30 giugno 2011

Camminare 2

"Non mi oriento, da sempre. Per questo, da sempre, sono obbligato a ripetere. E, ripetendo, ho tentato di conquistare la mia libertà."

29 giugno 2011

Camminare

Ogni vagabondaggio è una sorta di crociata, predicata dal San Pietro l’Eremita che è in noi, per indurci a uscire e riconquistare la Terra Santa dalle mani degli infedeli. 
Henry D. Thoreau, Camminare, Milano, Mondadori, 2009, p. 18. 

27 giugno 2011

La mala educación

Ottotipo all'altezza.

Istios / Summers

di Antonio Mura Ena
Istios, bellos istios,
caentes dae manzanu,
chi illanzigan sos rios
e siccan su pagu ranu.

Istios chi sos ammentos
recuin de pitzinnia,
a mi los torren sos
ventos
in s’ora ‘e s’ora mia!
In s’ora ‘e sos adios,
istios, bellos istios.

Summer, beautiful summers
That dry up the torrents
And shrivel the sparse grain.
Summers that bring back
Memories of my childhood,
may the winds give them back
to me
when my last hour has come!
At the hour of parting,
Summers, beautiful summers.


Antonio Mura Ena nasce a Bono nel 1908. Trascorre l’infanzia a Lula presso lo zio Giovanni Antonio Mura, autore del romanzo La tanca fiorita. Studi, prima a Nuoro, al ginnasio, poi a Cagliari e infine a Roma, dove si laurea in Pedagogia nel 1938 con Guido De Ruggero. Dal '35 al '38 insegna nel capoluogo barbaricino, all’Istituto Magistrale (preside Remo Branca). Nel 1938 pubblica una raccolta di poesie, L’Isola e la città. Nello stesso anno traduce dal tedesco in sardo una lirica di Heine, Eo e tue. Nel 1939, esce Nuove poesie. Nell’estate del 1940 conosce in Abruzzo Leone e Natalia Ginzburg. Fa parte del Comitato di Liberazione Nazionale. Nel 1945 scrive per il settimanale di Ernesto Buonaiuti e nel '46 pubblica un saggio su Palmiro Togliatti. È incaricato dell’insegnamento di Storia della pedagogia all'Università di Roma. Traduce l'Apologia di Socrate in sardo. Nel 1988 vince un premio speciale al «Pompeo Calvia» di Sassari e riprende a lavorare ai racconti Memorie del tempo di Lula e alla raccolta di poesie Recuida. Muore a Roma nel 1994.

24 giugno 2011

Sabir

Musica e pensiero, oltre le gabbie etnocentriche che imbrigliano l’arte, le terre e l’abitare il mondo. Musica non etnica, bensì – con provocazione fonetica e filosofica lieve – etica, in simpatia con i popoli stanziali o erranti della terra. Così nel cd intitolato Ethic music from Sardistan, la costa di una terra immaginaria è il luogo in cui, accarezzandone i confini con un raffinato linguaggio musicale sospeso fra memoria e sogno, si infrangono le note di Alberto Cabiddu e Fortun de Sarau. I temi dei 14 brani sono quelli del viaggio e della nostalgia, della passione e della ricerca di sè, dell’attraversamento e scoperta di labirinti fortunati ed estatici, della percezione del mistero dell’amore, di una umanità sospesa tra arrivo e partenza. Al ritmo della kalimba e degli udu drums accompagnati dal violoncello, dalla chitarra, dall’harmonium, dalla melodica, dalle launeddas e benas, si alza ipnotica la voce di Alberto Cabiddu, che da canto solo si sdoppia, rimandando al collettivo dei canti barbaricini e a diverse e ritmiche coralità al confine tra Sardegna e Maghreb, Caucaso e Asia centrale, con omaggi ad Astor Piazzolla. Il progetto della formazione Fortun de Sarau trae infatti ispirazione da un primo canto tradizionale sardo, Andimironnai, con una spinta creativa già da subito talmente potente da sfociare in un folklore immaginifico e bizzarro, dove si distinguono i codici di una babele di idiomi sonori e musicali estranei alla tradizione sarda, ma che nei modi e nei ritmi riportano alla cultura millenaria che appartiene sino in fondo alla nostra isola: nella danza, nel canto corale e persino nelle ‘note’ del mare, dei venti, degli aerofoni palustri.
Le musiche del repertorio tradizionale sono riarrangiate, altre, originali, sono di Alberto Cabiddu: un lavoro compositivo dove anche la non facile traduzione dei motivi musicali sardi arcaici evita l’inciampo che a volte si coglie nelle sperimentazioni ‘etniche’, sfociando invece in un linguaggio di grande nitidezza. Quasi tutti i testi delle canzoni sono in sardo (dalle strofe amorose di Andimironnai a Passu Torrau, In Ora Mala, la bellissima Cantu cuadu, S’Arredu, Dilliri, Su Faddidorgiu, In Bonora); altre lingue per i brani Tauron de Furas, per il celebre cantico Santa Maria strela dò Dia, o per Mariama Nega, volutamente cantata in un ‘evocativo’ portoghese, mentre in Sid Yhs’Ag sa’Ahdorah – che parla di un libro sacro e del miracolo del ridere – siamo di fronte a una lingua sconosciuta (potrebbe essere una riproposizione di sabir, la lingua franca che si sviluppò nel Mediterraneo orientale sul finire del Medioevo per mettere in contatto i tanti parlanti di estrazione diversa, le cui rotte commerciali e sapienziali s’incrociavano nel Mare Bianco…).
La formazione Fortun de Sarau è composta da: Alberto Cabiddu (voce, kalimba, udu, riq, percussioni, harmonium), Carlo Cabiddu (chitarra e voce), Gianluca Pischedda (violoncello e voce), Massimo Cau (armonium, benas, melodica e voce), Alessandro Garau (batteria e percussioni). Il cd – che contiene anche 8 stampe illustrate da Giorgio Polo – è prodotto da Gianni Menicucci per Tajrà, etichetta indipendente già concepita come un laboratorio di ricerca. Tra le sue produzioni – spesso elaborate dall’incontro di musica, letteratura e poesia orale – memorabili gli album collettivi Tajrà, la voce creativa e Tajrà, la voce della memoria, contenenti, tra gli altri, un Duru duru bittese per la preziosa voce di Tomasella Calvisi, una imponente Sa Pastorina de Su Concordu Lussurzesu, una ironica Pibere in sambene del coro polifonico tutto al femminile “Su Veranu” di Fonni, ma anche la bella voce della giovane Paola Giua in Cant dels occels del gruppo Iskeliu (fondato dal colto musicista e ricercatore tempiese Sandro Fresi), nonché la voce di Maria Multineddu, cantastorie e poetessa, personaggio del nostro recente passato che ancora incanta gli appassionati del cantu a chiterra.
Bastiana Madau, Ethic music from Sardistan [articolo pubblicato nel quindicinale Il manifesto sardo, 15 luglio 2008]

