22 maggio 2012

La zona infiammata

"Sarà per deformazione professionale, o forse soltanto per via di una casuale fortuna dentaria, ma insomma di fronte all’espressione «la lingua batte dove il dente duole» non ho mai pensato a bocca e gengive. Piuttosto, in maniera più o meno istintiva, mi ha sempre fatto venire in mente la letteratura (e dunque la lingua) e la sua vocazione a raccontare il dolore dell’uomo. La lingua batte dove il dente duole, per me ha sempre significato quell’inesausta ricerca di dare una forma linguistica a una lotta, a una contraddizione. Significa che la letteratura va a cercare, si immerge, là dove un’epoca soffre, dove l’uomo si dibatte tra la ricerca istintiva della felicità e la miseria del tempo in cui vive, che è un tempo particolare, specifico, con contraddizioni e conflitti suoi propri. La lingua batte là dove l’uomo soffre, dove è malato. Perché dietro la malattia c’è un corpo che patisce, che dentro combatte per debellare il suo male. Quando il dente duole lo si sente pulsare, segno di un lavoro che si agita dietro, in mezzo alla carne. Così quando duole ogni zona infiammata, quando arriva la febbre.
Da bambino non avevo particolari fastidi ai denti, ma ciò nonostante mi ammalavo lo stesso. Ogni volta che succedeva mi colpiva la spiegazione che mi veniva data a proposito delle malattie, e soprattutto a proposito della febbre: era la conseguenza e la manifestazione di una battaglia che infuriava nel corpo. Più era accesa quella lotta intracorporea, più la febbre saliva, la faccia sudava e i brividi mi inchiodavano al letto. Così, afflitto nel buio della stanza, pensavo a questo incrociarsi di spade che si agitava sottopelle, da qualche parte dentro di me. Nel silenzio cercavo di sentire l’affilarsi dei ferri sui ferri, le urla di chi partiva all’assalto, e quelle di chi, colpito, si accasciava per terra. Non so come mai ma quelle battaglie le pensavo sempre come battaglie di antichi romani, gli avambracci infilati dentro gli scudi, gli spadoni sollevabili soltanto da uomini muscolosi e i pugnali che spuntavano fuori quando la spada cadeva. La battaglia che avveniva dentro di me, quella lotta che portava la febbre, la immaginavo così. Però non tutte le malattie erano uguali, e quindi non erano uguali tutte le febbri. Il dolore al dente è diverso dal dolore alla pancia, anche se entrambi possono portare la febbre. Mi dicevano che per ogni malattia infuria una lotta diversa, che dunque ogni dolore sembra uguale a quell’altro ma in realtà è un dolore che deriva da un diverso incrociarsi di spade.
Ecco, quando sento dire «la lingua batte dove il dente duole» penso esattamente a questa ricerca, della letteratura, di andare là dove infuria il dolore di un’epoca, di andare a capire quali spade si stanno incrociando. Penso a quest’inesausto battere della lingua, che è al tempo stesso una discesa sotto la pelle del tempo, e però anche un battere del tempo alla ricerca di quel ritmo, quella cadenza, quel suono, con cui ogni epoca fa mostra di sé, si affaccia alla storia. Ogni volta che si manifesta la febbre, la febbre sembra sempre la stessa ma non è così. Allo stesso modo io credo che ogni epoca abbia un suo proprio dolore, che nasce da un conflitto tutto differente dal conflitto delle epoche che l’hanno preceduto e da quelle che la seguiranno. Nei Quaderni dal carcere Gramsci scrive che «un determinato momento storico-sociale non è mai omogeneo, anzi è ricco di contraddizioni. Esso acquista 'personalità', è un ‘momento’ dello svolgimento, per il fatto che una certa attività fondamentale della vita vi predomina sulle altre, rappresenta una 'punta' storica: ma ciò presuppone una gerarchia, un contrasto, una lotta». Ecco, è quella la lotta che fa il dolore di un’epoca, in cui ci si addanna sugli scudi e le spade, al ritmo dei fendenti menati. La letteratura va a toccare quel ventre molle che fa soffrire uomini e donne in un momento specifico della storia. Credo ci sia una disgregazione tutta particolare, nell’epoca in cui viviamo, uno sfaldarsi del tessuto sociale, un creparsi delle superfici che prima tenevano insieme cose e persone. È una disgregazione che lascia soli gli uomini in una maniera diversa: più sfiancata, più arresa e più rassegnata che mai. C’è un modo di essere soli inedito, perché è una solitudine che non cerca più un balsamo nei legami con le persone ma con gli oggetti che le circondano. È una solitudine del tutto funzionale a una società che vuole solitudini arrese, persone sfiancate. Ecco, è quello, mi sembra, il dente che duole in quest’epoca, ed è lì che la lingua prova a infilarsi. È quello il dolore che tenta di sillabare, a cui cerca instancabilmente di dare una forma. Ma quella forma non può che essere una visione, del dolore, una sua percezione alterata. Quando il dente duole la lingua lo tocca, e poi ne riporta indietro un’immagine abnorme. Il dolore al dente fa immaginare a chi lo patisce una bocca esplosa, fa pensare a un dente mostruoso. Così per ogni altro dolore del corpo, che infiamma, che porta la febbre, che fa sentire uno sferragliare di spade, una battaglia, una lotta. È lì che la lingua tocca, per paura di trovarlo ancora e, forse irrazionalmente, per il bisogno di sapere che c’è."
Andrea Bajani, La zona infiammata, contenuta nell’antologia "Narratori degli anni zero", a cura di Andrea Cortellessa, in  L’Illuminista. Rivista di cultura contemporanea diretta da Walter Pedullà, numero 31-32-33, gennaio/dicembre 2011, pp. 577-578.

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