11 ottobre 2012

Nod(ul)i

Le dinamiche sono sempre le stesse o si crede di riconoscerle come tali, ma sono spesso incomprensibili quelle che inficiano le relazioni e le orientano, intanto che le parole non dette e non capite diventano grumo, materia che aggredisce gli organi. 

– Ce l'hai con me?
– No. Cosa te lo fa pensare?
– La tua domanda.  
– Non ho capito.
– Avevi solo due possibilità di risposta: 1) No. 2) Sì, e in questo caso spiegare le ragioni del tuo risentimento. Che tu voglia capire che cosa me lo ha fatto pensare è di per sé un segno che ho visto bene.
– Ecco.

Laing, non sei nessuno.

3 ottobre 2012

La fortuna delle parole

Inconsapevolmente ci è scivolata dalla penna, come una goccia di inchiostro, la parola panciafichista. Parola arcaica, ormai, fuori moda, sostituita da altre che meglio riescono a riempire la bocca: disfattista, caporettista e simili. L'altra è scaduta dall'uso, perché è svanita una mentalità, o meglio perché questa mentalità ha cambiato il centro del suo errore. Si immaginava l'atto della guerra da decidersi come in un'assemblea di tribú barbarica: per il battere delle lance al suolo, per l'ululato fiero dei guerrieri assetati di strage e di lotta. Chi si rifiutava di battere la lancia, di diventare corista nella sinfonia sgangherata degli ululi, non era che un vile affamato di fichi, per i quali voleva conservare la pancia.
La mentalità democratica e pseudorivoluzionaria astraeva completamente dall'idea di Stato, non vedeva nel paese che i singoli individui, frantumava l'unità economico-sociale borghese che è lo Stato in una infinità di volontà empiriche che avrebbero dovuto essere il popolo, il popolo generoso che batte la lancia ed emette ululati guerrieri. Lo Stato ha dimostrato di essere l'unico giudice della guerra, e di far la guerra seguendo solo la logica della sua natura: ha assorbito tutto e tutti e ha trovato gli antagonisti solo in quelli che negano l'attuale natura dello Stato e la logica che se ne sviluppa. Cosí è tramontata la parola panciafichista, di conio democratico, prodotto di una mentalità immatura, che non conosce neppure l'essenza vera degli istituti cui affida la risoluzione dei problemi ideologici dai quali si dice angosciata. Ci sono stati i panciafichisti, ma essi possono essere ritrovati tra quelli che delle forze statali si servono, e se ne sono serviti anche per la conservazione della pelle individua. Curiosa è anche la fortuna di un'altra parola di conio democratico: guerrafondaio. La parola in origine traduceva esattamente l'espressione attuale jusqauboutiste. Fu creata al tempo delle guerre abissine e serviva a indicare gli oltranzisti d'allora, ai quali si opponeva la democrazia lombarda del secolo, e i partiti di opposizione. Oggi questi partiti sono diventati d'ordine: la guerra non è piú fuori del loro programma, e come si compiva lentamente questa conversione cosí la parola guerrafondaio andò acquistando un significato particolare che ondeggia tra quello di «militarista» e di guerraiolo per programma. La mentalità democratica ha stabilito la casistica tra guerra e guerra, tra difesa e offesa, tra guerra democratica e guerra imperialistica: non è arrivata a comprendere la guerra come funzione di Stato, della organizzazione economico-politica del capitalismo. Cosí noi abbiamo trovato la parola già mutata, e abbiamo dovuto crearne delle nuove, o meglio abbiamo dovuto adattarle dal francese: oltranzista e sterminista, mentre sarebbe cosí semplice guerrafondaio per chi vuole la guerra fino in fondo. Cosí le parole si adagiano nella realtà ideologica dei tempi, si plasmano e si trasformano col mutarsi dei (cattivi) costumi degli uomini. La mentalità democratica, qualcosa che sta nell'organismo, come un gas putrido, non riesce neppure nelle parole a fissare qualcosa di solido e compiuto. Panciafichista al tempo delle guerre d'Africa, il democratico è diventato guerrafondaio, ma ha cercato di far dimenticare le parole, sperando far dimenticare le cose.
10 febbraio 1918
Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti, Chiarelettere, Milano 2012, p.95.