Clic, clic, clic

In quel lungo viaggio credo di aver fatto qualcosa come 2000 fotografie, solo un centinaio al festival internazionale jazz di Oslo, mille per fiordi nel Mare del Nord.
(Questa l'ho trovata ora, in un coso dove avevo idea di metterci le foto e che invece non ho più utilizzato.) - 
Per fortuna la nevrosi della fotografia "compulsiva" è durata per pochissimo tempo e ne sono completamente guarita. 

Chicken thieve's

Il nome, il logo, tutti i progetti, IL progetto… Dove sono finiti i rapinatori del cinema di un tempo, i loro piani geniali, frutto di mesi o anni di studio dell’intera mappa della città, con le sue strade aperte al mondo, per fuggire…?

22 giugno 2011

Maturità

Ho appena letto le tracce dei temi di italiano per gli esami di maturità. Impallidendo. E ora sono qui a mangiarmi le mani…: siamo anche andati a cena insieme, con Eric Hobsbawm, dopo quella conferenza a Torino!, e Il secolo breve ce l'ho con tanto di dedica personale. Che me ne faccio ora della foglia secca? Perché non gliene ho mai parlato? Perché non mi è mai saltato in mente di mettere il volumetto sul suo tavolo come di tanto in tanto ho fatto con altri libri?
A. è bravo in storia, è l'unica cosa che insieme al cinema gli interessi veramente, ed è sul tema storico che soprattutto contava per la prova di oggi. Non che non sappia nulla sul 'secolo breve', tutt'altro, ma non credo conosca la definizione, il suo senso, se sarà capace di inquadrare nella griglia di questa traccia le cose che sa… Altrimenti quale argomento sceglierà? L'analisi della poesia di Ungaretti? Lo escludo: detesta Ungaretti. Me lo ha detto chiaro e tondo, ricordo bene, e cretina io, quella sera d'inverno… Gli risposi che invece alla sua età io lo amavo, Ungaretti! (Ma se a 18 anni mi piaceva Bukovski? Ma se ho fatto la tesina su Majakovskij? Cretina. Sono la responsabile del suo disamore! Punite me!). Credevo di essere sufficientemente informata sulla sua preparazione letteraria, e invece sto qui inebetita a domandarmi cosa sa di Verga, D'Annunzio e Svevo. No, ora ricordo, l'interrogazione su Svevo andò bene. E gli altri? Perché non so cosa sa degli altri?… "Siamo quello che mangiamo?" No! Cioè, sì!… Questo è un tema difficilissimo, cavoli… Ambito storico-politico: destra e sinistra: "I giovani e la militanza politica: riflessioni sul senso di appartenenza alle correnti politiche e sull'impegno in prima persona". Forse starà facendo questo tema? Quanti pranzi e cene con "Bobbio" quinto commensale: se ne ricorderà? O preferirà analizzare "il valore assegnato alla fama effimera nella società odierna" sviluppando la frase di Andy Warhol?… Ansia. Non vedo l'ora che passi la mattinata, intanto che mi sento una pessima madre. 
In bocca al lupo, A.!  

