fatto, se ogni cosa ancora deve crescere a misura d’uomo).
Un’altra caratteristica 'mameliana' è la compassione, intesa come viva partecipazione alle vicende di cui si narra, negli aspetti problematici, quando non drammatici (sono molto intense le cronache sui disastri ambientali passati e recenti che hanno toccato diversi centri dell’Ogliastra), ma anche nei risvolti più divertenti e costruttivi. Atteggiamento umanissimo che, lungi dall’essere un limite, è in tempi di spregiudicato cinismo, un merito.
Mino Monicelli nel suo noto saggio-inchiesta che tratta degli  aspetti etici della professione (Il giornalista, Vallecchi, 1964), scrive:
«Il buon giornalista dev’essere anzitutto un buon cittadino del mondo di cui è parte ... Il fine della professione non è diverso dal fine che l’uomo stabilisce per se stesso, nell’àmbito della propria e altrui vita».
In questo senso credo che Donne sarde sia da collegarsi alla tradizione più nobile del giornalismo italiano d’inchiesta, ancora oggi riconosciuta dallo stesso Mameli come scuola di riferimento, di cui, peraltro, lui è anche maestro. Questo è dimostrato anche in alcuni articoli qui raccolti e dedicati a Giuseppe Fiori, uno dei grandi intellettuali del novecento sardo –  di cui Mameli qui scrive in occasione dell’inaugurazione di una piazza a lui dedicata a Perdasdefogu – o in un altro dedicato a Giuseppe Lisi, giornalista RAI sbarcato in Sardegna nell’estate del 1968, che in una intervista fattagli da Mameli e riportata nell’articolo “Un cronista di Ollolai”, racconta:
 … Non si andava all’avventura ma occorreva conoscere la realtà della quale ci saremmo dovuti occupare. Dell’Isola io non sapevo quasi nulla e mi metto a studiare, leggo Gramsci, Bellieni e Lussu, i romanzi della Deledda, Giovanni Lilliu, ma soprattutto incontro per alcuni mesi un gruppo di sardi autorevoli: lunghe discussioni con Giuseppe Fiori, leggo Sardegna fra due lingue di Michelangelo Pira ... Faccio un primo sopralluogo, resto nell’isola quindici giorni in incognito, guardavo e basta, osservavo i comportamenti. Rientro a Roma, racconto e propongo e il direttore Fagiani mi dice: parti…
Con lo stesso spirito lavorarono cogliendo tutta intera l’anima più profonda dell’isola altri giornalisti citati nel suo libro. In particolare voglio ricordare – perché a me il libro Donne Sarde, come tutti i buoni libri mi ha fatto venire anche la voglia di andare a rileggerle... – le testimonianze lasciateci da Franco Cagnetta (vedi Banditi  a Orgosolo), da Franco Nasi, inviato de Il Giorno negli anni ’50  (i suoi reportages sardi sono raccolti nel bellissimo libro di Iniziative Culturali intitolato L’isola senza mare), da Gigi Ghirotti, i cui articoli apparsi sul quotidiano La Stampa tra il 1952 e il 1967 sono raccolti in un altro bel libro intitolato Ricognizione della solitudine: si tratta di documenti preziosi per comprendere i cambiamenti che l’isola ha dovuto attraversare nell’arco di pochi decenni, per cogliere il suo non indolore passaggio alla modernità e comprendere davvero cosa di buono c’era che non siamo stati capaci di portare dentro l’arca e che ancora, forse, possiamo recuperare.
Ma nei reportage di Mameli, rispetto al lavoro dei colleghi che hanno visto lo sconcerto dell’isola che muoveva i primi passi verso l’industrializzazione, c’è, secondo me, un valore che è dato dal suo personale senso di appartenenza al cambiamento culturale di un popolo che non ha mai abbandonato di seguire passo per passo.
Così se da un lato tra le righe delle sue cronache leggiamo una forte critica a quei processi di trasformazione rivelatisi, nella loro scarsa lungimiranza, come non 'vincenti', dall’altro vi è comunque la presa d’atto di quanto abbiano alleviato la sofferenza sociale. Mi riferisco in particolare proprio all’industrializzazione, e dunque a ciò che di essa si può leggere tra le righe delle cronache raccolte nella parte intitolata Industria, natura e dintorni.
Rimarca Mameli, quanto di negativo in termini di danni ambientali e di produzioni sradicate dai contesti socio-economici-culturali dobbiamo all’industria sorta anche nel centro-Sardegna, ma – e in particolare proprio riferendosi a Ottana – mi sembra che fra le righe esalti l’importanza di un passaggio che fu estremamente innovativo perché l'industrializzazione, dall’individualismo tipico delle società pastorali, portò alla dimensione collettiva del lavoro anche nelle terre del'interno, innescando processi di confronto, di solidarietà e di crescita delle coscienze. Elementi fondamentali per lo sviluppo.
Esemplare, secondo me, una recente cronaca di Mameli a proposito del mancato accordo tra pastori e industriali sul prezzo del latte, dove scrive:  ... Messe in archivio le maratone fra sindacati produttori e Regione, il latte ha ritrovato la sua ancora di salvataggio lungo l’antica strada de “Su connottu” . Dicono i pastori: io ti porto il latte e tu quanto mi dai? 50, 55, 60? Trattiamo ed eccoti il latte. E se paghi subito affare fatto ... Ma nelle campagne sale il livello di scontento e di rabbia ... perché i pastori – senza i quali non ci sarebbero né pecore, né latte, né formaggi, né agnelli, né capretti – si sentono impotenti. E alla fine i più deboli restano loro che sono una delle ossature certe dell’economia sarda. Sono loro che evitano lo spopolamento delle campagne, che le vigilano. Ma sono isolati, un ovile qua, un altro là, e pagano il prezzo del loro individualismo nuragico …
