23 giugno 2010

Pesci a colazione


Per i Wind, Victor era un bambino difficile in quanto si rifiutava di esserlo. Dal loro punto di vista, ogni bambino di sesso maschile provava un ardente desiderio di castrare il padre e un impulso nostalgico a rientrare nel corpo della madre. Ma Victor non tradiva alcuna turba comportamentale, non si metteva le dita nel naso, non succhiava il pollice, non si mangiava neppure le unghie. Il dottor Wind, al fine di eliminare quelli che lui, appassionato ascoltatore della radio, chiamava «i disturbi di fondo dei rapporti personali», aveva fatto sottoporre il suo inespugnabile figliolo a un esame psicometrico eseguito presso l’Istituto da una coppia di estranei, il giovane dottor Stern e la sua sorridente consorte (io sono Louis e questa è Christina). Ma i risultati erano stati mostruosi o nulli: nel cosiddetto test «Disegna un animale» di Godunov, al soggetto di sette anni era stata attribuita la sensazionale età mentale di diciassette, ma posto di fronte al test per adulti di Fairview era precipitato al quoziente intellettuale di un infante di due. Quanta cura, quanto acume, quanta inventiva sono occorse per queste tecniche meravigliose! È una vergogna che certi pazienti si rifiutino di collaborare! C’è, per esempio, il test Kent-Rosanoff di associazione assolutamente libera, nel quale il piccolo Joe o la piccola Jane sono invitati a reagire a una parola-stimolo, come tavolo, anitra, musica, malattia, spessore, basso, profondo, lungo, felicità, frutto, madre, fungo. C’è il fantastico gioco Bièvre dell’Interesse-Attitudine (una benedizione nei pomeriggi piovosi), nel quale il piccolo Sam o la piccola Ruby sono chiamati a mettere un segnetto davanti alle cose per cui l’uno o l’altra provano una qualche specie di timore, come morire, sognare, cicloni, funerali, padre, notte, operazione, camera da letto, sanza da bagno, convergere, e così via; c’è il test astratto di Augusta Angst, in cui al piccino (das Kleine) viene richiesto di esprimere una serie di parole («gemito», «piacere», «buio») per mezzo di lineette continue. E c’è, naturalmente, il gioco della bambola, nel quale Patrick o Patricia ricevono due bambole di gomma identiche e un bel pezzo di argilla che Pat deve applicare su una di esse prima di cominciare a giocare, e oh la graziosa casa di bambola con tante stanze e una quantità di curiosi oggetti in miniatura, compreso un vaso da notte non più grosso di una castagna, e un armadietto dei medicinali, e un attizzatoio, e un letto a due piazze, e in cucina persino un minuscolo paio di guanti di gomma, e tu puoi essere perfido quanto ti pare e fare tutto quello che vuoi alla bambola Papà se pensi che picchi la bambola Mamma quando spengono la luce in camera da letto. Ma il cattivo Victor non aveva voluto giocare con Lou e Tina, aveva ignorato le bambole, cancellato tutte le parole dell’elenco (il che era contro le regole) e aveva fatto dei disegni che non avevano alcuna sorta di significato subumano.
Nulla che fosse del benchè minimo interesse per i terapisti si era riusciti a far scoprire a Victor in quelle belle, bellissime, macchie d’inchiostro di Rorsharch, nelle quali i bambini vedono, o dovrebbero vedere, cose di ogni genere, coppie di amanti, diamanti, manti, i vermi dell’imbecillità, tronchi d’albero nevrotici, galosce erotiche, ombrelli e manubri da ginnastica. Né alcuno degli schizzi occasionali di Victor rappresentava il cosiddetto mandala – un termine che si presume indichi (in sanscrito) un cerchio magico, e che dal dottor Jung e da altri viene applicato a qualsiasi ghirigoro che si presenti sotto forma di una struttura più o meno quadripartita, quale ad esempio un mango diviso a metà, o una croce, o la ruota sulla quale gli ego vengono spezzati come crisalidi, o, più precisamente, la molecola del carbonio con le sue quattro valenze – quella precipua componente chimica del cervello, automaticamente ingrandita e riflessa sulla carta.
Gli Stern avevano riferito che «purtroppo, il valore psichico delle Immagini Mentali e delle Associazioni Verbali di Victor era completamente oscurato dalle tendenze artistiche del ragazzo». E da allora in poi al piccolo paziente dei Wind, che stentava a prendere sonno e scarseggiava di appetito, fu concesso di leggere a letto sin dopo la mezzanotte e di sottrarsi alla farina d’avena a colazione.
Vladimir Nabokov, Pnin, traduzione di Elena De Angeli, Adelphi, Milano 1988.

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