19 giugno 2011

Una parentesi

(Quando Irene sognava ad alta voce io mi svegliavo subito. Mai riuscii ad abituarmi a quella voce da statua o da pappagallo, voce che arriva dai sogni e non dalla gola. Irene diceva che i miei sonni erano fatti di grandi scossoni che qualche volta facevano cadere la coperta. Le nostre camere da letto erano divise dal living, ma di notte si sentiva tutto in casa. Ci sentivamo respirare, tossire, presentivamo il gesto che conduce all'interruttore della lampada da notte, le mutue e frequenti insonnie.
A parte questo, tutto era silenzioso nella casa. Il giorno erano i rumori domestici, lo sfregare metallico dei ferri, uno scricchiolio nel voltare le pagine dell'album filatelico. La porta di rovere, credo di averlo già detto, era massiccia. Nella cucina e nel bagno, che erano contigue alla parte occupata, ci mettevamo a parlare ad alta voce oppure Irene cantava qualche ninnananna. In una cucina c'è troppo rumore di stoviglie e bicchieri perché altri suoni vi irrompano. Quasi mai permettevamo che là sopravvenisse il silenzio, ma quando tornavamo nelle camere da letto e nel living, allora la casa si faceva silenziosa e in penombra, e noi camminavamo persino più piano per non darci noia a vicenda. Credo fosse per questa ragione che di notte, quando Irene cominciava a sognare ad alta voce, io mi svegliavo subito).
Julio Cortázar, Bestiario, traduzione di Flaviarosa Rossini Nicoletti, Einaudi, Torino 1974, pp. 8-9.

9 giugno 2011

Cancellazione d'artista

"Cerchiamo di fare in modo che le cose siano diverse da quel che sono o da come appaiono, ci sforziamo insensatamente a che ci piaccia chi ci piace poco sin dal principio, e a poterci fidare di chi ci ispira diffidenza acuta, è come se spesso andassimo contro alla nostra stessa conoscenza, perché così lo sentiamo molte volte, come conoscenza più che come intuizione o impressione o presentimento, non ha nulla a che vedere tutto questo con le premonizioni, non c'è niente di sovrannaturale né di misterioso in quello, la cosa misteriosa è che non lo accettiamo. E la spiegazione dev'essere semplice per qualcosa di così condiviso da tanti: è soltanto che sappiamo, e lo detestiamo; che non sopportiamo di vedere; che odiamo la conoscenza e la certezza, e il convincimento; e nessuno vuole trasformarsi nel suo stesso dolore e nella sua febbre..."
Javier Marías, Il tuo volto domani, vol. I: Febbre e lancia, traduzione di Glauco Felici, Einaudi, Torino 2003, p. 41.

8 giugno 2011

Il lievito della giustizia

"Berlusconi ironizza spesso sulla tristezza. Sostiene che le sinistre ne sono irrimediabilmente afflitte, e paralizzate. Non sa che Ercole, il più forte, è archetipo della malinconia. In uno dei suoi racconti (Disordine e dolore precoce) Thomas Mann si spinge oltre, scrivendo a proposito della giustizia: 'Non è ardore giovanile e decisione energica e impetuosa: giustizia è malinconia'." 
Barbara Spinelliqui.

2 giugno 2011

Chissà che non sia

"La timidezza di Massimo Zedda a Ballarò, la sua mancanza di disinvoltura in tv, quel 'buongiorno' a De Magistris fra le risatine tronfie fuori campo ... . Chissà che non sia anche questa la bellezza che il nostro paese ha perduto e che forse sta cercando di ritrovare. Da troppo tempo siamo abituati alla sicumera, all’esposizione muscolare, all’ostentazione di sorrisi di plastica, alla declinazione machista del successo. Dove la timidezza e la malinconia sono diventati sentimenti da schernire di fronte al 'barzellettismo' e allo 'splendidismo' imperanti. O peggio ancora, dove la buona educazione appare per sempre messa all’angolo dalla rozzezza e dall’arroganza. Pensate per un secondo a quanto tempo ha imperversato nelle nostre visioni la boria insolente ... e a quanto poco telegenica sembra essere stata considerata la compostezza di un Enrico Berlinguer, con quello sguardo che molti di noi ancora ricordano..."
Bob Otti, da una nota odierna su Facebook.