Cime tempestose è un libro più difficile da capire
di Jane Eyre, perché Emily era più poeta di Charlotte. Scrivendo,
Charlotte diceva con eloquenza e splendore e passione "io amo",
"io odio", "io soffro". La sua esperienza, anche se più
intensa, è allo stesso livello della nostra. Ma non c'è "io" in Cime
tempestose. Non ci sono istitutrici. Non ci sono padroni. C'è l'amore, ma
non è l'amore tra uomini e donne. Emily si ispirava a una concezione più
generale. L'impulso che la spingeva a creare non erano le sue proprie
sofferenze e offese. Rivolgeva lo sguardo a un mondo spaccato in due da un
gigantesco disordine e sentiva in sé la facoltà di riunirlo in un libro. […] Il
suo è il più raro dei doni. Sapeva liberare la vita dalla sua dipendenza dai
fatti; con pochi tocchi indicare lo spirito di una faccia che non aveva più
bisogno di un corpo; parlando della brughiera far parlare il vento e ruggire il
tuono.
Liliana Rampello [a cura di] Virginia Woolf. Voltando pagina, traduzioni di Adriana Bottini, Livio Bacchi Wilcock, Daniela Daniele [et al.], Il Saggiatore, Milano 2011; pp. 202-203.
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