Inconsapevolmente ci è scivolata dalla penna, come una
goccia di inchiostro, la parola panciafichista. Parola arcaica, ormai, fuori
moda, sostituita da altre che meglio riescono a riempire la bocca: disfattista,
caporettista e simili. L'altra è scaduta dall'uso, perché è svanita una
mentalità, o meglio perché questa mentalità ha cambiato il centro del suo
errore. Si immaginava l'atto della guerra da decidersi come in un'assemblea di
tribú barbarica: per il battere delle lance al suolo, per l'ululato fiero dei
guerrieri assetati di strage e di lotta. Chi si rifiutava di battere la lancia,
di diventare corista nella sinfonia sgangherata degli ululi, non era che un
vile affamato di fichi, per i quali voleva conservare la pancia.
La mentalità democratica e pseudorivoluzionaria
astraeva completamente dall'idea di Stato, non vedeva nel paese che i singoli
individui, frantumava l'unità economico-sociale borghese che è lo Stato in una
infinità di volontà empiriche che avrebbero dovuto essere il popolo, il popolo
generoso che batte la lancia ed emette ululati guerrieri. Lo Stato ha
dimostrato di essere l'unico giudice della guerra, e di far la guerra seguendo
solo la logica della sua natura: ha assorbito tutto e tutti e ha trovato gli antagonisti
solo in quelli che negano l'attuale natura dello Stato e la logica che se ne
sviluppa. Cosí è tramontata la parola panciafichista, di conio democratico,
prodotto di una mentalità immatura, che non conosce neppure l'essenza vera
degli istituti cui affida la risoluzione dei problemi ideologici dai quali si
dice angosciata. Ci sono stati i panciafichisti, ma essi possono essere
ritrovati tra quelli che delle forze statali si servono, e se ne sono serviti
anche per la conservazione della pelle individua. Curiosa è anche la fortuna di
un'altra parola di conio democratico: guerrafondaio. La parola in origine
traduceva esattamente l'espressione attuale jusqauboutiste. Fu creata al
tempo delle guerre abissine e serviva a indicare gli oltranzisti d'allora, ai
quali si opponeva la democrazia lombarda del secolo, e i partiti di
opposizione. Oggi questi partiti sono diventati d'ordine: la guerra non è piú
fuori del loro programma, e come si compiva lentamente questa conversione cosí
la parola guerrafondaio andò acquistando un significato particolare che
ondeggia tra quello di «militarista» e di guerraiolo per programma. La
mentalità democratica ha stabilito la casistica tra guerra e guerra, tra difesa
e offesa, tra guerra democratica e guerra imperialistica: non è arrivata a
comprendere la guerra come funzione di Stato, della organizzazione
economico-politica del capitalismo. Cosí noi abbiamo trovato la parola già
mutata, e abbiamo dovuto crearne delle nuove, o meglio abbiamo dovuto adattarle
dal francese: oltranzista e sterminista, mentre sarebbe cosí semplice
guerrafondaio per chi vuole la guerra fino in fondo. Cosí le parole si adagiano
nella realtà ideologica dei tempi, si plasmano e si trasformano col mutarsi dei
(cattivi) costumi degli uomini. La mentalità democratica, qualcosa che sta
nell'organismo, come un gas putrido, non riesce neppure nelle parole a fissare
qualcosa di solido e compiuto. Panciafichista al tempo delle guerre d'Africa,
il democratico è diventato guerrafondaio, ma ha cercato di far dimenticare le
parole, sperando far dimenticare le cose.
10 febbraio 1918
Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti,
Chiarelettere, Milano 2012, p.95.