18 febbraio 2013

Soliloqui e colloqui sattiani

La verità è che la scienza giuridica è una scienza morale, non soltanto nel senso della più o meno arbitraria classificazione scolastica, ma perché essa più che qualunque altra scienza richiede un impegno morale in chi la professa. Disgraziatamente il contradditorio ordinamento italiano, che si inspira all’augusto modello dell’università medioevale, e nello stesso tempo, statizzando la scuola, riduce i giuristi a impiegati, senza neppure gli umili doveri che sostanziano il rapporto di impiego, rende difficile non che osservare, sentire quell’impegno. Eppure è così. A differenza di ogni altro uomo di studi, che può ben isolarsi nei suoi libri ed eccellere, acquistando una fama che a noi è in generale negata, il giurista deve vivere intensissimamente la vita che si srotola e rotola sotto i suoi occhi, osservare i fenomeni sociali o pseudosociali che agitano il mondo, penetrare le istanze che ad ogni momento gli esseri umani propongono in nome della politica, dell’arte, della religione, della libertà e via dicendo, deve insomma leggere il giornale. E il suo modo di vivere la vita è il più singolare che si possa immaginare: perché egli non deve agire (non potrebbe anche se volesse), ma deve partecipare all’azione col giudizio, cioè con qualcosa che appare come la negazione dell’azione ed è comunque in perenne contrasto con essa. Per questo il giurista è dipinto spesso come un reazionario (non si è detto che le leggi sono sempre in ritardo rispetto alla vita?), e in effetti lo è: perché egli custodisce nel suo animo valori eterni che la vita non sopporta o mal sopporta, perché alla vita interessa semplicemente vivere. Per questo le posizioni concettuali del giurista non hanno solo un valore tecnico, come suole impropriamente dirsi, non sono costruzioni o teorizzazioni più o meno fungibili, ma sono la vita stessa colta nella concretezza del suo essere, e hanno quindi una forza di penetrazione e di formazione spirituale che nessuna ideologia può avere.
Giurista è colui che dice sempre di no. Questo è il suo impegno morale, grave impegno perché nulla è più difficile che dire di no. Per sostenerlo non basta studiare e conoscere le leggi (con questo si diventa al massimo professori, e sia pure buoni professori), occorre stabilire una comunicazione, attraverso gli studi che un tempo si chiamavano umani, coi grandi spiriti che ci hanno preceduto, occorre vivere l’esperienza del passato, ma sopra tutto acquistare nella meditazione, e quasi in una perpetua confessione, esperienza di sé.
Salvatore Satta, Soliloqui e colloqui di un giurista, prefazione di Ferdinando Mazzarella, Ilisso, Nuoro 2004, pp. 35-36.
Mario Delitala, Il giovane studioso, 1933 (particolare)

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