9 giugno 2017

Ricordando Egi

La mia ombra fugge da se stessa,
lungo la scala di pietra, al cancello, per incontrarvi.
Qui, rifuggendo dal deserto,
avete trovato acque pulite.
Avete trovato facce belle,
lavate con la rugiada della sera.
Tra i campi ubertosi, avete raccolto
la lavanda...

Egi Volterrani, "La tavola rotonda", in Frattaglie. Ricette dell'amor perduto, Blu, 2009.

Soltanto oggi ho saputo che qualche settimana fa è morto un uomo a cui volevo tanto bene: Egi Volterrani, architetto, traduttore, scenografo, profondo conoscitore del mondo arabo, oltre che delle culture africane, raffinato traduttore. Una persona davvero cara, disponibile, generosissima. Ed è incredibile questa cosa: da qualche giorno era spesso nei miei pensieri, e oggi a tavola, tra un pesce e una pesca, raccontavo proprio di lui, di quella volta che a Scicli, in una tavolata serale bellissima, tra amici scrittori arrivati al convegno siciliano da ogni sponda del Mediterraneo, mi disse “Non toccare le orate, seguimi...”, e io mangiavo solo le cose che lui metteva nel mio piatto. Una cena indimenticabile, anche per i sapori. E ricordo le cene nella sua casa torinese tappezzata di libri, con cui concludevamo le giornate passate al Salone (l'ultima, a base di pollo all'afgana e una salsa strana, molto aromatizzata ma buona, preparata dal suo giovane ospite originario della Mancia) o di come sapeva infondermi coraggio al telefono nel periodo in cui i progetti comuni presentavano delle difficoltà: “Stai su, Madau”, mi salutava con dolcezza. L'unica persona al mondo che mi abbia sempre chiamata per cognome, ma in un modo che mi faceva arrivare ancora di più il suo affetto. Tanti i ricordi nelle ultime fiere del libro insieme, a presentare opere e autori e autrici in cui credevamo entrambi. E l'ultima lettera agli amici, che vorrei abbracciare tutti, conosciuti e sconosciuti: la mappa dettagliata della sua casa, con anche il punto in cui teneva le sue medicine, e la posologia, nel caso fossimo entrati che lui dormiva già un sonno incosciente. Una lettera colma d'amore per la vita in tutte le sue sfumature, un omaggio all'amicizia in cui sapeva materialmente credere e che viveva, semplicemente viveva.
(Vorrei tanto poterti dire arrivederci, caro Egi...)

Giacomo Frullani, "Il vecchio marinaio"

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