"Ti senti male?" le domandò.
Remedios la bella, che teneva l'altro capo del lenzuolo, fece un sorriso di compatimento.
"Al contrario, " disse "non sono mai stata meglio."
Appena ebbe finito di dirlo, Fernanda sentì che un delicato vento di luce le strappava le lenzuola di mano e le spiegava in tutta la loro ampiezza. Amaranta sentì un fremito misterioso nei pizzi delle sottogonne nell’istante in cui Remedios cominciava a sollevarsi. Úrsula, già quasi cieca, fu l’unica che ebbe tanta serenità da riconoscere la natura di quel vento ineluttabile, e lasciò le lenzuola alla mercé della luce, e vide Remedios la bella che la salutava con la mano, tra l’abbagliante palpitare delle lenzuola che salivano con lei, che uscivano con lei dall’aria degli scarabei e delle dalie, e con lei attraversavano l’aria in cui si spegnevano le quattro del pomeriggio, e con lei si perdevano per sempre nelle alte arie dove non potevano raggiungerla nemmeno i più alti uccelli della memoria.
I forestieri, naturalmente, pensarono che Remedios la bella avesse finalmente ceduto al suo inesorabile destino di ape regina, e che la famiglia cercasse di salvare l'onore con la panzana della levitazione. Fernanda, morsa dall'invidia, finì per accettare il prodigio, e per molto tempo continuò a pregare Dio che le restituisse le lenzuola.
Gabriel García Márquez, Cent'anni di solitudine, traduzione di Ilide Carmignani, con il dossier "Gabo racconta la nascita del romanzo", Nuova Edizione, Mondadori, Milano 2017, pp. 206-207.