La Sardegna è storicamente un luogo di molteplici suggestioni per chi la osserva dall’esterno, e le sue terres de l’intérieur (come da una felice definizione dello scrittore Edouard Vincent) sono un luogo classico dell’osservazione antropologica: per le loro caratteristiche geografiche esse sono state per secoli precluse al confronto con altre culture. L’inaccessibilità ha senz’altro consentito una maggiore conservazione di modalità originali di vita e dunque delle cosiddette “tradizioni culturali”.
Gli studi e le ricerche di Clara Gallini hanno il loro considerevole peso nella bibliografia riguardante l’etno-antropologia della Sardegna e, insieme a Intervista a Maria, offrono un interessante spaccato scientifico e umano utile anche per chi voglia approfondire la conoscenza della cultura dell’isola; in particolare, ci riferiamo a lavori quali I rituali dell’“argia” (1967), Il consumo del sacro. Feste lunghe di Sardegna (1971), Dono e malocchio (1973), Tradizioni sarde e miti d’oggi (1977), Il diario di un parroco di villaggio. Lotte di potere e tecniche di consenso in una comunità sarda (1978).
Nel libro che qui si propone, l’antropologa – che da sempre assume la lezione di Ernesto De Martino – mostra attraverso Maria, l’intervistata, come gli esseri umani occupino uno spazio che è anche un luogo mentale, nel quale i fenomeni culturali, i messaggi politici, gli atteggiamenti e le forme dell’identità tendono ad accreditarsi non come dati naturalistici e statici, ma come prodotti storici, mutanti nel tempo, comunicanti significati diversi, anche dipendentemente dalla personalità di ciascuno.
Siamo negli anni Settanta, all’indomani del secondo referendum nazionale, che il 12 maggio 1974 porta alle urne 37 milioni d’italiani (il primo, lo ricordiamo, fu quello che aveva decretato la scelta tra monarchia e repubblica): il 59,1% vota in favore della legge sul divorzio, approvata tre anni prima dal parlamento italiano (la stessa Gallini se ne occuperà nel ’75, insieme a L. Pinna, nel saggio intitolato Il referendum sul divorzio in Sardegna). Maria, classe 1910, donna sarda, cittadina italiana, abitante di Tonara, in provincia di Nuoro, faceva parte di quel 40,9% che votò contro, e argomentando in modo lucido e appassionato, sostiene di “condannare” chi ha accettato il divorzio. Tonara è un paese del centro della Sardegna dove – come in tutti gli altri borghi – si affronta il cambiamento nell’arco di un pugno d’anni, dentro un processo di modernizzazione per certi versi anche “violento” nella sua pressante richiesta di elaborazione veloce dei significati. Dal dopoguerra, ma soprattutto dal cosiddetto avvento dei media, enormi e complesse sono le sollecitazioni esterne al mondo “originario” in cui la comunità muove ancora il suo vivere.
Quello dell’appartenenza è un concetto che può dare adito ad ambiguità, ma l’analisi di Clara Gallini non si lascia intrappolare: è anzi limpida, perché pone in luce anche questioni legate ai percorsi della soggettività femminile, elemento universale; così, in questo lavoro, l’antropologa mette in luce gli aspetti di conservazione e cambiamento, di confronto con la modernità e le novità tecnologiche, e contemporaneamente pone l’accento sulla personalità dell’intervistata, sull’unicità e irripetibilità della sua vita. A partire da una condizione “oggettiva” immersa nei valori e nelle convenzioni comunitarie, è l’intelligenza, che consente a Maria una riflessione critica sul mondo e sulla vita, e Clara Gallini, nella nota finale al libro intitolata “Dopo l’intervista”, sottolinea le risorse interiori creative che hanno portato la donna di Tonara a interpretare la realtà e a elaborare un suo modello di emancipazione.
L’intervista – strumento di indagine disciplinare adottato dalla ricercatrice – si avvia sempre più verso una modalità dialogica – e via via emerge anche una comunicazione emotiva, affettiva. Maria si affida alla studiosa, perché la sente come una sua simile, lei che – rispondente alle regole della comunità in cui vive – dichiara (quasi stupita dalla domanda) di non avere (No, no…) amici maschi. Maria, nel raccontare il proprio mondo a Clara, nell’accettare un confronto consapevolmente destinato a diventare pubblica testimonianza, rivela di mettere la propria paura a fianco della sua intelligenza.
Il libro è interessante perché si può leggere anche come la storia dell’incontro tra due donne che, pur appartenenti a due distinti universi – ma entrambi parte di una stessa società mutante – si ascoltano, scoprono elementi di vicinanza, comprensione, solidarietà, simpatia. Da un lato le parole dell’intervistata, che restituiscono nella diversità l’intelligenza, la fantasia, l’intensità, ma anche il rigore del vivere femminile in quelle che, ancora oggi, con arcaico concetto di centro, a torto sono considerate periferie del mondo. Dall’altro le parole di Clara Gallini che sembrano volerci indicare l’inalienabile dimensione dell’autenticità femminile anche nella ricerca antropologica.
Gli studi e le ricerche di Clara Gallini hanno il loro considerevole peso nella bibliografia riguardante l’etno-antropologia della Sardegna e, insieme a Intervista a Maria, offrono un interessante spaccato scientifico e umano utile anche per chi voglia approfondire la conoscenza della cultura dell’isola; in particolare, ci riferiamo a lavori quali I rituali dell’“argia” (1967), Il consumo del sacro. Feste lunghe di Sardegna (1971), Dono e malocchio (1973), Tradizioni sarde e miti d’oggi (1977), Il diario di un parroco di villaggio. Lotte di potere e tecniche di consenso in una comunità sarda (1978).
