13 agosto 2010

Transumanze

Ho fatto uno sforzo sovrumano per attraccare la barchetta e tornare a terra stasera, ma ne è valsa la pena e, anzi, ho il cuore colmo di gratitudine: Gavino Murgia con Transumanze (concerto di "accompagnamento" alle proiezioni di Le stagioni dell’Armenia di Artavazd Pelechian e di Pastori, quasi una preistoria di Fiorenzo Serra) ha dato il meglio di sé, a Fonni, accompagnato dal duduk di Arayik Bakhtikyan, dai zarb-frame drums di Bijan Chemiirani e dalle chitarre di Kevin Seddiki. E il regista armeno per me è una scoperta strabiliante...




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Devo ritornare sull'argomento per cercare di capire se c'è qualcosa di più che una suggestione nel mettere in correlazione la transumanza dei pastori armeni e quella dei pastori di Fonni (quest'ultima documentata da Fiorenzo Serra, a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, in "Un pugno di terra"). Al confronto con la drammaticità delle immagini di Pelechian, i pastori barbaricini sembrano prìncipi: eleganti e sobri nei loro abiti di velluto e nei mantelli di orbace, con quel mangiare lento – nelle pause della traversata dal cuore dell'isola verso sud – il pane carasau e i formaggi tolti dalle bisacce tessute da abili mani, o mentre arrivano a destinazione nei Campidani, coi grandi greggi di pecore che brillano al sole.

7 agosto 2010

Paterna

Ci fosse un raggio verde, chi può mai dire? E in quel caso, l'opportunità di brillare, vedendolo per primo in un istante preciso, indimenticabile, collocabile nello spazio della memoria, lasciando un'indelebile incisione nell'immaginario altrui: "Guarda! Hai visto?!".

Ma io, sciaguratamente, perdo di vista l'oggetto "politico" (che l'autore del post sembra individuare), talmente invece esso è ormai sparso come polvere anche sul paesaggio marino più amato.
Anche qui l'orizzonte si è fatto più basso. E guardando il mare
bianco, a quest'ora affiora la memoria dei povericristi che in quelle acque hanno trovato una tomba, nel vano tentativo di aggrapparsi alle sponde di questa terra che non è, non è mai stata Italia...
Oggi credo di sapere perché non sono più tornata a P.
Il Comandante allora riuscì davvero a farmi voltare la testa girandola con le sue mani verso le colline:
"Guarda! Hai visto?!". E quel che vidi veramente lasciò nell'anima un'impronta indelebile.

Resto qui, e senza volerlo mi scopro a stringermi a quella memoria di
colline, vigneti e olivi, o al ricordo di quell'albero smisuratamente alto... per non farli andare via per sempre.
Ecco. Come spiegarlo? Come farmi perdonare l'assenza?
Non posso tornare.
Non sopporterei la visione della polvere anche intorno a quei luoghi.

...
allora,
tu diresti che il mio cielo
steso in tana e strada di malinconia
è solo lastrico d'appunti
a proteggere una faccia
magnifica per lo stregone
sperso

quando t'offri a realizzo in questo gioco del riconoscersi
che facilita il sonno
senza un piccolo un che di stupori
in queste prescrizioni dove tutti son sapienti e io,

lastricato d'appunti
in questa resistenza dove tu capisci
soltanto paura
o ricordo d'annata

...

Da Hic sunt leones di Marco Noferi, in: Marco Noferi, Nello Cattalini, Saretto Cincinelli, Poesie, La Morgana, Montevarchi, 1983, pp. 9-10.

1 agosto 2010

C'è una meta


Foto di foto che ho scattato al Kon-Tiki (Bygdoy, Oslo, Norvegia)




C'è una meta
per il vento dell'inverno:
il rumore del mare.
Ikenishi Gonsui (1650-1722)

Laggiù le persone sono semplici e non fanno domande. Sono abituate ad avere il blu nel cuore. La sera, non chiudono le porte. Ascoltano gli uccelli e credono che quella musica venga dagli alberi del cocco che sostengono le loro esistenze. Vanno a piedi nudi sulla sabbia e vivono alla giornata della loro pesca. La sera si riuniscono sulla spiaggia per cantare e fare musica. Noi saremo semplici come loro, seduti per terra, all'ascolto dei ravanes e di una voce più antica di quella dell'oceano. Nelle tue braccia dormirà un bambino nudo. Tuonerà nel nostro ventre come un ciclone. Questo ci farà ridere, poi fremere. E quando i nostri sensi saranno tutti risvegliati, andremo a rifugiarci nella nostra capanna attraversata dal vento.
Agalega, isole di brezza e di corallo, di rocce e schiuma. Lavate dai ritmi dell'oceano. Dalla grazia e dal fuoco dei loro soli. Isole della mia ultima ora, della mia ultima vita.

Ananda Devi, Pagli, traduzione di Cristina Schiavone, Ibis, Como-Pavia 2004, p. 84.