In questo caso, ci fa capire il giornalista, intervistando tutte le parti in causa, il problema è l’organizzazione dell’offerta (i pastori non possono esser più soli e divisi fra loro), la promozione della qualità del latte, la dimensione delle imprese che non possono essere al di sotto di certi standard: è urgente realizzare che la concertazione fra produttori fa abbassare i costi, tenere standard medio-alti, presentarsi con maggior forza sul mercato, ecc.
Ecco, a me sembra si evinca anche dalle storie raccolte in Donne Sarde, che  l’organizzazione di forme collettive del lavoro offre in sé una griglia per l'interpretazione del cambiamento, e la sua assenza, al contrario, un segnale di sterile immobilismo. In questo senso Mameli sembra dare una valutazione positiva all’esperienza dell’industrializzazione nel Centro Sardegna.
Osservatore storico del territorio, descrive con dovizia di particolari anche i paesaggi, non tralasciando alcun nome di pianta o sfumatura di colore del cielo, ma soprattutto descrive paesi ricchi di storia e di vita. Come esempio leggo un brevissimo passo descrittivo di una piccola struttura culturale di un paese, perché attraverso di essa Mameli ci fa cogliere le sue trasformazioni, dandoci un ritratto di comunità.
Siamo a Santulussurgiu. L’occasione è data dalla presentazione del libro fotografico sul Montiferru a cavallo tra gli anni cinquanta e settanta di un sacerdote salesiano, Don Giuseppe Gotthard:
 ... Il “dopolavoro” è a metà del costone sotto Sa Rocca, fra i rioni di Santu Anne e Funtanedda. E’ un edificio rettangolare di recente restauro, tre gradinate a semicerchio per accedervi, archi con pietre a vista, soffitto di tavole e travi noce scuro, un ballattoio con ringhiera in ferro dove un tempo c’era la cabina per proiettare i film. Costruito alla fine dei seicento, usato prima come carcere per i cowboy ladri di cavalli del Montiferru, un secolo dopo sede del Monte Granatico, sotto il fascismo utilizzato come luogo di propaganda per il regime.
Ieri pomeriggio c’era una bella squadra di anziani, distribuiti in tre tavoli, tutti intenti a giocare a tressette ... Un summit di tutta l’anagrafe doc di Santulssurgiu, con ultrasettantenni che di nome fanno Micheli Mura, Nenaldu Ruju, Michelino Ardu, Mario Selis ... D’incanto il “dopolavoro” dei tressettisti diventa auditorium per conferenza. Succede come per le piazze dei paesi che all’improvviso, nei giorni delle gare poetiche dialettali, diventano anfiteatro sotto le stelle. Idem ieri, sabato culturale di un villaggio rurale. In un battibaleno via i mazzi di carte ed ecco i microfoni, i tavoli dei cartieri vengono allineati e diventano palchetto da presidenza, La sale si riempie, voci e sorrisi di fanciulli, l’aria è di festa...
Mameli è un giornalista che segue da sempre il lavoro culturale territoriale e ogni novità e questione legata al mondo della scuola (in questo libro ve ne sono diverse, in particolare riguardanti alcune scuole nuoresi), convinto di quanto lo sviluppo culturale incida direttamente su quello economico, perché creando aperture e confronto incide sugli atteggiamenti. E’ convinto che questi ultimi, gli atteggiamenti, influiscano in modo determinante sulla costruzione dei destini individuali e della collettività, perché agendo sul presente orientano il futuro. Per questo motivo credo abbia concentrato nella terza e ultima parte del libro una serie di piccoli reportage intitolandoli "Le protagoniste", da cui emerge un’idea di tradizione rappresentata dall’elaborazione che non tradisce la qualità delle sue essenze, recuperata e rielaborata, nei vari ambiti culturali e produttivi, in chiave moderna e spendibile nel mondo. E' la parte del libro più bella: quella dedicata al lavoro delle donne.
Maria Lai,  Legarsi alla montagna, Ulassai, 1981
Non è un caso che la maestra che Mameli indica come esempio luminoso è Maria Lai, l’artista sarda famosa nel mondo, che unisce le case di Ulassai con un nastro azzurro e le lega alla montagna, che costruisce libri di stoffa e parole di filo, che trasforma le sue parole in cose e che puntualmente ci incanta costruendo situazioni di buona comunicazione e di circolazione di idee ovunque è chiamata a intervenire. O che ci racconti della cagliaritana Michela Grimaldi, che anche lei 'legherebbe' con un nastro gli ovili, stavolta, per farne percorsi culturali e naturalistici per turisti intelligenti (non tutti lo sono!).
Forse per questo motivo l’autore ha voluto chiudere il suo libro raccontandoci dello straordinario atteggiamento della ventunenne Pina Paola Monni di fronte agli assassini del suo ragazzo, esaltando giustamente la portata della sua scelta di giustizia e di libertà vere, che sembrava impensabile in un paese come Orune. Mi piace la memoria per la storia locale (nella nobile accezione insegnataci dagli Annales), e in tal senso mi ha commosso il suo ricordo di Pina Càmpana, animatrice della compagnia teatrale “Antonio Pigliaru”, che negli anni Settanta portò in scena il no corale alla vendetta e alla faida con lo spettacolo In nome del padre, e che "amava il suo paese più di se stessa"…
C’è molto rispetto e grande empatia sociale in questo libro, e un forte invito a resistere nell’impegno.
Maria Lai,  Legarsi alla montagna, Ulassai, 1981
Grazie a Giacomo. E grazie per l'omaggio che l'autore ha voluto accordare in Donne Sarde anche alla sottoscritta e al suo lavoro. 

1 commento:

rita n. ha detto...

bellissimo