Nel libro che qui si propone, l’antropologa – che da sempre assume la lezione di Ernesto De Martino – mostra attraverso Maria, l’intervistata, come gli esseri umani occupino uno spazio che è anche un luogo mentale, nel quale i fenomeni culturali, i messaggi politici, gli atteggiamenti e le forme dell’identità tendono ad accreditarsi non come dati naturalistici e statici, ma come prodotti storici, mutanti nel tempo, comunicanti significati diversi, anche dipendentemente dalla personalità di ciascuno.
Siamo negli anni Settanta, all’indomani del secondo referendum nazionale, che il 12 maggio 1974 porta alle urne 37 milioni d’italiani (il primo, lo ricordiamo, fu quello che aveva decretato la scelta tra monarchia e repubblica): il 59,1% vota in favore della legge sul divorzio, approvata tre anni prima dal parlamento italiano (la stessa Gallini se ne occuperà nel ’75, insieme a L. Pinna, nel saggio intitolato Il referendum sul divorzio in Sardegna). Maria, classe 1910, donna sarda, cittadina italiana, abitante di Tonara, in provincia di Nuoro, faceva parte di quel 40,9% che votò contro, e argomentando in modo lucido e appassionato, sostiene di “condannare” chi ha accettato il divorzio. Tonara è un paese del centro della Sardegna dove – come in tutti gli altri borghi – si affronta il cambiamento nell’arco di un pugno d’anni, dentro un processo di modernizzazione per certi versi anche “violento” nella sua pressante richiesta di elaborazione veloce dei significati. Dal dopoguerra, ma soprattutto dal cosiddetto avvento dei media, enormi e complesse sono le sollecitazioni esterne al mondo “originario” in cui la comunità muove ancora il suo vivere.
Quello dell’appartenenza è un concetto che può dare adito ad ambiguità, ma l’analisi di Clara Gallini non si lascia intrappolare: è anzi limpida, perché pone in luce anche questioni legate ai percorsi della soggettività femminile, elemento universale; così, in questo lavoro, l’antropologa mette in luce gli aspetti di conservazione e cambiamento, di confronto con la modernità e le novità tecnologiche, e contemporaneamente pone l’accento sulla personalità dell’intervistata, sull’unicità e irripetibilità della sua vita. A partire da una condizione “oggettiva” immersa nei valori e nelle convenzioni comunitarie, è l’intelligenza, che consente a Maria una riflessione critica sul mondo e sulla vita, e Clara Gallini, nella nota finale al libro intitolata “Dopo l’intervista”, sottolinea le risorse interiori creative che hanno portato la donna di Tonara a interpretare la realtà e a elaborare un suo modello di emancipazione.
L’intervista – strumento di indagine disciplinare adottato dalla ricercatrice – si avvia sempre più verso una modalità dialogica – e via via emerge anche una comunicazione emotiva, affettiva. Maria si affida alla studiosa, perché la sente come una sua simile, lei che – rispondente alle regole della comunità in cui vive – dichiara (quasi stupita dalla domanda) di non avere (No, no…) amici maschi. Maria, nel raccontare il proprio mondo a Clara, nell’accettare un confronto consapevolmente destinato a diventare pubblica testimonianza, rivela di mettere la propria paura a fianco della sua intelligenza.
Il libro è interessante perché si può leggere anche come la storia dell’incontro tra due donne che, pur appartenenti a due distinti universi – ma entrambi parte di una stessa società mutante – si ascoltano, scoprono elementi di vicinanza, comprensione, solidarietà, simpatia. Da un lato le parole dell’intervistata, che restituiscono nella diversità l’intelligenza, la fantasia, l’intensità, ma anche il rigore del vivere femminile in quelle che, ancora oggi, con arcaico concetto di centro, a torto sono considerate periferie del mondo. Dall’altro le parole di Clara Gallini che sembrano volerci indicare l’inalienabile dimensione dell’autenticità femminile anche nella ricerca antropologica.
Bastiana Madau, dalla nota introduttiva a Clara Gallini, Intervista a Maria, Ilisso, Nuoro, 2003, pp. 5-7.
4 commenti:
Così. Perché a volte il solo modo per andare avanti è quello di tornare indietro.
Tornare indietro e riflettere.
Ho letto tutto avidamente (come sempre con i tuoi post) e devo dire che probabilmente sono assai ignorante.
Perdona.
Trovo, però, che l'identità (di un popolo, di un luogo) sia dentro le persone e non solo nelle esteriori manifestazioni, mutevoli al tempo e a sollecitazioni esterne non sempre propriamente necessarie o valide.
In questo mi trovo d'accordo con l'autrice.
Daniele (Macca)
Per fare semplice una questione complessa: se c'è un concetto che mi rende fobica è quello di "identità", questione mobile e ambigua (e sin qui ci siamo)di cui si disquisce troppo e per lo più per creare trappole liberticide. Non so cosa sono e se lo sapessi non lo direi, mi scrisse qualche tempo fa un amico, anticipando una sospensione destinata a restare tale finchè dura il nostro vivere...
Grazie dei vostri bellissimi commenti.
Per me l'identità è data dai luoghi, dalle persone, dalla cultura di una terra (e perchè no?, di un popolo). Affermarlo non significa farne nè bandiera, nè sciovinismo, ma, semplicemente, riconoscere una propria natività, un proprio essere di quei luoghi e di quelle persone.
Per me, ovviamente.
(Ci mettiamo anche un filino di orgoglio? Sì, anche, dài).
Daniele (Macca)
Posta un commento