Cara B., dedicato ad annonnu tuo, eccoti un brano scritto da Giuseppe Fanciulli dopo un soggiorno a Orani nel 1922: 
«Erano
 con noi due grilli grandi, Tonino Siotto e Remo Branca; amici fraterni,
 entusiasti di ogni cosa bella (sebbene tutt'e due studino 
giurisprudenza a Sassari) in vario modo: che Remo esplode in 
meravigliose girandole, e Tonino sembra lasciare all'amico la cura 
dell'esprimersi, mentre con brevi parole, più ancora con cenni risoluti e
 col fuoco degli occhi, sottolinea, approva, e conferma. E l'uno 
camminerà nella incantata via dell'arte; l'altro, che pure conosce il 
mondo e ha una cultura così fine, resterà a curare le sue terre intorno 
al paesello di Orani, per amore e per esempio; non sembrano, questi due 
ragazzi, simboli della loro forte razza, rami di un ceppo solo? Così li 
ho veduti, e così li ricordo: in fiore.
Siamo
 rientrati in paese verso il tramonto, nell'ora più cara. Orani è 
adagiato in una stretta piega dei poggi, giallognolo e bigio; ma solcato
 dai venti che passano di corsa per la valle. A vederlo di fuori, pare 
che l'abbiano scaricato dal bordo della alta strada maestra; e allora, 
si capisce, le viuzze, le case, le piazzette, si sono fatte posto come 
hanno potuto, conservando un certo aspetto di labirinto arruffato, che 
piace al forestiero sempre desideroso di perdersi un poco. Molte di 
quelle case, a un solo piano, sembrano fatte con le carte; ma hanno 
quasi tutte cortili fioriti, e pergole ombrose. Le finestre, come in 
molti paesi sardi, hanno un'inquadratura di bianca calce, e così 
sembrano guardarci con gli occhiali. La gente è fitta. Passando dinanzi a
 quelli che sulla soglia si godono il refrigerio della sera, Remo dice: "Su friscu", che è il miglior saluto; e voci gravi, voci chiare 
rispondono con lenta mansuetudine. E bambini, anche qui, quanti! Tutti 
belli, Dio li benedica, come granati maturi. Ci venivano dietro a 
frotte, appena scalpicciando scalzi, come foglie nell'ala del vento.
E
 di casa in casa abbiamo fatto varie visite, ammirando. A Orani si 
possono ancora vedere di quelle vecchie cassapanche scolpite, che oggi 
non si fanno più, e sono una meraviglia: la decorazione ha fregi 
originali, e mutevoli, ricchi di quel gusto che la tradizione matura. In
 una stanza terrena ho veduto, insieme con le cassapanche un vecchio 
telaio sardo. La tessitura a mano è ancora molto in uso, in Sardegna; le
 donne dei paesi filano con rocche dalla conocchia finemente intagliata,
 quasi a ricordare le bifore e le cuspidi dei campanili pisani; fanno i "rocchetti" con strumenti primitivi dalle ricche decorazioni; e poi 
tessono l'orbace in telai assai più piccoli di quelli che un volta si 
usavano in Toscana (la mia nonna tesseva), telai che sembrano meglio 
dominati dalla tessitrice, e per questo ancor più domestici.
Qualcuno raccoglie le antiche tradizioni di bellezza, e risale ad esprimerle per tutti, in forme nuove.
Orani
 ha i suoi artisti. Mario Delitala, già noto in continente, è uno dei 
giovani pittori sardi meglio dotati; la sua casa, che ci fu tanto 
cortese, ha intere stanze da lui decorate, e mirabili opere. Ma ho 
dovuto stupire incontrando un artista che fa il calzolaio. Sicuro; Paolo
 Cosseddu, calzolaio, dedica tutto il suo tempo libero al devoto 
esercizio dell'arte. Non ha mai studiato disegno, non possiede 
strumenti, non ha avuto incoraggiamenti; e intaglia zucche — le belle 
zucche che son borraccia al pastore e al viandante — bastoni, còfani con
 un gusto meraviglioso; ha costruito un grande tabernacolo, di perfetta 
architettura, e un carro sardo graziosissimo. Rimpiange, tuttavia, di 
non aver mai studiato; e guarda il suo bambino per scoprire se affiora 
una vena d'artista... e se appena c'è, questa vena, oh lui studierà, non
 dubitate!
Di
 porta in porta, abbiamo fatto sosta anche nella casa che, tanti anni 
addietro, aveva ospitato Vamba; vi immaginate la nostra commozione nel 
parlare di Lui con chi ancora lo ricordava, fra le mura che lo avevano 
veduto? E il prof. Chironi, l'ispettore scolastico che ha uno spirito 
così poco scolastico e così arguto, ci riportava vicini quei giorni, 
ristabilendo inaspettatamente una nuova continuità col pensiero di Lui.
A
 sera, avessimo salito il monte, o fatto sosta alla vigna tutta verde e 
viola nella cornice argentea degli olivi, o fossimo rimasti in altre 
case a veder cose belle e antiche, a udire parole sagge e cortesi, 
tornavamo alla "casa nostra" con indicibile soddisfazione. Ci aspettava 
l'ospite: il cavaliere Pietro Paolo Siotto, un signore che porta i suoi 
settant'anni con eleganza (non potrei trovare un'altra parola), dritto e
 agile nel suo bel costume nero e bianca, parlatore colorito e acuto, 
cuor d'oro che scintilla nella fiera purezza dello sguardo. La sua casa,
 custodita da due donne silenziose, sorridenti e attente, è davvero "la 
casa". Si sentiva che fra quelle pareti massicce confluivano, come per 
naturale tributo, i doni della terra e delle anime. Tutte le cose buone 
della terra: frutta e erbe, pane e latte, vini ardenti e carni opime; 
tutti i buoni mòti delle anime: la fedeltà dei servi, la cordialità 
degli amici, il ricordo dei trapassati, e acceso su tutto, l'affetto del
 vecchio signore e del giovane nipote, che mi faceva pensare alla 
propensione della vite nodosa per il suo fresco tralcio.
In
 cima alla casa, alta come una torre, si apre una terrazza: vi abbiamo 
indugiato a mirare i grappoli di stelle. Orani, che non ha 
illuminazione, biancheggiava appena, lì sotto, nel buio: e dalla bocca 
di un forno si diffondeva una vampa rossa.»
(Grazie con con tutto il cuore al mio amico Angelino Mereu.)
 
 

 

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